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ESAME ESTERNO ESAME INTERNO
Non vi sono reperti esterni Possibile emorragia
- post -rianimazione
significativi, ad eccezione di: Aumento del peso di
-
Liquido schiumoso e
- diversi organi come
sanguigno nelle narici timo, polmoni, fegato e
Segni di rianimazione
- cervello
Ferite di piccolo calibro
- Vescica e retto vuoti
-
agli orifizi del corpo Petecchie
-
dovute alla rianimazione intratoraciche (timo,
pleura, visceri ed
epicardio)
Infiammazione
- subacuta delle vie
respiratorie superiori
Congestione
- polmonare / edema
Ematopoiesi epatica
- persistente
Altre lesioni da
- rianimazione, come ad
esempio : riperfusione
miocardica e necrosi
del miocardio
Figura 4 : Rappresentazione dei reperti istopatologici più rilevanti descritti in un neonato affetto da SIDS
(Illustrazione Bambino Prematuro tratta da www.alamy.it)
1.2.3 Il modello “TRIPLE RISK”
Il modello Triple Risk (o Triplo Rischio), sviluppato da Filiano e Kinney, ha guidato la ricerca
sulla SIDS sin dai primi anni ’90, dove studi osservazionali conformi a tale teoria hanno
identificato l’età di picco della vulnerabilità del neonato alla SIDS (2- 4 mesi) e i fattori di rischio
maggiormente associati.
Riconoscere il periodo di vulnerabilità del neonato è attualmente una sfida significativa poiché,
nonostante i recenti studi, questa suscettibilità non è ancora stata chiaramente definita.(3).
Il modello eziopatogenetico del “triplo rischio” o Triple Risk (Figura 5), adottato dalla comunità
scientifica internazionale, teorizza che la SIDS si verifichi quando sul neonato convergono tre
indistinguibili fattori: presenza di un periodo critico dello sviluppo infantile nei primi mesi di vita,
di fattori “stressori” ambientali o esogeni (come la posizione prona o laterale del sonno) e di una
vulnerabilità fisiologica intrinseca del neonato (come sintomi cardiorespiratori o di eccitazione
immaturi). 10
L’insieme di questi tre fattori può innescare nel neonato un episodio simile ad uno shock di
apnea, perdita di coscienza e bradicardia (13).
Analizzando i fattori costituenti di questo modello, è possibile notare alcuni dati rilevanti: in
primo luogo, il periodo critico del neonato il più delle volte è quello dai 2 ai 4 mesi e viene
considerato come una fase cruciale, in quanto il bambino subisce notevoli cambiamenti a livello
del sistema respiratorio, nervoso, cardiocircolatorio e autonomo (12). Infatti, fasi di crescita
rapida e cambiamenti nei controlli omeostatici, si verificano nei primi 6 mesi di vita del bambino
e sono evidenti agli occhi dei genitori, come per esempio il ritmo sonno/veglia, oppure
differenze “sottili”, come una variazione nella respirazione, nella frequenza cardiaca, nella
pressione sanguigna e nella temperatura corporea, destabilizzando temporaneamente i sistemi
cerebrali del neonato (14).
Anche se alcuni bambini possono sopravvivere ai fattori di stress ambientali, altri potrebbero
risultare più vulnerabili e non essere in grado di affrontarli o superarli. I fattori come il fumo
passivo, il surriscaldamento dell’ambiente, la posizione di sonno prona o un’infezione delle vie
aeree respiratorie superiore, presi “singolarmente” non causano la morte improvvisa e
inaspettata del bambino, ma possono purtroppo aumentare in modo considerevole la probabilità
.
di decesso, impedendo al piccolo la reattività necessaria alla sopravvivenza
Figura 5: Modello del triplice rischio SIDS (o Triple Risk) (5)
Il modello Triple Risk risulta essere di fondamentale utilità perché ci permette di comprendere
come gli unici aspetti su cui è possibile intervenire sono i fattori di rischio, poiché sia l’età critica
(0- 6 mesi) che la relativa vulnerabilità sono elementi sui quali sfortunatamente non è possibile
intervenire. 11
Questi, pertanto, sembrano essere solo alcuni dei fattori più rilevanti individuati nei vari studi,
ma data comunque la moltitudine di ipotesi inerenti gli elementi scatenanti tale sindrome, ad
oggi, sono ancora in corso ulteriori ricerche per definire con certezza quali potrebbero essere i
fattori principali a scaturire la sindrome della morte in culla.
1.3 Fattori di rischio
Vista la difficoltà nel conoscere l’eziopatogenesi della morte improvvisa del lattante e la relativa
impossibilità di valutare i sintomi pre - mortem, molti degli studi effettuati si sono indirizzati verso
l’analisi dei fattori di rischio per la SIDS.
Quelli sinora identificati sono sicuramente numerosi e possono essere suddivisi in due
categorie: fattori intrinseci e fattori estrinseci. (Tab.1)
FATTORI DI RISCHIO INTRINSECI
GENETICI: sesso maschile; etnia; polimorfismo trasportatore della serotonina;
epilessia; malattie metaboliche; infiammazione.
SVILUPPO : nascita prematura (con basso peso alla nascita) e patologia
intrauterina.
AMBIENTALI: esposizione del neonato al fumo di sigaretta, utilizzo di droghe,
alcool, fumo da parte dei genitori; svantaggi socioeconomici e giovane età
materna. FATTORI DI RISCHIO ESTRINSECI
Dormire in posizione prona o di lato; materasso soffice; condivisione del letto con i
genitori; temperatura elevata della stanza in cui riposa/dorme; cuscini, coperte.
Tabella 1: Fattori di rischio SIDS (10) (2) (15)
I fattori estrinseci (o modificabili) sono rappresentati dal far dormire il bambino in posizione
prona, ossia sulla pancia, dal mancato uso del ciuccio durante il sonno, dalla condivisione del
letto con i genitori e/o parenti, dal dormire in luoghi diversi dal proprio lettino/culla, dalla
12
temperatura alta della stanza in cui il neonato riposa ed anche dall’ avvolgere strettamente in
fasce il neonato.
I fattori di rischio intrinseci (o non modificabili) possono essere invece genetici, ambientali e
legati allo sviluppo.
1.3.1 I fattori di rischio intrinseci
È importante comprendere quanto ciascuno di questi fattori di rischio sia determinante nel
provocare la SIDS e, pertanto, l’obiettivo principale di questa revisione è quello di identificare la
maggior parte degli elementi di rischio associati alla sindrome della morte in culla e delineare,
laddove possibile, varie modalità di prevenzione infermieristica e familiare oltre agli interventi
attuabili per la riduzione del tasso di mortalità infantile a essa correlato.
Fattori demografici: come descritto in alcuni studi, la SIDS viene considerata come una
- sindrome rara dai 2 ai 4 mesi di vita del neonato, periodo di massima incidenza, in
quanto dopo i 6 mesi l’insorgenza della sindrome tende a diminuire; infatti, è stato
dichiarato come il 90% dei casi di decessi da SIDS avviene entro il primo anno di vita.
Con un rapporto di 60:40, è stato visto come i neonato di sesso maschile sono più inclini
a morire per SIDS rispetto alle femmine (2). In alcune popolazioni, i neonati neri non
ispanici, i neonati nativi americani e i prematuri hanno più probabilità di sviluppare la
sindrome della morte in culla; ed una recente ricerca epidemiologica ha inoltre
evidenziato una più alta probabilità del rischio SIDS per i nativi americani rispetto agli
altri neonati di diversa etnia.
Fattori genetici: i test genetici hanno aiutato a chiarire i potenziali meccanismi di morte
- della SIDS e poiché è una sindrome multifattoriale, diversi possono essere i fattori che
contribuiscono alla morte infantile. Il modello del triplo rischio (o Triple Risk), come visto
precedentemente, ci suggerisce che i componenti genetici, svolgono un ruolo importante
nella SIDS soprattutto nei bambini “vulnerabili” che vengono colpiti dalle variabili
genetiche. I casi di SIDS con problemi cardiovascolari genetici monogenici
rappresentano una minima e poco significativa percentuale nello sviluppare la sindrome.
Un recente studio ha evidenziato possibili variazioni genetiche che causano la malattia
solo nel 20% dei casi di SIDS, considerando un elenco di ben 192 geni collegati a
malattie cardiovascolari e metaboliche: varianti geniche collegate a canalopatie e
cardiomiopatie sono state trovate nella maggior parte di questi pazienti (16).
13
Ulteriori studi hanno inoltre descritto neonati affetti da SIDS con una storia familiare di
2
sindrome di Brugada con varianti genetiche legate a tale sindrome (18). Sono state
inoltre esaminate svariate categorie di funzioni fisiologiche rilevanti per la SIDS per
alterazioni genetiche; i geni correlati al trasportatore della serotonina, alle canalopatie
cardiache e allo sviluppo del sistema nervoso autonomo sono ancora ad oggi oggetto di
ulteriori studi. Anche una ridotta capacità di un neonato nello sviluppare una risposta
immunitaria alle infezioni può creare una vulnerabilità intrinseca alla SIDS.
Fattori di sviluppo: il fattore intrinseco di rischio SIDS legato allo sviluppo consiste nella
- prematurità. Quest’ultima è un forte fattore di rischio per la morte improvvisa e
inaspettata del lattante, con età inferiore ad 1 anno. I neonati pretermine (< 37 settimane
di gestazione completa) e il basso peso alla nascita (< 2500g) identificano in essi un’alta
percentuale di probabilità di rischio SIDS (10) a causa della prematurità delle vie
regolatrici della respirazione e della circolazione (19).
Nonostante il tasso di mortalità dei neonati pretermine associato alla sindrome della
morte in culla sia dimezzato negli ultimi anni, il rischio di decessi per SIDS tra i neonati
pretermine rispetto a quelli nati a termine, rimane elevato.
Alcuni dati dimostrano come il rischio di SIDS nei neonati è inversamente proporzionale
all’età gestazionale alla nascita e che ulteriori differenze tra i decessi dei neonati a
termine e quelli nati pretermine esistono anche nell’età in cui avviene il relativo decesso
(10). Nei neonati nati a termine, circa il 90% dei decessi per SIDS avviene in neonati
con età inferiore ai 6 mesi, con un netto picco d’incidenza tra i 2 e i 4 mesi d’età.
I neonati estremamente prematuri (nati tra la 24° e la 28° settimana di gestazione) sono
morti di SIDS in età postnatale più avanzata (quasi 18 settimane), rispetto a quelli nati a
termine (12,8 settimane) ma in età post mestruale più precoce.
Sempre secondo tale studio, è stato dimostrato che i bambini nati prima delle 33
settimane di gestazione avevano una maggior età al momento del decesso, a differenza
di neonati nati tra le 22 e le 27 settimane di gestazione che morivano in media 6
settimane dopo rispetto a quelli nati a termine (10).
Ulteriori ricerche hanno evidenziato, inoltre, che c’è una riduzione dell’ossigenazione
cerebrale nel periodo che va tra l