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DISCRIMINAZIONE DEGLI IMMIGRATI IN ITALIA

46,4 27,2 13,4

13,1

Molto discriminati Abbastanza discriminati Poco discriminati Per niente discriminati

11 Fonte: ISTAT, I migranti visti dai cittadini, 2012, [in rete] www.istat.it/it/archivio/66563 17

Il dato assolutamente positivo è che quasi il 90% degli intervistati ritiene

sia sbagliato ed ingiusto discriminare uno studente o un lavoratore perché

12

immigrato.

Visti i dati statistici, si deduce da un lato la forte necessità di un intervento

volto a favorire l’integrazione e dall’altro la precisa volontà dei cittadini

italiani di eleminare le discriminazioni. Proprio su questi dati va ad inserirsi

il ruolo dell’educazione che una volta rilevato il bisogno, si

interculturale,

prodiga per soddisfarlo. Ciò è indispensabile per non ignorare le dinamiche

che contraddistinguono la contemporaneità e dare all’istanza pedagogica il

taglio necessario per affrontare le nuove sfide della società multiculturale.

Alla luce di una tale complessità, un qualsiasi intervento volto

all’integrazione non può assolutamente prescindere dal considerare tutti gli

aspetti economici e politici, ma soprattutto quelli psicosociali del soggetto.

Un’analisi attenta dei motivi, delle situazioni, delle difficoltà

dell’immigrato sono un punto di partenza imprescindibile per un intervento

efficace.

Le motivazioni che spingono alla migrazione sono molteplici e catalogate

da molti studiosi con criteri diversi. riassume tutte le motivazioni ad

Stalker

emigrare nella di trovare nel paese di arrivo

speranza condizioni di vita

13 invece, riconduce le spinte motivazionali, alle due grandi

migliori. Zani,

categorie definite dagli studiosi e I push factors

push factors pull factors.

sono i propri del paese di origine, tra cui rientrano

fattori espulsivi

catastrofi naturali, forte aumento demografico, elevata disoccupazione,

basse retribuzioni, limitati diritti politici, persecuzioni… I pull factors,

12 Ibidem

13 Cfr. Stalker P., L’immigrazione, Carocci, Roma, 2003, p. 26-28 18

invece, sono i del paese di destinazione: richiesta di

fattori attrattivi

personale, elevati redditi, opportunità di realizzazione personale, alti

standard di vita…

Bisogna, però, tenere ben presente che i fattori attrattivi ed espulsivi non

sono le uniche motivazioni di una tale scelta. L’atto dell’emigrare è la

conseguenza di una decisione personale, fatta di molti aspetti più

14

complessi. Bonetti fornisce un elenco di cinque condizioni che,

verificandosi contemporaneamente, spingono all’emigrazione:

- la persona giunge a considerare la propria condizione di vita

assolutamente insoddisfacente per le proprie aspettative,

elaborate attraverso il confronto con situazioni migliori di cui

si è venuti a conoscenza grazie a letture, a racconti diretti di

parenti o amici, alla visione di trasmissioni televisive, ed oggi

sempre più attraverso lo strumento globalizzante che è

rappresentato da Internet;

- la percezione che la situazione non possa migliorare restando

nel paese d’origine, ma solo recandosi altrove;

- la persona ha fatto propri gli stili di vita del paese in cui vuole

emigrare (socializzazione anticipatoria) e si considera ormai

estraneo ai valori ed allo stile di vita del paese in cui vive; è,

inoltre, convinta che nel paese scelto i desideri di

realizzazione personale saranno soddisfatti;

14 Cfr. Bonetti P. (a cura di), Osservazioni per il parere sullo schema di documento triennale

programmatico delle politiche migratorie presentato dal Governo alle Camere ai sensi dell’art.

3 della legge 6 marzo 1998, n. 40, [in rete] www.stranieriinitalia.it/briguglio/immigrazione-e-

asilo/1998/luglio/doc.-progr.-bonetti-2.html 19

- la possibilità pratica di emigrare, cioè possesso di denaro per

il viaggio, di un alloggio provvisorio all’arrivo o denaro, di

documenti in regola, di una certa sicurezza e rapidità per il

trasporto…;

- la convinzione che i disagi subiti per giungere nel paese di

destinazione, gli sforzi per l’inserimento, la fatica del lavoro

nel nuovo Stato, saranno comunque meno gravosi e quindi

più sopportabili della situazione assolutamente insostenibile

del paese di origine.

1.2.2 Tra realtà e stereotipi

L’Italia per molti anni è stata terra di migrazione verso altri paesi, sia

oltreoceano che nel nord Europa. Da qualche anno è divenuta, invece, terra

di accoglienza per numerosi immigrati. Ciò ha trasformato la nostra società

in un luogo di incontro-scontro tra molte culture diverse. Ovviamente

l’arrivo di stranieri sul territorio comporta trasformazioni sia per l’identità

personale dei migranti, sia per l’identità collettiva del paese di accoglienza.

Ciascuno si accultura, si confronta con rappresentazioni, con modi di

pensare, di dire, di fare diversi e da essi viene “cambiato”. È un processo a

specchio che viene definito per i migranti e

acculturazione trasformazione

per coloro che li accolgono.

Una simile metamorfosi non è sempre accolta positivamente dai paesi di

accoglienza, spesso a causa dei pregiudizi. Il confronto con la diversità, cui

una tale situazione “costringe”, spaventa molto e la paura è alla base di

comportamenti discriminatori e xenofobi. 20

Il è definito come una «opinione preconcetta, capace di far

pregiudizio 15

assumere atteggiamenti ingiusti» , e porta ad attribuire ad una persona

sconosciuta le caratteristiche ritenute proprie del gruppo cui appartiene.

Il pregiudizio si sviluppa dal naturale processo mentale della

categorizzazione.

Tale processo raggruppa gli stimoli simili in una stessa categoria ed aiuta i

soggetti a comprendere in modo immediato la realtà che li circonda perché

semplifica l’ambiente. Questo processo mentale applicato alla realtà delle

cose non ha conseguenze, ma utilizzato in ambito sociale, unendosi al

bisogno di appartenenza a gruppi sociali e all’elevata stima di sé, ingenera

inevitabilmente ingiustizie.

Categorizzare le persone secondo il gruppo di appartenenza, il colore della

pelle, la religione che professano, porta immancabilmente molto lontano

dalla realtà perché, in primis, è quantomeno improbabile che tutte le

persone appartenenti ad una categoria sociale abbiano realmente gli stessi

tratti, e poi perché raramente gli stereotipi che si attribuiscono loro

corrispondono alla verità. Assecondando un tale processo si formulano

giudizi che non considerano minimamente le personali e reali

16

caratteristiche delle persone coinvolte.

I pregiudizi non si fermano certo a livello mentale, ma si traducono in

azioni discriminatorie, segregazioniste e denigratorie. Essi purtroppo non

cambiano facilmente, e alimentandosi di nuove informazioni negative si

15 Devoto G., Oli G.C., Il Devoto-Oli. Vocabolario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze,

2010, p. 2144

16 Cfr. Voci A., Processi psicosociali nei gruppi, Editori Laterza, Roma-Bari, 2003, p. 14-19 21

17

perpetuano senza ostacolo. Da qui nasce il bisogno di contrastare il

proliferare di pregiudizi e stereotipi.

L’intervento primario da portare avanti è quello legislativo, rendendo

sanzionabile qualsiasi comportamento discriminatorio, ma ciò non è

sufficiente. I pregiudizi, infatti, oltre che manifesti, potrebbero avere forme

sottili e latenti, che pur non essendo visibili, sono comunque sempre

presenti nella mente delle persone.

Il problema essenziale non è la categorizzazione in sé, che in effetti è un

processo naturale e non fa che riconoscere che esiste una diversità,

comunque reale, tra il proprio gruppo e gli altri, ma il considerare apriori

come

gli altri peggiori.

A lungo un tale atteggiamento è stato alla base della politica

assimilazionista dei paesi di accoglienza. Muovendo dall’idea della

superiorità culturale dei paesi occidentali, per decenni l’Europa ha portato

avanti una politica monoculturale, tesa all’omologazione degli stranieri alla

cultura dominante, negando di fatto quella di appartenenza.

In tale ambito il compito della pedagogia è stato quello di esaltare la cultura

nazionale, celare le differenze e spingere gli immigrati ad abbandonare la

propria identità ed il proprio patrimonio culturale e religioso. Questo

approccio ha mostrato tutti i suoi limiti, quando a partire dagli anni ‘70 le

immigrazioni sono diventate stabili e gli immigrati sono entrati in contatto

con tutta la realtà sociale e non solo con il mondo del lavoro. Con l’arrivo

dei figli essi giungono negli ospedali, nelle scuole, negli uffici, mostrando

tutta l’inadeguatezza del sistema. Solo allora anche la pedagogia inizia ad

accorgersi che il problema è rilevante e non più risolvibile con

17 Cfr. Sinclair L., Kunda Z.,” Motivated stereotyping of women: She’s fine if she praised me but

incompetent if she criticized me”, in Personality and Social Psychology Bulletin, n.26/2000,

p. 1329-1342. 22

l’invisibilità. In ambito formativo, per superare le difficoltà legate alle

carenze di base degli immigrati si portano avanti progetti per

compensativi,

superare la mancanza di competenze linguistiche, di conoscenza delle

normative, degli usi e costumi locali. La prospettiva paternalistica di fondo,

però, non cambia e di conseguenza le problematiche di inclusione non si

risolvono.

Solo alla fine degli anni ’70 la pedagogia comprende che il problema di

base è la mancanza di un riconoscimento delle differenze culturali e di

identità degli immigrati. Chiedere di negare la propria identità era il grande

errore da evitare.

A tale presa di coscienza segue una fase in cui la pedagogia propone

l’esaltazione delle differenze finora negate, in un’ottica pedagogica

Vengono così create classi di bilinguismo, corsi di lingua,

multiculturale.

classi e scuole per i gruppi minoritari.

Questo avvaloramento e esaltazione delle differenze, però, rivela un errore

di prospettiva: tutte queste politiche educative sono state create per

risolvere i problemi della cultura dominante. Gli immigrati, cui pur si

riconoscevano le differenze, erano ghettizzati, isolati in gruppi minoritari

con una propria identità, ma chiusi verso l’esterno. È pur sempre un

atteggiamento di superiorità della cultura dominante, che tollera

18

l’immigrato purché esprima la propria individualità in ambiti marginali.

Attualmente la pedagogia sta modificando questo atteggiamento e,

Dettagli
Publisher
A.A. 2011-2012
194 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher dany1987 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia sociale e della famiglia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale o del prof Starnino Bernardo.