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Le strategie di sviluppo
Le strategie di sviluppo vengono applicate nel momento in cui un'azienda raggiunge un
determinato livello di crescita per cui si pone il problema di stabilire se sia utile o meno continuare
nel proprio sviluppo. Se la risposta è affermativa, occorre stabilire in quale direzione orientare tale
evoluzione.
Senza dubbio, questo tipo di strategie è il più attrattivo poiché l'impresa può raggiungere
migliori risultati e donare maggiori incentivi, tra cui l'accesso a più fondi da dedicare agli
investimenti. Lo sviluppo può avvenire attraverso due linee principali, ovvero la concentrazione e la
diversificazione. 4
Tesi di Laurea triennale – Diletta Macario
La concentrazione viene adottata in caso di elevata attrattività del settore in cui opera
l'impresa; essa consiste infatti nel restare al suo interno per sfruttarne tutte le opportunità. Se
un'azienda sceglie la concentrazione, essa può svilupparsi verticalmente oppure orizzontalmente:
queste due differenti strategie prendono il nome di integrazione verticale e integrazione
orizzontale.
Adottare l'integrazione verticale significa portare al proprio interno un'attività del percorso
produttivo che prima si trovava all'esterno oppure cercare una nuova impresa che svolga questa
attività. L'impresa può agire “a valle” o “a monte” della catena produttiva e può farlo per linee
interne, agendo grazie ai propri mezzi, oppure per linee esterne, incorporando delle nuove
aziende.
L'integrazione orizzontale, invece, mira ad estendere l'attività dell'impresa tramite
l'acquisizione di aziende concorrenti che svolgono le medesime attività o la stipulazione di alleanze
strategiche. In ogni caso, si resta sempre allo stesso stadio della filiera produttiva. Questa strategia
offre come vantaggio l'aumento della taglia dell'impresa, in conseguenza all'aumento della sua
quota di mercato, e l'eliminazione di alcuni suoi concorrenti tramite le incorporazioni.
Lo sviluppo di Fiat
Per quanto riguarda l'integrazione verticale, è sicuramente il caso di Fiat, la quale è stata
all'origine integrata verticalmente nella produzione di un gran numero di componenti. Questa
caratteristica accomunava la maggior parte delle case automobilistiche
europee, almeno fino alla crisi petrolifera, ma per Fiat essa era più marcata a
causa delle caratteristiche particolari del mercato italiano.
Fino alla fine degli anni Sessanta, l'azienda torinese aveva una
struttura molto accentrata che implicava, tra i tanti, anche importanti
problemi di controllo dell'efficienza interna. Con la crisi petrolifera si sentì poi
la necessità di riprendere le problematiche del make or buy e di ristabilire dei
collegamenti con il mercato.
Questa strategia è utile per ridurre determinati costi di produzione, ma risulta raramente
adottata dato che comporta notevoli rischi legati all'aumento di complessità dell'impresa.
La creazione di grandi gruppi aziendali
La scelta dell'integrazione orizzontale è molto
diffusa nei settori dell'automotive e della moda: possiamo,
ad esempio, citare il caso del gruppo Volkswagen, che fin
dai suoi primi anni di vita ha acquisito numerose aziende
automobilistiche (tra cui Seat,
Škoda, Bentley, Lamborghini,
Bugatti, Audi e Porsche) e del
gruppo spagnolo Inditex SA, una
delle più grandi società di
distribuzione tessile di moda, che comprende i marchi Zara, Pull & Bear,
Bershka, Massimo Dutti, Stradivarius, Uterque e Oysho.
Grazie a questi esempi pratici, possiamo notare come l'integrazione
orizzontale possa coinvolgere aziende dal target di mercato molto diverso
(ad esempio, Seat e Lamborghini), oppure molto simile (come Zara e
Bershka); la linea comune, però, è sempre quella di restare all'interno del
medesimo settore di attività. 5
Tesi di Laurea triennale – Diletta Macario
Per quanto riguarda la diversificazione, essa viene adottata nel momento in cui si passa in
nuovi settori che possono essere simili o totalmente differenti da quello di partenza. Tale strategia
può essere messa in atto per linee interne o per linee esterne, anche se quest'ultima soluzione
risulta spesso la più diffusa nei settori di cui stiamo trattando.
Se la diversificazione viene costruita gradualmente intorno ad un nucleo centrale, si parlerà
di diversificazione concentrica: ciò significa che l'azienda inizia ad operare in uno o più settori affini
a quello di partenza, fino a completare una cerchia di attività tra loro complementari.
La diversificazione conglomerata, invece, consiste nell'intraprendere diversi business con
l'obiettivo di massimizzare il valore per gli azionisti: i settori di competenza sono completamente
eterogenei tra di loro, ma, in ogni caso, tutti i diversi business devono fare riferimento alla
medesima holding.
La creazione di grandi conglomerati aziendali
Molti gruppi del settore della moda operano in business eterogenei e uno dei più
importanti è sicuramente il LVMH Louis Vuitton Moët Hennessy SA: il gruppo è stato creato nel
1987 dalla fusione di due firme
prestigiose: Louis Vuitton, un'
impresa specializzata in accessori
moda, fondata nel 1834, e Moët
Hennessy, un'azienda specializzata
nella produzione di vini e alcolici
nata nel 1971.
Questa holding detiene attualmente
una sessantina di società caratterizzate da marchi di lusso operanti in diversi settori: orologi e
gioielli (Bulgari, TAG Heuer), vini e alcolici (Moët et Chandon, Veuve Clicquot), prodotti di moda
(Louis Vuitton, Dior, Fendi), profumi (Guerlain, Acqua di Parma) e
distribuzione (Sephora, Starboard Cruise Services).
Anche l'innovatore della produzione automobilistica in serie Toyota è
entrato di recente in nuovi settori per diversificare il proprio portafoglio di
business: oltre al marchio di autovetture Daihatsu e a quello di autobus e
autocarri Hino Motors, la multinazionale giapponese partecipa al settore
finanziario (Toyota Financial Services), a quello della movimentazione merci
(TMHG - Toyota Material Handling Group) e addirittura a quello delle
biotecnologie agricole, tramite investimenti in numerose piccole aziende in
Indonesia, Australia e Cina.
Le strategie di stabilità
In determinate occasioni, quando il futuro si presenta incerto o la crescita si interrompe,
per un'impresa è preferibile attendere lo svolgimento degli eventi. Ciò può avvenire secondo due
linee principali: la rinuncia allo sviluppo nel breve termine partendo da una buona posizione
competitiva oppure l'attesa di configurazione più chiara del contesto competitivo partendo da una
posizione sfavorevole, con l'intenzione, nella maggior parte dei casi, di abbandonare l'attività
intrapresa. Analizziamo ora più nel dettaglio questi due tipi di strategia di stabilità.
Nel caso in cui un'impresa parta da una buona posizione competitiva, essa può restare in
attesa di uno sviluppo del mercato, evitando i rischi legati a nuovi investimenti: si intuisce che
qualcosa sta per accadere, perciò si tratta di attendere per agire al momento giusto. In una
situazione in cui l’ambiente competitivo e la domanda possono rapidamente cambiare, l’impresa
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Tesi di Laurea triennale – Diletta Macario
non vuole correre rischi e attende che l’incertezza si diradi; è questo il caso dei settori high tech e
dunque anche dell'automotive, che deve ricorrere alle nuove tecnologie per integrare performance
e optional sempre più all'avanguardia nella produzione di autoveicoli.
Se, invece, l'impresa parte de una posizione competitiva debole e il suo settore presenta
una mediocre attrattività, l'impresa può scegliere di non effettuare nessun cambiamento, una
strategia di attesa dettata da eventi negativi di cui non si conoscono ancora le conseguenze,
oppure, essa può ricorrere al profit strategy, il quale consiste principalmente nel rinviare o ridurre
le spese di R&S, di manutenzione, di pubblicità, ecc. al fine di stabilizzare i profitti e il proprio cash
flow, nell'eventualità di essere acquisita da un'altra impresa.
In entrambi i casi, quest'ultimo tipo di strategia ha per obiettivo di superare le difficoltà
temporanee dell'azienda, ma senza tentare di risollevarne la situazione competitiva: si tratta di
strategie temporanee volte a rendere l'impresa più attrattiva per l'acquisto da parte di terzi.
Il fenomeno dell'imitazione
Nei settori in questione, una
situazione del genere si verifica quando si
concretizza la minaccia dell'ingresso nel
mercato di concorrenti che imitano i
prodotti di un'azienda e li
commercializzano a prezzi inferiori: le
imprese produttrici di fascia media
vedranno la loro quota di mercato
diminuire pericolosamente, dato che i loro
consumatori abituali preferiranno i nuovi
prodotti, più economici.
Un aspetto interessante di questo fenomeno dell'imitazione è che i brand che si rivolgono
alle fasce di mercato più elevate, e dunque i più imitati, non vengono danneggiati, bensì vedono la
loro immagine rafforzata da questi tentativi di emulazione.
È il caso, naturalmente, della contraffazione di articoli di moda di lusso, in particolare le
borse (come il modello Speedy di Louis Vuitton, il più copiato al mondo), ma anche della semplice
imitazione di capi di alta moda da parte di brand
low cost come Zara, Carpisa ed H&M, che si
ispirano alle collezioni degli stilisti e propongono i
medesimi modelli, ma con il proprio marchio.
Nel campo dell'automotive il fenomeno del
fake è pressoché impossibile da mettere in pratica:
non è infatti possibile copiare un'automobile in
ogni sua parte, marchio compreso. Tuttavia,
possiamo notare come le case automobilistiche di
fascia medio-bassa propongano dei modelli che
ricordano quelli più esclusivi, ma a prezzi più
contenuti: per esempio, il modello RCZ di Peugeot,
che imita la ben più costosa Audi R8; oppure la
Suzuki Swift, dalle linee molto simili a quelle della
Mini Cooper. 7
Tesi di Laurea triennale – Diletta Macario
Nel caso di marchi prestigiosi, dunque, l'imitazione risulta essere favorevole alle imprese, le
quali continueranno a commercializzare i loro prodotti premium alle fasce più alte dei consumatori
ai medesimi prezzi, mentre le imitazioni consentiranno al resto del mercato di conoscere e
desiderare indirettamente questo genere di prodotti.
Per quanto riguarda le aziende dal target più basso,