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Capitolo Secondo
La posizione della Cassazione nelle pronunce riguardanti la revoca degli amministratori disposta per giusta causa.
L'elaborato prosegue soffermandosi sulla posizione della Suprema Corte di Cassazione in tema di revoca degli amministratori, in particolare delle società di capitali, e le diverse controversie interessanti la determinazione del compenso degli stessi.
Prenderemo in considerazione le pronunce della Corte dall'inizio degli anni duemila fino ai nostri giorni, andando a sottolineare le differenze e le analogie con la riforma societaria attuata dalla legge delega del 3 ottobre 2001, n.366, per verificare se quanto deciso nella sentenza n. 1983 del Tribunale di Milano, depositata in data 04/03/2020, trova conferma nella giurisprudenza precedente o si tratta di un unicum di specie. È importante indagare sulle precedenti sentenze della Corte di Cassazione, poiché tale organo costituisce il vertice della giurisdizione ordinaria, pronunciandosi.
sull'esatta osservanza ed interpretazione delle norme ed esaminando i ricorsi per violazione di legge contro le sentenze e i provvedimenti. Prima della riforma del diritto societario, le regole applicabili in tema di revoca degli amministratori di s.r.l. venivano ricondotte integralmente alla disciplina delle s.p.a., con l'unica differenza che le prime potevano nominare gli amministratori a tempo indeterminato. Una questione di cui si è discusso molto riguarda il tema della revoca ingiustificata dell'amministratore, sempre possibile durante la durata del rapporto, anche in assenza di giusta causa; sotto questo aspetto, la revoca senza giusta causa implicava il diritto dell'amministratore nelle s.p.a. a risarcimento dei danni, ai sensi dell'articolo 2383 comma 3 cod. civ. La giurisprudenza, per calcolare il risarcimento dei danni, considerava il compenso che l'amministratore avrebbe percepito qualora non fosse intervenuta la revoca, chepuò essere aumentato o diminuito a seconda dei vari casi concreti; da ciò, risulta evidente come in materia di s.r.l. fosse difficile il calcolo dei compensi di un amministratore nominato a tempo indeterminato. Su questo tema si è espressa la Suprema Corte di Cassazione, con sentenza n. 23577 del 12/09/2008, la quale ha disposto come il danno risarcibile derivante da revoca ingiustificata da parte dell'amministratore di una s.r.l., nominato a tempo indeterminato, consiste nel lucro cessante, cioè nel compenso non percepito per il periodo in cui l'amministratore avrebbe conservato il suo ufficio, se non fosse intervenuta la revoca. La stessa sentenza ha, del resto, limitato il danno risarcibile al periodo di tempo necessario all'amministratore revocato di reperire una nuova occupazione, anche in altro settore; da ciò deriva che la revoca deve essereopportunamente disposta con uncongruo preavviso, ai sensi dell’articolo 51725 comma 2 cc. In aggiunta, tale sentenzaevidenzia una posizione della Corte di notevole importanza, nella parte in cui sostieneche le motivazioni della revoca debbano essere dettagliatamente descritte nell’attostesso. Infatti, la Corte ha ritenuto come tutte le ulteriori rimostranze soggettive,successivamente riportate in giudizio, poiché non risultanti dalla prima deliberaassembleare di revoca, fossero irrilevanti e dunque non presi in considerazione ai finidella decisione finale. La Corte ha esposto, nel caso di specie, come nella prima deliberaassembleare risultassero evidenti motivazioni di pura convenienza economica ed ha,inoltre, sottolineato come non fosse stata mossa alcuna accusa nei confronti dellagestione dell’amministratore. Viene, inoltre, richiamato un precedente di questa Corte eparte della dottrina che non hanno, tuttavia, chiarito in maniera definitiva la questione,del 2002,
ha ribadito la facoltà dell'assemblea di revocare l'amministratore senza alcuna necessità di motivare le ragioni, evidenziando che, in ogni caso, la revoca deliberata senza giusta causa fa sorgere in capo all'amministratore il diritto al risarcimento del danno. Si tratta di una possibilità che esprime il diritto della società a procedere alla revoca anche senza motivazioni valide, fermo restando l'obbligo al risarcimento dei danni, e che in nessuna occasione prevede la possibilità di rinviare in giudizio l'espletamento delle ragioni della revoca. Nel 2008, tramite sentenza n.27512 del 19/09/2008, la Corte di Appello di Napoli ha richiamato la stessa sentenza precedentemente citata, evidenziando un possibile contrasto, nella parte in cui, la sentenza del 2002, esponeva come la revoca non dovesse un'esplicita manifestazione di volontà, ma essere obbligatoriamente formalizzata.
conpoteva in alcuni casi avvenire in modo implicito. Nel caso in esame, la revoca avvienetramite delibera assembleare concernente la riduzione dei membri del consiglio diamministrazione; così facendo, la delibera produce direttamente due effetti, in primis,annulla la precedente delibera di nomina con la quale erano stati previsti più membri“la5 Art. 1725 comma 2 c.c: revoca del mandato a titolo oneroso a tempo indeterminato, che costituiscesempre facoltà del mandante, e attribuisce al mandatario il diritto al risarcimento del danno solo in difettodi congruo preavviso, salvo sussista una giusta causa.”all’interno del Consiglio e, in secundis, incide sul numero degli amministratori ineccesso rispetto al numero antecedentemente fissato, essendo numericamenteincompatibili con la nuova delibera assembleare. Tuttavia, nonostante la revocacomporti il diritto ad ottenere il compenso dell’incarico per il periodo previsto, in ognicaso non superiore a tre anni in quanto trattasi di s.p.a., le disposizioni assembleari che incidano direttamente sul termine originariamente prefissato sul rapporto, prevedono il risarcimento del danno, in quanto non identificano una revoca giustificata. Già è passato la Corte, tramite la sentenza n.15322 del 2004, asserì come la giusta causa della revoca dell'amministratore di una società di capitali, quale atto che esonera il diritto al risarcimento del danno, sebbene non possa consistere in semplici controversie rientranti nel comune operare del Consiglio di amministrazione, né tantomeno in una mera convenienza economica, come espresso dalla Cassazione n.4240 del 1957, può tuttavia derivare da fatti non qualificanti inadempimento, i quali richiedono la sussistenza di un quid pluris, cioè sopravvenute circostanze che possano minimare il pactum fiduciae, andando a compromettere l'affidamento inizialmente riposto sull'organo di gestione. A sostegno diquanto fin qui detto, la Corte, nella sentenza n. 16526, depositata il 05/08/2005, ha confermato la linea di pensiero della precedente pronuncia, nello specifico, considerando come, nel caso di specie, l'opposizione da parte del Presidente del Consiglio di amministrazione alla fusione non costituisse un fatto idoneo a pregiudicare il rapporto fiduciario, tale da integrare una revoca sorretta da giusta causa. Tali fatti, per essere considerati pregiudizievoli, devono interessare direttamente il rapporto fiduciario tra socio ed amministratore, in modo da porre in luce che siano venuti meno in capo al secondo i requisiti di accortezza, capacità e diligenza professionale, considerate doti esistenziali per l'amministratore di una società di capitali. A conferma di quanto esposto, la Corte ha dimostrato un orientamento coerente su tale tema, in particolare, in riferimento alla sentenza n.21342 del 18/09/2013, ha sottolineato come la cessazione di un componente del Consiglio.di amministrazione, che discenda dalla modifica dell'organo amministrativo, presuppone una revoca implicita degli amministratori in contrasto con la nuova delibera assembleare, e che peraltro verso, la giusta causa soggettiva od oggettiva non può essere integrata dalla modifica dell'organo di gestione, ma richiede sempre la sopravvenienza diretta di condizioni che vadano ad incidere in maniera irreversibile sulla prosecuzione del. Dunque bisogna considerare come le scelte dell'assemblea sulla gestione rapporto sociale siano insindacabili e non sono, allo stesso tempo, direttamente collegabili alla rottura del rapporto di fiducia. Con riferimento allo stesso tema, la Corte citando la sentenza n.2037, del 26/01/2018, ha dichiarato inammissibili e ingiustificate le ipotesi - organizzazione dell'organo amministrativo, basate su una più efficiente di autogestione della società, e la presenza di scontri e dissidi interni il Consiglio di Tali ipotesinon sono state ritenute idonee all'integrazione della giusta amministrazione. trattasi di fatti non concernenti la condotta dell'amministratore e dicausa, in quanto, fatti del tutto generici non risultando sufficientemente adatti ad elidere il rapporto trasoci ed amministratore. Dunque, per capire a pieno come il patto di fiducia possa essere pregiudicato risulta utile citare la sentenza n. 23381 del 2013, nella quale, la Corte ha precisato come la giusta causa oggettiva si riferisca esclusivamente a situazioni o fatti che permettano una valutazione imparziale ed inequivocabile della perdita di fiducia nei confronti dell'amministratore, dimostrato da situazioni concrete e idonee a mettere indubbio la correttezza e la lealtà gestionale dello stesso. Bisogna porre attenzione su questo particolare aspetto, poiché in caso contrario, la rottura del rapporto fiduciario potrebbe derivare da una valutazione del tutto soggettiva della maggioranza che decide, da un lato.Il recesso incondizionato, ma d'altra parte, l'amministratore legittimarevocato senza giusta causa a chiedere il risarcimento del danno susseguente loscioglimento del mandato. Dunque, la revoca disposta dalla maggioranza del Consiglio di amministrazione, in seguito ad una serie di comportamenti ritenuti indesiderati, deve essere incondizionatamente considerata ingiustificata, nell'ipotesi in cui gli amministratori abbiano messo in atto comportamenti non identificativi di inadempimenti o inadeguatezze. In questo caso specifico gli amministratori, a seguito della pretesa illegittima del Comune di Casoria, socio di maggioranza della s.p.a. in questione, di accedere personalmente alla contabilità sociale, hanno agito in giudizio contro lo stesso socio affinché fossero rispettati i diritti e le condizioni derivanti dal rapporto contrattuale di mandato con la società. Dopo aver esposto l'interpretazione della Corte tramite lo studio delle varie pronunce sul
isoluzione del rapporto di lavoro.Il concetto di giusta causa è un principio fondamentale nel diritto del lavoro. Si riferisce a una serie di comportamenti o azioni da parte del lavoratore che giustificano la risoluzione immediata del rapporto di lavoro da parte del datore di lavoro, senza dover pagare alcuna indennità di licenziamento.