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CAPITOLO III
IL RESTAURO DEL TABERNACOLO DELLE CAMPORA
3.1 Il recupero del testo pittorico e problemi di leggibilità dell’affresco
Nel 1989 Antonio Natali, come già scritto in precedenza, è riuscito a riportare
alla luce la verità sul nostro tabernacolo, colmando la lacuna sul percorso
iniziale del Rosso. Certamente l’opera, al momento del ritrovamento, era quasi
impossibile da leggere, poiché, essendo un tabernacolo da via, le condizioni
storiche e quelle metereologiche influirono a livello del mantenimento dei
pigmenti di colore e dello stesso intonaco. Il tempo passato fra l’esecuzione
dell’affresco e il ritrovamento corrisponde a poco più di quattro secoli, dato che
fu affrescato nel primo decennio del Cinquecento e identificato solamente nel
1989.
Possiamo anche solamente immaginare, viste le date, il deterioramento subito
nel corso dei secoli e il probabile mancato intervento da parte dell’uomo per la
conservazione dello stesso.
Possiamo poi solo fondatamente congetturare sulla vicenda dell’opera,
mettendo in luce quanto stato stabilito fino a ora, ricostruendo il percorso
storico dell’artista, in particolare l’esordio giovanile, osservando la potenziale
linea tracciata sia dalla storia, sia dall’intervento avvenuto sull’affresco,
ponendo l’attenzione sul recupero del testo pittorico, focalizzando l’opera al
momento del ritrovamento, quindi in seguito a quanto emerso dall’intervento,
avvenuto lo stesso anno del ritrovamento.
Un affresco è realizzato utilizzando pigmenti di colore di origine minerale
stemperati in acqua e posti direttamente sull’intonaco fresco in modo tale che i
colori possono inglobarsi al suo interno. Nel caso della nostra opera, il passare
degli anni ha portato a un deterioramento dello stesso, poiché agenti
atmosferici, come la pioggia, o possibili muffe, nate da infiltrazioni di umidità,
possono aver rovinato, o danneggiato seriamente il manufatto. 57
L’opera del Rosso fu staccata dalla sua posizione per poter compiere il restauro;
130
chi scrive, solo grazie alle parole di Antonio Natali , col quale ha colloquiato,
ha scoperto come sia avvenuto lo stacco dell’affresco dalla superficie, quale sia
stata la tecnica operativa –antica-, quali le emozioni e impressioni dello
scopritore, a vedere l’opera avviarsi rischiosamente al ricovero. Il procedimento
di rimozione è molto delicato (al quale si ricorre esclusivamente quando
l’alternativa è la perdita definitiva dell’opera) e più o meno pericoloso in base
alla grandezza e al peso dell’affresco: per prima cosa vengono posizionati
giornali impregnati di colla al di sopra della zona affrescata, di seguito viene
riportato uno strato sufficiente di tale composizione, ripetuto per tante volte,
quanto basta per poter procedere allo stacco; successivamente con un martello
di legno viene colpita la superficie creatasi dall’impasto di colla e giornali,
colpi ripetuti fino al momento in cui l’affresco non inizia a staccarsi dalla zona
131
retrostante, fino al completo distacco .
Distaccato l’affresco, si procede al restauro, operazione anch’essa molto
delicata, bisognosa di uno studio preliminare approfondito della tecnica
pittorica usata dall’artista al momento della realizzazione, non trascurando il
132
grado e le cause del suo degrado . Solamente dopo un’indagine di questo tipo
è possibile intervenire sull’opera soggetta a restauro eseguendo gli idonei
trattamenti.
Il dipinto contenuto all’interno del tabernacolo ha subito un restauro puramente
conservativo, così da poter preservare l’opera, utilizzando tecniche di pulitura,
tali da eliminare macchie di umidità e depositi di sporco, recuperando
130 “Comunicazione orale di Antonio Natali del 08/09/2016.”
131 Paolini, Faldi 2005, p.332. “Intervento in cui si opera la separazione forzosa di un dipinto
murale dal supporto originario. Pur essendo una metodica praticamente in disuso, lo stacco è
stato ampiamente utilizzato nei decenni passati per il recupero di affreschi fortemente
compromessi. Generalizzando, l’operazione prevede che vengano fatte aderire delle tele alla
superficie dell’affresco applicando uno strato di colla sia sul dipinto sia sulla tela. Quindi si
inizia a fessurare l’intonaco al di sotto del dipinto e gradualmente si inizia a distaccarlo dalla
muratura operando con attrezzi piatti dal retro. A differenza dello strappo, lo stacco prevede
quindi che venga asportato lo stesso intonaco quale supporto dell’opera con la possibilità di
recuperare, se esistente, la sinopia. Le operazioni successive prevedono che la superficie venga
rettificata e che il dipinto venga fissato su un nuovo supporto, procedendo poi alla rimozione
delle tele e dell’adesivo. Trattandosi di un intervento che, comunque effettuato, altera in
maniera definitiva la consistenza materiale dell’opera, ad esso si potrà legittimamente ricorrere
solo quando l’alternativa sia la perdita definitiva dell’opera.”
132 Musso 2006, p.34. 58
esclusivamente quello che resta dell’opera, aggiungendo pochissime e tenui
integrazioni dove il colore sia parzialmente consunto: nelle zone del
tabernacolo dove il colore ormai del tutto difettava non è stato possibile far
133
altro che consolidare l’intonaco .
L’opera, in seguito allo stacco, è stata portata nello studio fiorentino di Tintori,
Rosi, Del Serra, Cabras; centro restauri non più attivo oggi giorno. Il restauro
vero e proprio fu eseguito dal professor Giovanni Cabras, impegnato per circa
due mesi, con la supervisione di Antonio Natali, che ha curato le varie fasi
cercando di recuperare la traccia (fig.29), e di identificare l’insieme, in modo
134
tale da poter rendere all’affresco la giusta identità storica e rappresentativa .
Quello che è emerso dal restauro non è molto di più di quanto anche prima
fosse dato a vedere, “[ma] vedremo che ai fini della decifrazione del soggetto
135
può reputarsi di grande rilievo” : e il grande rilievo del restauro può osservarsi
dalla immagine antecedente il recupero (fig.30), dove l’affresco si presenta in
un insieme quasi indistinguibile, in cui non si riescono, a causa di agenti esterni,
a leggere con certezza le figure. Nella parte inferiore (prima del restauro quasi
incomprensibile), cioè dove in origine avrebbe dovuto trovarsi il Cristo morto
citato dal Vasari, alcune parti d’intonaco si sono staccate e insieme anche i
pigmenti di colore, cancellando quasi completamente la figura. Se osserviamo
l’affresco da vicino, possiamo individuare, grazie al riaffiorare di segni graffiti,
le linee guida tracciate sull’intonaco al momento in cui il Rosso iniziò a
dipingerlo. Infatti, grazie a queste, non trascurando l’insieme delle figure
presenti, si è ipotizzato l’esistenza di un corpo, visto di profilo, sostenuto da
sotto le ascelle da un personaggio, San Giuseppe d’Arimatea, di cui si
percepisce appena l’incurvatura delle spalle per il peso del cadavere di Cristo in
atto di essere sepolto come ci spiega Natali in Rosso Fiorentino: leggiadra
-
133 Natali 1991, p.132.
134 Natali 1991, p.9. “Certo che il quotidiano assistere al restauro è un grande stimolo a
rimeditare sulle opere; che, calate da podi un po’ scontati delle chiese e dei musei, ritrovano sui
cavalletti degli studi o sui tavoli dei laboratori, una più accessibile e financo domestica
dimensione, favorendo una confidenza maggiore nell’approccio. E poi i tempi del restauro,
inevitabilmente lunghi, quel procedere per centimetri quadrati, la scoperta – che ogni giorni si
rinnova – di spazi brevi ricuperati alla vista, e finalmente le pause nel lavoro, danno agio alla
mente di soffermarsi e all’occhio quasi di ripartire vergine.”
135 Natali 1991, p.132. 59
136
maniera e terribilità di cose stravaganti . Altra figura, importantissima per
l’identificazione dell’opera, è la testa, come già detto collocata all’altezza del
petto del santo, forse del Cristo morto, testa che prima del restauro fu osservata,
ma non distinta, così da far solo ipotizzare che fosse quella di un corpo
esanime, tenuto su da un uomo che a fatica lo sosteneva da dietro.
Tuttavia con il restauro (fig.31) non solo abbiamo recuperato una migliore
lettura della zona delle due teste sovrapposte (del Santo e del Cristo), ma anche
rilevare i graffiti lasciati dall’artista sull’intonaco fresco per delineare le sagome
137
delle figure , l’andamento dei panneggi e alcune anatomie .Purtroppo nelle
zone dove l’opera aveva più sofferto sono andati perduti anche i segni di quel
tracciato, anche se a tal punto da impedire una decifrazione più esauriente della
composizione. “E anzi, proprio per questo tracciato, che riportato su carta
assume tutto l’aspetto d’un cartone predisposto al trasferimento sull’intonaco, è
possibile oggi ribadire con più sicurezza l’ipotesi della presenza nella scena
d’un corpo privo di vita, parzialmente coperto da un panno leggero che
n’asseconda le forme e, solcato di pieghe, ricade a terra; Un corpo che non può
essere altro che quello di un Cristo morto, avvolto nel lenzuolo per l’imminente
138
sepoltura” .
Alessandro Conti, descritto da Natali come colui “che tutte le terre nei contorni
di Firenze le aveva setacciate come un segugio e che dunque conosceva anche il
139
tabernacolo” al punto che nel suo libro I dintorni di Firenze: arte, storia,
-
140
paesaggi , scrisse, anni prima dell’identificazione del tabernacolo a riguardo
-
dell’opera in questione, non identificava l’autore e proponeva una cronologia
spostata alla fine del Cinquecento. Grazie al restauro dunque è stato possibile
scoprire quasi con esattezza l’anno in cui è stata affrescata ed è apparso con
maggior nitore il contenuto della storia raffigurata.
Partendo dall’apice dell’affresco, il restauro ha reso evidente la figura della
136 Natali 2006, p.22. “Subito restaurato dopo il ritrovamento, l’affresco non ha ovviamente
potuto recuperare più di quanto anche prima era dato a vedere; sé appurato però l’esistenza di
moderne ridipinture che ne falsano talora la lettura (per esempio si credeva che la cronologia
dovesse situarsi alla fine del Cinquecento) […]”
137 Natali 1991, p136. I rilievi dei graffiti sono stati eseguiti dai restauratori dell’affresco
138 Natali 1991,p.136.
139 Natali, Pirillo 2001, p.XIII.
140 Conti 1985, p. 169. 60
Vergi