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APITOLO NTRODUZIONE
1.1. S
FONDO TEORICO
Il corpo come ogni altro oggetto è un solido che possiede un’estensione fisica nello
spazio e dunque come ogni altro oggetto viene codificato spazialmente dal nostro
cervello. Vari studi hanno però evidenziato come la codifica metrica dei segmenti
corporei possieda un vantaggio rispetto alla codifica metrica di oggetti extracorporei.
Un recente studio condotto da Sposito e collaboratori (Sposito, Bolognini, Vallar,
Posteraro, Maravita, 2010) ha dimostrato ciò attraverso un compito di bisezione, un
paradigma largamente utilizzato sia con soggetti neurologicamente sani, sia con
pazienti, per studiare la rappresentazione spaziale del corpo (Sposito e al, 2010). Ai
partecipanti, quattordici soggetti sani e quattordici pazienti affetti da negligenza
spaziale unilaterale sinistra (USN), accertata mediante una batteria standard di test,
veniva chiesto di indicare con la mano destra il punto corrispondente alla metà del
proprio avambraccio o di un cilindro delle medesime dimensioni (Esperimento 1). La
mano e la parte corrispondente del cilindro venivano coperte durante lo studio e il
punto medio di ogni stimolo era allineato con il piano sagittale del corpo di ogni
partecipante (Figura 1). Ogni soggetto eseguiva in tutto 48 trials, 24 per ogni stimolo
divisi in due blocchi da 12 trials, con un ordine del tipo ABBA. I risultati (Figura 2)
mostravano come sia per il gruppo di soggetti sani, sia per il gruppo di pazienti, vi fosse
una differenza significativa per quanto riguarda la performance con i diversi stimoli: la
stima del punto medio dell’avambraccio era più accurata rispetto alla stima del punto
medio del cilindro (Sposito et al, 2010). 5
Figura 1: schematizzazione del setting sperimentale.
Nell’esperimento citato (Esperimento 1) vengono utilizzate le
condizioni (A) e (B), nel secondo esperimento (Esperimento 2)
vengono usate tutte le condizioni.
Figura 2: Errori standard dei soggetti neurologicamente
sani e dei pazienti USN nelle due condizioni sperimentali
(Solid, Forearm).
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Questi risultati, dunque, confermano la presenza di un vantaggio nella codifica della
lunghezza delle parti del corpo rispetto alla codifica di oggetti solidi extracorporei;
vantaggio che può essere spiegato da diversi fattori.
Innanzi tutto è necessario considerare la differenza di informazioni di cui disponiamo
nel momento in cui ci riferiamo ad un oggetto rispetto ad un segmento corporeo: nel
primo caso la codifica dovrà basarsi esclusivamente su un input di tipo visivo mentre
nel secondo caso l’input sarà multisensoriale, di tipo somatosensoriale e propriocettivo
oltre che visivo. La classica nozione di rappresentazione del corpo come “Body
Schema”, cioè come una rappresentazione interna della posizione del corpo
costantemente aggiornata ad ogni movimento, inconsapevole e automatica (Head &
Holmes, 1911) è stata sostituita da un nuovo e più moderno approccio alla
rappresentazione del corpo intesa come il risultato dell’integrazione di input derivanti
da differenti modalità sensoriali (Maravita, Spence & Driver, 2003; Maravita, 2006).
Essa sarebbe infatti determinata sia da input propriocettivi sia da input tattili e visivi.
Le prove a favore di questa visione multisensoriale della rappresentazione corporea
sono molteplici e provengono da approcci di ricerca differenti. Evidenze
dell’interazione crossmodale si possono avere infatti mettendo in conflitto le varie
modalità sensoriali in un soggetto neurologicamente sano: ad esempio producendo
una vibrazione del muscolo bicipite si ha l’illusione che questo si allunghi (Lackner,
1988); se ciò avviene mentre il soggetto si sta toccando il naso allora si genera un
conflitto tra l’illusione propriocettiva di allungamento e la sensazione tattile che l’arto
stia ancora toccando il corpo. Questo conflitto si traduce in una sensazione soggettiva
di allungamento del naso (da qui il nome “Illusione di Pinocchio”) o, più in generale, di
distorsione o dislocazione della parte del corpo che si sta toccando. Per quanto
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riguarda l’interazione tra modalità propriocettiva e modalità visiva essa è evidente nel
“virtual body effect” (Austen, Soto-Faraco, Pinel, & Kingstone, 2001) o “rubber hand
illusion”, in cui si genera l’illusione che un arto finto, posto in una posizione diversa
anche se anatomicamente plausibile, rispetto ad un arto reale ma invisibile,
appartenga al proprio corpo. Tale illusione risulta ancora maggiore se la vista dell’arto
finto è accompagnata da una stimolazione tattile visibile su tale arto, sincrona ad una
stimolazione tattile invisibile dell’arto reale. L’effetto di interazione tra modalità tattile
e visiva si può evidenziare tramite compiti di congruenza crossmodale (Spence &
Driver, 1998). In questi compiti i soggetti ricevono una stimolazione tattile (una
vibrazione) sull’indice o sul pollice (in alto o in basso) della mano destra o sinistra;
contemporaneamente un distrattore visivo può essere presentato in una delle quattro
posizioni (indice mano destra, indice mano sinistra, pollice mano destra, pollice mano
sinistra) in cui può essere presentata la vibrazione. I distrattori quindi possono essere
congruenti in altezza quando compaiono nella medesima posizione della vibrazione, o
incongruenti quando compaiono in una posizione diversa; compito dei soggetti è
quello di discriminare la posizione della stimolazione tattile. Quando i distrattori sono
incongruenti i soggetti producono molte più risposte erronee rispetto a quando questi
sono congruenti. Si ha dunque un effetto crossmodale inteso come una differenza di
performance tra prove incongruenti e prove congruenti; tale effetto è maggiore
quando lo stimolo visivo incongruente viene presentato vicino alla mano a cui viene
presentato lo stimolo tattile, rispetto a quando viene presentato vicino all’altra mano.
Altre evidenze circa la natura multisensoriale della rappresentazione corporea
derivano dagli studi su singole cellule: nella corteccia premotoria ventrale (Graziano &
Gross, 1995), nell’area parietale 7b (Hyvarinen & Poranen, 1974), nell’area
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intraparietale ventrale (Duhamel, Colby & Goldberg, 1998), nel solco temporale
superiore (Bruce, Desimone & Gross, 1981), nel putamen (Graziano & Gross, 1994) e
nei collicoli superiori (Stein, Magalhaes-Castro & Kruger, 1976) sono stati individuati
neuroni bimodali i cui campi recettivi rispondono sia a stimolazioni visive sia a
stimolazioni tattili. In particolare tali neuroni preferiscono gli stimoli visivi che sono
presentati nello spazio peripersonale, vicino alla parte del corpo a cui corrisponde il
loro campo recettivo tattile (Graziano & Gross, 1994). La natura multisensoriale della
rappresentazione del corpo potrebbe quindi essere uno dei fattori che spiega il
vantaggio della codifica delle dimensioni dei segmenti corporei rispetto alla codifica di
oggetti extracorporei.
Altro importante fattore riguarda il ruolo dell’azione nella rappresentazione corporea
infatti “one of the features distinguishing our relation to our bodies from our relations
to other physical object is the fact that we can act directly with our body” (Elian,
Marcel, & Bermudez, 1996). Dal momento che noi utilizziamo quotidianamente il
nostro corpo per interagire con lo spazio circostante, ad esempio utilizziamo braccia e
mani per raggiungere e afferrare gli oggetti, dobbiamo necessariamente avere una
conoscenza precisa delle sue dimensioni. Dunque è plausibile che l’azione contribuisca
a creare una struttura categorica del nostro corpo, descritto attraverso forme
prototipiche e organizzato in unità funzionali (de Vignemont, Tsakiris, & Haggard,
2006) la quale viene attivata dalla particolare forma visuo-spaziale dei segmenti
corporei. Nello studio precedentemente descritto di Sposito e collaboratori un
secondo esperimento (Figura 1) analizza la performance di venti pazienti destrimani ai
quali veniva chiesto di indicare il punto di bisezione del proprio avambraccio sinistro o
di un finto avambraccio sinistro o del cilindro utilizzato nel primo esperimento con la
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mano destra e successivamente del proprio avambraccio destro o di un finto
avambraccio destro o del cilindro con la mano sinistra. Metà dei soggetti iniziava con la
mano destra, metà con la mano sinistra; ogni soggetto eseguiva in totale 72 prove, 24
per ogni stimolo suddivise in due blocchi da 12 trials in un disegno del tipo ABC-CBA. I
risultati (Figura 3) mostrarono come, congruentemente con i risultati precedenti, vi
fosse una differenza significativa tra la performance nella bisezione dell’oggetto e
dell’arto reale e dell’oggetto e dell’arto finto, mentre non vi era una differenza
significativa tra la performance nella bisezione dell’arto reale e dell’arto finto (Sposito
et al, 2010). Figura 3: Errori standard dei soggetti sani
nelle tre condizioni sperimentali (Solid,
Forearm, FakeForearm)
In uno studio successivo Bolognini e colleghi (2012) hanno indagato la
rappresentazione spaziale di parti del corpo reali e finte in 10 soggetti sani e in 16
pazienti con danni all’emisfero destro (RHD) con e senza USN (i deficit controlesionali
motori, somatosensoriali e visivi, inclusa l’estinzione tattile e visiva, erano accertati
10
mediante un esame neurologico standard mentre i deficit nel senso di posizione erano
accertati mediante un test sviluppato da Vallar e collaboratori (1993). Ai partecipanti
veniva chiesto di svolgere un compito di bisezione: essi venivano fatti sedere su una
sedia e veniva presentato di fronte a loro, ad una distanza di circa 20 cm, uno stimolo
che poteva essere o il loro avambraccio sinistro o un finto avambraccio sinistro delle
medesime dimensioni. Durante il compito i soggetti indossavano un mantello: durante
i trials che prevedevano come stimolo l’arto reale questo fuoriusciva da due buchi del
mantello in modo che solo esso rimanesse visibile mentre la mano e la parte del
braccio al di sopra del gomito continuavano ad essere coperte; durante i trial in cui lo
stimolo era costituito dal finto avambraccio solo questo era visibile (Figura 4).
Figura 4: Schematizzazione del setting sperimentale
per entrambi gli stimoli (avambraccio reale,
avambraccio finto) (A) e scatola per l’adattamento
prismatico (B)
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Il compito prevedeva che in ogni trial i partecipanti indicassero con il loro indice destro
quello che ritenevano essere il punto medio dello stimolo (le cui estremità erano
contrassegnate da segni neri); in tutto l’esperimento prevedeva 48 trial, 24 per ogni
condizione sperimentale in un disegno del tipo ABAB (BABA) somministrati in due
sessioni, 24 trials (12 per ciascuna condizione st