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Ad esempio il detenuto non può gestirsi in autonomia i propri soldi nel caso
intenda comprare generi alimentari o di altro tipo regolarmente in vendita nel
supermercato interno del carcere. Deve inoltrare richiesta formale di acquisto
e soltanto dopo che si sarà concluso un iter burocratico dalla durata variabile,
previa verifica della disponibilità di denaro nel conto corrente gestito da un
operatore penitenziario, potrà ricevere il bene acquistato. Il detenuto, inoltre,
non può decidere liberamente di recarsi in visita, nelle ore consentite dal
20 P. Gonnella, Carcere. I confini della dignità, Jaca Book, Milano, 2014. 23
regolamento interno, dal cappellano, dal medico, dall’educatore o in
biblioteca. Per ogni spostamento, infatti, egli deve essere autorizzato
preventivamente per poi essere accompagnato da un agente di polizia
penitenziaria, anche se il percorso da fare è breve.
Il suddetto modello ha uno slang fatto di diminutivi e di arcaismi: è
un linguaggio un po’ offensivo infatti il direttore è chiamato «illustre
signoria»; al poliziotto ci si rivolge come al «superiore»; il modello per
inoltrare qualsiasi richiesta è denominato «domandina». Il linguaggio
carcerario segna, quindi, in maniera patente quanto poco spazio vi sia per la
responsabilità del sistema penitenziario. Il linguaggio penitenziario è usato
per umiliare, per sancire la subalternità e negare la responsabilità.
Nel modello correzionale vi è un misto di autoritarismo e
paternalismo. Il detenuto non ha mai certezza sui tempi delle risposte alle sue
domande, in questo modello il silenzio equivale a dissenso e insicurezza ed
ansia sono i fattori dominanti.
Il procedimento disciplinare, poco rispettoso del principio di legalità
e per nulla ispirato ad un modello accusatorio e garantista, serve a preservare
rapporti di autorità, infatti in esso non conta tanto la sanzione irrogata dal
direttore o dal consiglio disciplinare quanto le conseguenze di quella
sanzione. 21
21Le sanzioni previste dall’art. 39 dell’ordinamento penitenziario sono: richiamo del
direttore, ammonizione rivolta dal direttore alla presenza di appartenenti al personale e di un
gruppo di detenuti o internati, esclusione da attività ricreative e sportive per non più di dieci
giorni, isolamento duramente la permanenza all’aria aperta per non più di dieci giorni,
esclusione dalle attività in comune per non più di dieci giorni. 24
Nel carcere correzionale paternalista i diritti fondamentali non sono
garantiti, bensì sono più o meno concessi a seconda di quanto il detenuto è
capace di “farsi la galera”. Tale modello non offre opportunità autentiche di
reintegrazione sociale: ogni momento della giornata è riempito da decisioni
prese da altri, il detenuto non può scegliere liberamente come impiegare o
ingannare il proprio tempo; subisce, quindi, un modello sostanzialmente
autoritario.
Il modello carcerario umanocentrico e responsabilizzante, invece, è
un contenitore virtuoso, capace di tenere conto della complessità umana e di
assicurare il rispetto dei diritti e della dignità.
La finalità della pena dovrebbe essere quella di favorire un percorso
che vada dalla devianza criminale alla responsabilità sociale.
È questo un modello che riduce i rischi di recidiva e aiuta la coesione
comunitaria. Affinché ciò possa avvenire, il modello di vita penitenziaria
deve essere il più possibile simile a quello della vita libera. Al detenuto,
infatti, devono essere offerte nella giornata continue opportunità di scelta,
delle quali egli possa assumersi la responsabilità. Il linguaggio penitenziario
deve essere lo stesso della vita libera, non deve essere diretto ad umiliare la
persona, ma deve contribuire a responsabilizzarla. Le regole a cui sottostare
devono essere chiare, comprensibili e rispettabili. Il detenuto deve potersi
confrontarsi agli operatori non in modo servile o falso ma deve poter
esprimere le proprie opinioni.
Il modello umanocentrico responsabilizzante è fondato sulla fiducia,
infatti il sistema delle misure alternative e dei benefici, che accorciano la pena 25
e la riducono in intensità, deve essere interpretato come un investimento
fiduciario sulla persona piuttosto che come un esito premiale.
In Italia si segue il modello umanocentrico responsabilizzante.
1.4 La funzione rieducativa della pena e l’art. 27 della
Costituzione
Le teorie sulla funzione della pena vengono distinte in assolute e
relative. Sono dette assolute quelle dottrine retributivistiche, secondo le quali
si punisce quia peccatum est, e cioè perché è stato commesso un delitto; sono,
invece, teorie relative tutte le dottrine utilitaristiche per le quali si punisce ne
peccetur, cioè per impedire che nel futuro si commettano altri delitti. Secondo
le prime la pena trova ragione in se stessa, per le altre è un mezzo per
conseguire uno scopo estrinseco e precisamente il bene della società. 22
Quindi, i fondamenti teorici e gli scopi della sanzione penale sono
riconducibili a tre diverse impostazioni: quella che si fonda su un’idea di
sanzione strettamente retributiva, per cui la pena dovrebbe servire a ripagare
adeguatamente il ‘male’ provocato attraverso il reato, quella che concepisce la
sanzione in chiave preventivo-generale, per cui l’intimidazione derivante
dalla minaccia della sanzione dovrebbe costituire valido deterrente verso la
commissione di reati e quella che fa leva soprattutto sugli obiettivi di
22F. Baldassarelli, Funzione rieducativa della pena e nuovo processo penale, Mulino, Bologna,
1990 26
prevenzione speciale, per cui la pena dovrebbe tendere ad evitare che l’autore
del reato nel commetta in futuro di nuovi. 23
Con l’entrata in vigore della Costituzione il problema del
fondamento e delle giustificazioni della pena sembra mutare prospettiva in
quanto l’art. 27 della Costituzione stabilisce al terzo comma che «le pene non
possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono
tendere alla rieducazione del condannato».
Quindi il terzo comma del suddetto articolo fissa il principio di
umanizzazione della pena, intendendo bandire ogni trattamento disumano e
crudele che non sia inscindibilmente connesso alla restrizione della libertà
personale .
24
Inoltre, l’art. 27 della Costituzione, enunciando che le pene devono
tendere alla rieducazione del condannato, sancisce il principio del finalismo
rieducativo della pena. Il concetto di rieducazione viene inteso come concetto
di relazione, rapportabile alla vita sociale e che presuppone un ritorno al
soggetto nella comunità. Rieducare il condannato, quindi, significa riattivare
il rispetto dei valori fondamentali della vita sociale; rieducazione non può
23G. NeppiModona, D. Petrini, L. Scomparin, Giustizia penale e servizi sociali, Editori Laterza,
Bari, 2009
24F. Mantovani, Diritto penale, Cedam, Padova, 2001 27
essere intesa se non come sinonimo di “recupero sociale”, di “reinserimento
sociale”, di “risocializzazione” .
25
25F. Antilosei, Manuale di diritto penale, Giuffrè, Milano, 1985 28
II Capitolo – Il sovraffollamento
Le cause
2.1 Le cause del sovraffollamento delle carceri sono essenzialmente di
due tipi: sistematiche e congiunturali.
Tra quelle sistematiche, relative cioè all’organizzazione penale nel
suo complesso, è da considerare innanzitutto una legislazione penale
carcero-centrica, che assegna al carcere non la funzione, assegnatale dalla
nostra Costituzione, di extrema ratio cui ricorrere quando le altre misure non
risultino efficaci, bensì quella di sanzione prevista per tutti i reati diversi da
quelli dei “colletti bianchi”. È sicuramente inadeguato il catalogo delle misure
alternative al carcere che sono escluse per tutti coloro detenuti per i cosiddetti
delitti ostativi . Tra questi si annoverano, infatti, non solo mafia e terrorismo,
26
ma anche una serie di reati la cui gravità non sempre giustifica il divieto di
27
usufruire dei benefici penitenziari.
Inoltre, se si considera che oltre il 40 % dei detenuti in carcere sono
in attesa di giudizio, è chiaro che il ricorso alla custodia cautelare in carcere
non sia affatto una misura residuale; ovvero un provvedimento da applicarsi
quando ogni altra soluzione sia ritenuta inadeguata per ragioni tipizzate dal
26Per delitti ostativi si intendono quei comportamenti che costituiscono soltanto il presupposto
dell’aggressione al bene tutelato.
27Tra i reati ostativi rientrano, ad esempio, la detenzione di armi e stupefacenti. 29
codice di tutela della collettività: reiterazione del reato, prevenzione del
pericolo di fuga dell’indagato e inquinamento probatorio.
Considerando la percentuale dei detenuti in attesa di giudizio, si nota che essa
è quasi doppia rispetto a quella della media europea, che fa dell’Italia lo Stato
membro dell’Unione Europea con il numero più alto di detenuti presunti
innocenti .
28
La custodia cautelare, strumento a volte indispensabile ai fini delle
indagini, presenta alcuni profili di potenziale illegittimità costituzionale
rispetto alla presunzione di innocenza art. 27, comma 2 della Costituzione .
29
Se costringere chi è stato condannato con sentenza definitiva a un
regime di questo tipo è di per sé una violazione della Carta dei Diritti
dell’Uomo, assoggettarvi presunti innocenti costituisce un’aggravante
intollerabile in uno Stato di diritto, come si evince sulla raccomandazione
della Comunità Europea sulla custodia cautelare n. 13 del 2006: «I detenuti in
custodia cautelare devono essere soggetti a condizioni appropriate al loro
status legale di presunta innocenza; questo comporta l’assenza di restrizioni
che non siano quelle necessarie all’amministrazione della giustizia, la
sicurezza dell’istituzione carceraria, la sicurezza dei prigionieri e dello staff e
la protezione dei diritti altrui ed in particolare l’ottemperanza ai requisiti delle
28M. Falcone, Carceri, lo spazio è finito. Emergenza sovraffollamento nelle prigioni italiane,
Infinito edizioni, Modena, 2012
29L’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva. 30
Regole Europee per le Prigioni e alle altre regole stabilite nella Parte III del
presente testo» .
30
A causa dello stato di crisi del sistema giudiziario la carcerazione
preventiva finisce, spesso, per assolvere le funzioni di prevenzione generale e
di prevenzione speciale.
È, invece, agli stereotipi de