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LA CURA DELLE DEMENZE
1. Curare e guarire.
Nell'ambito assistenziale è importante far luce su due termini ampiamente utilizzati e talvolta
equivocati: curare e guarire. È opinione comune infatti che se una malattia rende impossibile la
guarigione allora è anche incurabile. In realtà però curare non è un sinonimo di guarire. È pertanto
doveroso fornire cure al malato inguaribile, come quello affetto da AD, cure volte a rallentare il
peggioramento della malattia, ad allungare la vita del paziente o quantomeno a migliorarne la
qualità. Se non si tiene conto di questa importantissima distinzione si rischia di relegare i malati di
demenza in un limbo assistenziale privo di obiettivi, di impegno di cura e di qualità (Guaita, 2004).
La maggior parte , se non la totalità,delle terapie rivolte ai malati di Alzheimer si prefigge proprio
questo obiettivo di cura e non di guarigione.
2. Interventi farmacologici.
Attualmente non è in commercio alcun farmaco in grado di guarire la malattia di Alzheimer. La
terapia farmacologica consiste quindi in farmaci sintomatici, ovvero finalizzati all'attenuazione
delle manifestazioni cliniche della malattia.
Inibitori dell'acetilcolinesterasi
2.1 .
In questa categoria di farmaci troviamo: il donezepil, la galantamina e la rivastigmina. Tali farmaci
sono indicati nella fase lieve e moderata dell'AD e la loro efficacia si basa sull'osservazione di una
graduale diminuzione del neurotrasmettitore acetilcolina, associato alla memoria, nel cervello dei
10
malati durante queste fasi. La diminuzione di acetilcolina peggiora ulteriormente il funzionamento
cerebrale, già compromesso dalla formazione delle placche senili. Gli inibitori
dell'acetilcolinesterasi agiscono rallentando l'azione degli enzimi che normalmente smaltiscono
l'acetilcolina che, una volta adempiuto alla sua funzione, non è più necessaria. A causa della carenza
nella produzione del neurotrasmettitore nei pazienti con AD quindi, tramite questi farmaci,
l'acetilcolina già prodotta non viene smaltita ma riutilizzata. In questo modo si potenzia la
trasmissione colinergica. Gli inibitori dell'acetilcolinesterasi possono migliorare alcuni sintomi
cognitivi e ne è stato suggerito l'impiego anche nella terapia per i disturbi comportamentali
(Zanetti, 2004). Tuttavia non solo non tutti i pazienti rispondono al trattamento ma anche tra i
responders ci sono sostanziali differenze nell'azione dei farmaci. Inoltre i risultati pubblicati
dall'AIFA nel 2004 ottenuti da un importante studio osservazionale condotto in Italia, il Progetto
Cronos , indicano che la risposta alla terapia farmacologica appare di dimensione modesta. I
suddetti risultati hanno portato quindi gli autori ad auspicare all'implementazione di un approccio
multidisciplinare e di una piena integrazione tra offerta sanitaria e supporto sociale tra pazienti e
famigliari (Bollettino AIFA,2004).
2.2 Memantina.
Il suo utilizzo è indicato nelle fasi moderatamente severa e severa della malattia. Agisce
compensando gli effetti tossici derivanti dall'eccessiva eccitazione delle cellule nervose causata dal
Glutammato. Si ritiene che la memantina abbia un duplice effetto: sintomatico e neuroprotettivo. Se
associata alla somministrazione di inibitori dell'acetilcolinesterasi si evidenziano: miglioramento
cognitivo, riduzione del declino nelle attività quotidiane e riduzione della frequenza di nuovi
sintomi comportamentali (Cummings,2004).
2.3 Antiossidanti.
Rientrano in questa categoria la selegilina e la vitamina E. Il loro impiego si deve al fatto che si
ritiene intervengano nei processi ossidativi che caratterizzano l'invecchiamento. La loro assunzione
11
contribuirebbe a rallentare i meccanismi che portano alla perdita delle cellule cerebrali. Questa
categoria di farmaci quindi non produce miglioramenti nelle funzioni cognitive, ma svolge
primariamente una funzione neuroprotettiva. Molti studi inoltre forniscono evidenze secondo cui la
vitamina E abbia un ruolo nel rallentare l'insorgenza dell'AD (Cummings, 2004). Si evidenziano
inoltre effetti salutari e benefici nell'associazione di vitamina E e farmaci inibitori
dell'acetilcolinesterasi.
2.4 Farmaci per il trattamento dei disturbi del comportamento.
La terapia per i disturbi del comportamento consiste fondamentalmente in interventi palliativi o
contenitivi. È importante però tentare di risolvere questo tipo di disturbi primariamente con
interventi di tipo non farmacologico, e ricorrere solo successivamente all'utilizzo di farmaci quali:
antidepressivi, ansiolitici, ipnotici e antipsicotici.
3. Interventi psicosociali.
Gli attuali limiti circa l'efficacia delle terapie farmacologiche e la sempre maggiore richiesta di una
più ampia gamma di opzioni terapeutiche hanno fatto sì che gli interventi di tipo psicologico siano
considerati anche in ambito biomedico. Gli interventi psicologici non risolvono, ovviamente, il
meccanismo patogeno alla base della malattia, ma il valore del miglioramento cognitivo osservabile
in pazienti che seguono questo tipo di trattamenti è indiscutibile. È da sottolineare, inoltre, che un
qualsiasi intervento farmacologico risulta sterile e privo di efficacia se non viene inserito in un
contesto di stimolazione cognitiva per il paziente. È infatti scarsamente utile tentare di restituire,
tramite i farmaci, una maggiore funzionalità cognitiva se poi non viene permesso al paziente di
esercitarla. Negli ultimi anni, numerosi studiosi suggeriscono caldamente l'implementazione di
approcci complementari che prevedano l'associazione tra farmaci e terapie non farmacologiche
(Zanetti, 2004; Onder, 2005; Olazaràn, 2010).
Infine ricordiamo che rispetto ai farmaci gli interventi di tipo psico-sociale sono meno costosi,
12
possono essere rivolti con ottimi risultati anche ai caregivers (Olazaràn, 2010) dei malati e il loro
costo è in riferimento soprattutto allo sforzo umano.
In seguito descriverò alcuni di questi interventi psicol-sociali. Questi interventi sono stati scelti
perchè sono gli unici su cui sia stato possibile condurre studi controllati e testarne la validità.
3.1 Terapia della reminiscenza (RT).
La Terapia della Reminiscenza è uno degli interventi psico-sociali più popolari nella cura della
demenza. Introdotta negli anni '80, si basa sull'assunto che le memorie remote rimangano intatte
durante gli ultimi stadi della demenza e che possano essere utilizzate come forma di comunicazione
con il paziente. In questo approccio eventi remoti costituiscono il punto di partenza per stimolare le
risorse mnestiche residue e per recuperare esperienze emotivamente piacevoli. A tal scopo si
utilizzano anche diversi materiali di supporto quali: musica, fotografie, video. L'obiettivo
terapeutico è quello di favorire il naturale processo di rievocazione che avviene nell'anziano,
rendendolo più consapevole e intenzionale. Gli studi disponibili suggeriscono che la RT può
migliorare il tono dell'umore e alcune abilità cognitive (Cotelli, 2012). La terapia può realizzarsi
spontaneamente durante le attività giornaliere o può essere inserita in un contesto più strutturato,
può svolgersi individualmente o in gruppo. La reminiscenza può inoltre essere associata ad altri
interventi strutturati come la ROT (Cotelli, 2012). La terapia prevede un coinvolgimento attivo del
caregiver che spesso trae a sua volta beneficio dal trattamento (Woods, 2005).
Tuttavia la più recente revisione sulla Terapia della Reminiscenza pubblicata dalla Cochrane
Library indica che non può essere raggiunta nessuna conclusione definitiva sulla sua efficacia nella
cura della demenza a causa della scarsità di studi controllati che possano portare a più robuste
conclusioni (Woods, 2005).
3.2 Terapia di orientamento alla realtà.
La terapia di orientamento alla realtà è un metodo riabilitativo che consiste nella continua
ripetizione al paziente delle sue coordinate spaziali, temporali e personali. 13
Così come originariamente pensata dal suo autore, Folsom, è composta di due modalità
terapeutiche:
la ROT formale o di classe consiste in sedute giornaliere di circa 45 minuti, condotte in
– gruppi di 4-6 persone omogenee per grado di compromissione cognitiva, durante le quali un
operatore impiega una metodologia di stimolazione standardizzata finalizzata a riorientare il
paziente. Le sedute si svolgono in classi appositamente equipaggiate;
la ROT informale o 24 ore, la quale prevede l'uso di facilitazioni temporo-spaziali
– nell'ambiente di vita del paziente quali calendari, simboli chiaramente interpretabili circa il
momento dell'anno e un processo di stimolazione continua ad opera di operatori sanitari e
famigliari. Questa componente della ROT provvede alla costruzione di un ambiente
protesico.
Poiché argomento principale di questa trattazione, gli aspetti fondamentali della terapia verranno
meglio specificati nel capitolo seguente.
erapia di stimolazione cognitiva.
3.3 T
La stimolazione cognitiva trova applicazione non solo nell'ambito della demenza, ma anche
dell'invecchiamento normale. Sono infatti numerose le evidenze secondo cui la mancanza di attività
cognitiva acceleri il declino cognitivo. Secondo la definizione di Clare e Woods (2004) intendiamo
per stimolazione cognitiva il coinvolgimento in una serie di attività e discussioni, solitamente in
gruppo, con lo scopo di un generale aumento del funzionamento cognitivo e sociale. L'approccio di
stimolazione cognitiva è un approccio onnicomprensivo, che si prefigge di sollecitare le abilità
residue del paziente, intese come un tutto funzionale, con la speranza che a questa sollecitazione
segua una positiva ripercussione sul suo benessere quotidiano.
A differenza degli approcci precedentemente adottati, l'interesse principale della terapia non è tanto
ottenere dal paziente la risposta corretta, quanto focalizzare l'attenzione sul percorso che ha portato
alla risposta e che ha permesso al paziente di allenare le sue funzioni cognitive nei limiti concessi
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della malattia. Numerose ricerche hanno dimostrato che l'obiettivo della stimolazione cognitiva non
solo è più realistico, ma anche fonte di minor frustrazione. La più recente revisione della Cochrane
Library (2012) riporta un chiaro e consistente beneficio sulle funzioni cognitive associato alla
stimolazione cognitiva in pazienti con demenza di grado lieve e moderato. Numerosi studi inoltre
consigliano l'associazione tra inibitori dell'acetilcolinesterasi e strategie di stimolazione cognitiva
(Bottino, 2005) e nel 2011 il rapporto mondiale sull'Alzheimer (Prince, 2011) conclude che gli
inibitori del