Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
Nell’attribuire, inoltre, a una certa visione del mondo, più che alla natura stessa del rischio,
l’origine delle diverse risposte al rischio, esso tende a trattare il concetto di rischio come un
51
dato.
Il modello è però, definito in termini ideali e il suo scopo principale è quello di essere uno
strumento di lavoro con il quale esaminare le posizioni culturali entro le quali gli individui
concepiscono e affrontano il rischio.
Nel tentativo di volere trarre una breve analisi conclusiva, l’approccio simbolico-culturale
di Mary Douglas attribuisce ai giudizi sul rischio una funzione politica, morale ed estetica;
li considera costruzioni mediate da cornici interpretative culturali e, per questo,
evidenziando il ruolo dei condizionamenti di tipo culturale e simbolico nella percezione e
nella gestione del rischio, mostra l’indubbio merito di superare l’approccio cognitivista tutto
incentrato su una presunta razionalità strumentale dell’individuo astratto.
Altri studiosi del rischio, come Luhmann, hanno trovato nelle considerazioni
dell’antropologa britannica elementi importanti per la costruzione delle proprie teorie ma,
tuttavia, il problema di fondo dell’approccio di Mary Douglas è che esso si rivela piuttosto
statico e limitato da una concezione funzional-strutturalista della dimensione culturale. Gli
studi sul rischio, la purezza e il pericolo di Mary Douglas affrontano in misura molto
52
minima la dimensione del cambiamento.
Se l’approccio di Mary Douglas si rivela idoneo per leggere la natura del rischio nella prima
fase della modernità, esso si dimostra perlopiù inadeguato per l’analisi delle condizioni
della tarda modernità caratterizzata dai processi di globalizzazione, riflessività e
individualizzazione. La prospettiva dei teorici della “società del rischio”, come Ulrick Beck
e Anthony Giddens, si propone, quindi, di studiare, da un punto di vista macrosociologico, i
50 Cfr. DouglasM., WildavskyA.,Risk and Culture: An essay on the selection of Technical and Environmental
Dangers, University of California Press, Berkeley, 1982.
51 Cfr. Lupton D., op. citata, 58.
52 Ivi, pag. 63.
39
significati e le strategie correnti del rischio alla luce delle trasformazioni dell’ordine politico
ed economico nella tarda modernità.
40
I.4 L’approccio della “società del rischio” di Beck
L’approccio macro-sociologico denominato teoria della “società del rischio”, in cui
Anthony Giddens e Ulrich Beck svolgono un ruolo di primo piano, studia il rischio alla luce
dei mutamenti sociali, economici e politici dei contesti in cui esso si manifesta, e dunque
nell’ottica delle macrostrutture sociali, delle sue implicazioni politiche e dei conflitti che
genera.
Giddens e Beck affermano che l’individuo della tarda modernità vive nella cosiddetta
“cultura del rischio” in considerazione degli effetti distruttivi di inaudita portata dei nuovi
rischi e ciò ha gettato la società contemporanea in uno stato di costante e profonda
incertezza, che le epoche precedenti non avevano mai conosciuto.
Nella sua opera La società del rischio, Ulrich Beck tenta di descrivere le grandi
trasformazioni che hanno investito l’attuale società post-fordista o della tarda modernità,
utilizzando come strumento esplicativo privilegiato il concetto di rischio.
Beck offre una efficace e attuale lettura della società moderna, o per meglio dire post-
moderna, che diventa un vero e proprio paradigma interpretativo nello studio dei dinamismi
nascosti dentro i fenomeni sociali contemporanei.
Lo scenario della società postmoderna, così come è caratterizzato dalla caduta delle
ideologie, dalla crisi della scienza, dalla globalizzazione economica e tecnologica, dal senso
di incertezza e dalla perdita di un ordine simbolico e strutturale stabile, è stato ed è ancora
oggetto di dibattito fra molti pensatori. Nelle scienze sociali il termine modernità si riferisce
a quei modi di vita e di organizzazione sociale che sono emersi in Europa intorno al XVII
secolo e che hanno progressivamente esteso la loro influenza al mondo occidentale. Con la
fine del XX secolo, o “secolo breve” come l’ha definito lo storico inglese Hobsbawm, si è
sviluppato un intenso dibattito all’interno delle scienze sociali, sull’avvenuto superamento o
meno della modernità: all’interno di tale confronto, una corrente di pensiero rappresentata
ad esempio da Giddens, si chiede se la categoria del moderno sia ancora sufficiente per
comprendere anche l’analisi dei fenomeni sociali contemporanei oppure se essa sia superata
a favore di altre categorie che considerano la modernità finita e conclusa e ci sia quindi una
cesura fra “modernità” e “post-modernità”.
41
Tra coloro che hanno accettato la tesi del superamento della modernità spicca il nome di
François Lyotard che ha introdotto per la prima volta il termine di post-modernità per
indicare un periodo caratterizzato dal “dissolversi della grande narrazione” e cioè di quella
trama generale attraverso la quale troviamo una nostra collocazione nella storia come esseri
forniti di un passato ben definito e di un futuro prevedibile. Con il termine post-modernità si
vuole designare quindi l’entrata in una nuova epoca caratterizzata da un allontanamento dei
tentativi di fondare una teoria della conoscenza generale dell’organizzazione sociale e dalla
perdita di fiducia nel progresso controllato dall’uomo.
Ulrich Beck ritiene che alcune categorie interpretative della modernità, come la “gabbia di
acciaio” di Weber (nella quale riteneva l’umanità fosse condannata a vivere per il prossimo
futuro), siano inadeguate per la comprensione della società attuale: “… Non riesco a capire
come qualcuno possa servirsi dei differenti contesti di riferimento sviluppatisi nel settecento
e nell’ottocento al fine di comprendere la trasformazione che ha dato vita al mondo
cosmopolita post-tradizionale nel quale viviamo … E’ ora che ci si liberi da queste
53
categorie al fine di scoprire lo sconosciuto mondo post guerra fredda.”
Beck definisce la società contemporanea come società del rischio, affermando che “nella
modernità avanzata la produzione sociale di ricchezza va sistematicamente di pari passo
54
con la produzione sociale di rischi” .
La proliferazione dei rischi appare strettamente legata alla promozione della modernità: non
è più il progresso sociale ma un principio generale di incertezza che governa l’avvenire
della civiltà. L’insicurezza diventa così, come osserva Castel, l’orizzonte insuperabile della
condizione dell’uomo moderno: il mondo è un vasto campo di rischi, la “terra è divenuta un
55
sedile eiettabile”.
La società post-moderna di Beck è una società produttrice di rischi ed il rischio diventa la
categoria interpretativa centrale nella lettura della società in quanto si è passati dalla logica
di distribuzione della ricchezza nella società della scarsità alla logica di distribuzione del
rischio, e le situazioni ed i conflitti sociali di una società “distributrice di ricchezza” si
56
intersecano con quelli di una società “distributrice di rischi”.
53 Cfr. Beck U., La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carocci, Roma, 2000, pag. 325.
54 Ivi, pag. 25.
55 Cfr. Castel R., L’insicurezza sociale. Che significa essere protetti?, Eiunaudi, Torino, 2004, pag. 60.
56 Cfr. Beck U., op. citata, pp. 25-27.
42
Il rischio è diventato la variabile fondamentale del nostro essere e del lavoro; se la
modernità aveva inventato l'assicurazione per calcolare preventivamente, monetizzare e
rendere certo la categoria del rischio, ed il Welfare State proteggeva l'individuo salariato
dalle conseguenze negative degli eventi della vita, oggi la categoria del rischio pare essere
divenuto un assioma indiscutibile e fondante.
Il rischio contraddistingue, dunque, un modello di vita condizionato dall’insicurezza e dalla
paura: le forme di vita tradizionali sono cancellate; l’economia crolla, i governi sono sotto
accusa per la fallibilità delle loro decisioni e il potere giudiziario sembra in qualche modo
costretto ad equilibrare l’emotività sociale con l’incapacità del potere politico e del sapere
scientifico di fornire risposte e di prevedere le catastrofi. Il sapere scientifico e la tecnologia
che con le loro competenze dovrebbero contribuire a ridurre i rischi falliscono e la messa in
57
rete dei pericoli acuisce un senso generale di incertezza e paura.
I rischi non sono un’invenzione della seconda modernità, sono sempre coesistiti con l’uomo,
ma si trattava in passato di rischi personali, localizzabili e calcolabili, mentre nella società
“liquido-moderna” essi hanno una natura glocale (investono sia il mondo globale che il
locale) e sono rischi tipici della modernizzazione: “… Sono rischi della modernizzazione.
Sono un prodotto “tutto compreso” dell’industrializzazione, che nel corso del suo sviluppo
58
comporta necessariamente un loro aggravamento.” .
Nell’età pre-moderna il rischio era un concetto che escludeva l’idea di errore o di
responsabilità umana ma si basava essenzialmente su quella di calamità naturale. Di
conseguenza, come nella tipica prospettiva esistenziale medievale, l’azione umana nei suoi
confronti era pressoché nulla: pestilenze, carestie, guerre, naufragi erano eventi non
prevedibili perché associati alle calamità naturali, sottratti dunque alla sfera della agency
umana.
Con l’avvento della modernità, caratterizzata dall’industrializzazione, dalla
razionalizzazione delle risorse (lavoro e capitale su tutto), dall’organizzazione delle strutture
sociali e da un sistema politico basato sul modello del comando e del controllo, il rischio
diventa riconoscibile eperciò controllabile e persino prevedibile: “il miraggio della
57 Cfr. Abignente A. e Scamardella F., Rischio e catastrofe. Il fallimento di scienza d istituzioni: trovare soluzioni
precarie in una vita precaria, pp. 57-58: governarelapaura.unibo.it/article/download/4109/3538
58 Cfr. Beck U., op. citata, pag. 28.
43
sicurezza della prima modernità era basato sull’utopia scientifica di rendere più
59 .
controllabili anche gli effetti incerti e i pericoli delle decisioni”
Compito della scienza era quello di individua