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Destination Status). Accordo che prevede che le agenzie di viaggio segnalino alle

autorità cinesi il mancato ritorno in patria dei turisti. Le agenzie turistiche si

preoccupano che i passaporti tornino in Cina per essere “regolarmente” timbrati. Con

questo sistema, per le autorità di Pechino tutti i turisti tornano in patria, mentre le

autorità italiane si trovano di fronte a fantasmi senza documenti e senza nome.

Si osserva anche, l’arrivo di un altro gruppo, composto da giovani laureati in Cina,

che vengono in Italia per proseguire gli studi post laurea. Si tratta di figli di notabili il

cui progetto è di tornare in Cina al più presto, non appena terminati gli studi.

Secondo i dati ISTAT al 31 dicembre 2010 i cinesi residenti in Italia erano 209.934,

pari allo 0,34% del totale della popolazione residente in Italia; quindi la comunità

cinese è la quarta per numero di residenti, dietro a quella romena, albanese e

marocchina. Ma dobbiamo pensare anche, a quanti clandestini non sono annoverati

nei conteggi ufficiali.

La presenza di cinesi oltre i 60 anni è pari allo 0,74% degli immigrati cinesi: un

ultrasessantenne ogni 135 cinesi. Dato significativo se confrontato con la

popolazione italiana, dove si registra un ultrasessantenne ogni 4 residenti.

Il dato fornito dall’ISTAT, rispetto al rapporto maschi/femmine (attorno al 110%),

nega la soppressione delle bambine alla nascita, o l’aborto selettivo.

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In generale, la permanenza dei cinesi in Italia è strettamente legata ad una vita

lavorativa piuttosto intensa, caratterizzata spesso da una forte mobilità sul territorio e

da una certa precarietà. Questa situazione non favorisce una vera spinta

all’integrazione da parte di cittadini cinesi di prima generazione, con un progetto

migratorio e di vita lavorativa all’estero “a tempo determinato”.

ISTAT: Incremento dei cittadini cinesi

residenti in Italia

Nel 2007, vi erano 19.044 aziende cinesi su un totale di 141.143 aziende di cittadini

stranieri con un’incidenza del 13,5%. Da ciò si evince, la forte propensione

all’imprenditorialità della comunità cinese in Italia. Poco meno del 42% delle

aziende si colloca nel campo del tessile/abbigliamento/calzature, il 46% nel

commercio ed il 5% nella ristorazione.

Numerose osservazioni hanno rilevato una forte disponibilità di denaro contante tra i

cinesi, piuttosto inusuale per il contesto italiano. Questo fenomeno, è spiegato, dalla

cultura della guanxi.

“Guān xì” ha vari significati: relazione, importanza, causa, motivo, ma anche

amicizia. Entrare nella guanxi di un cinese è come entrare a far parte di una famiglia

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allargata, dentro la quale la dedizione alla “causa comune” è totale, così come la

condivisione dei beni immateriali e materiali. Entrarvi è impegnativo, ma rimanevi lo

è ancora di più. Un solo sbaglio e si rischia di uscirne per sempre, rientrarvi sarebbe

impossibile, lo sbaglio commesso è indice di non essere degni di ricevere

quest’onore. Un cittadino cinese è disponibile ad aiutare gli altri, e quindi sa anche

che al momento del bisogno qualcuno lo aiuterà. Appena s’inizia a lavorare s’inizia

anche ad alimentare la propria guanxi. Dando alla guanxi, parte del proprio salario, si

alimenta la rete da cui, dopo qualche anno, si può attingere per un prestito.

In merito ai giovani sotto i 18 anni è interessante notare le forti correlazioni con i

vissuti di isolamento e di depressione. Questo dato potrebbe in parte spiegare il

fenomeno delle gang giovanili, che si stanno diffondendo nella comunità cinese. Si

tratta in genere di adolescenti che lasciano in Cina una vita facile e confortevole,

fatta di soldi inviati dai genitori e attenzioni ricevute dai nonni e, da un giorno

all’altro, si ritrovano in un mondo estraneo, dove si parla una lingua incomprensibile,

dove bisogna lavorare sodo e dove si è additati come immigrati extracomunitari, i

“paria” delle classi sociali italiane. Questo shock culturale si traduce spesso in

depressione e stati di isolamento ai quali le gang giovanili offrono una risposta.

3.2. La Sinofobia

Nonostante la comunità cinese sia silenziosa, laboriosa e difficilmente salti alla

ribalta della cronaca per episodi di criminalità violenta, contro di lei si scatena più

che verso altri gruppi etnici il pregiudizio pubblico. Molte comunità straniere in

Italia, vivono ai margini della società, racimolando qualche soldo come ambulanti,

elemosinando, o svolgendo lavori molto umili, i cinesi no. Loro fanno paura perché

sono imprenditori, commercianti, operai nelle fabbriche, i loro figli vanno a scuola e

talvolta raggiungono i livelli superiori d’istruzione (sono la comunità straniera in

Italia col maggior rendimento scolastico). Essi, sono visti come quelli che: “tolgono

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i posti di lavoro”, “fanno fallire i negozi Italiani” “lavorano per nulla mettendo in

difficoltà i padri di famiglia.”

“La retorica razzista vuole che, anche loro, siano qui a “rubarci il lavoro”. Niente

di più sbagliato. Gli immigrati cinesi hanno ripopolato, nelle campagne del

vercellese, “campi mai così affollati e

alacri dagli anni Sessanta”. In

Basilicata hanno salvato gli storici

distretti dei divani. A chi si nutre di

pregiudizi non basta… Non è facile

spiegare perché la Cina giovi

all’economia occidentale, ma certo non

sarebbe difficile convincere gli italiani

che gli immigrati cinesi sono un bene

per la nostra economia. Basterebbe

ricordare – come fanno Oriani e

Staglianò – che, sebbene essi siano

appena il 5% degli stranieri residenti in

Italia, appartiene a loro un’impresa

straniera su sette.” (Castellani Perelli,

D. 2008)

Dal dizionario delle fobie, la sinofobia, è definita come:

“Paura persistente, anormale e ingiustificata della Cina, dei cinesi, oppure della

cultura cinese. “Con sinofobia, solitamente, non s’intende una fobia vera a propria,

ma un atteggiamento negativo di rifiuto e ostilità e disprezzo, stiamo dunque

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parlando, di una forma più specifica della xenofobia, rivolta solo ai cinesi o alla

cultura cinese.”

Nei casi in cui il sentimento anti-Cina è diretto verso il paese in sé, può qualificarsi o

no come pregiudizio razziale, poiché le critiche al Partito Comunista Cinese non

implicano obbligatoriamente un rifiuto verso la popolazione cinese in quanto tale.

Tra i tanti pregiudizi, ne spiccano due sopra tutti.

La simpatica storia che afferma che i Cinesi non muoiano mai, o leggende che

parlano di strani usi dei cadaveri, sono smentite da precisi dati statistici.

Il numero ridotto di anziani cinesi in Italia, l’età media di 30 anni, la propensione a

tornare in patria verso i 50 anni, la scelta di ricorrere alla medicina tradizionale in

Cina in caso di malattie gravi, portano ad uno scarso numero di decessi tra i cinesi in

Italia. Comunque, quelle poche decine di cinesi che muoiono in Italia, sono

regolarmente seppelliti o i familiari provvedono al trasferimento delle ceneri in

patria.

Altra storiella, è quella che nei loro ristoranti si serve a ignari avventori, carne di

cane. L’ufficio igiene, ha riscontrato che solo il 5% dei ristoranti etnici è fuori norma

(5% tra quelli di tutte le etnie, e non di tutti quelli cinesi), e comunque, la carne di

cane, considerata nelle regioni cinesi del sud una costosa prelibatezza, non verrebbe

mai venduta a prezzi così bassi per i “normali” clienti del ristorante.

3.3: I bambini cinesi in Italia

Gli scolari cinesi residenti in Italia nell’anno 2011/2012 sono 34080.

Con l’arrivo del benessere per i primi immigrati cinesi (perlopiù giovani uomini),

ben presto questi pionieri si prodigarono a farsi raggiungere dalle famiglie: mogli e

figli. Senza conoscenze della lingua, magari avendo iniziato la scuola nel proprio

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paese natale, lontani dal proprio stile di vita e dalle proprie tradizioni questi bambini

si ritrovano ad affrontare un mondo nuovo.

Spesso, vivono un vero e proprio conflitto culturale tra valori, costumi e tradizioni

della nazione di origine con quelli della nazione ospitante. A scuola, i bambini

vivono una profonda confusione, perché esiste una forte differenza tra ciò che è loro

insegnato in famiglia e ciò che è proposto come modello comportamentale “di

successo” dalla cultura del paese ospitante. Ad esempio, la cultura cinese, considera

gli individui che ricorrono alla violenza dei soggetti socialmente inadeguati. Ne

deriva che i bambini cinesi sono educati a non mettere in atto comportamenti

particolarmente prepotenti, al contrario, i coetanei occidentali, non vengono

comunque scoraggiati dal ricorso alla violenza per difendersi o comunque vengono

motivati ad affermare vigorosamente sé stessi.

I bambini cinesi, sono abituati ad essere chiamati per nome e cognome, o solo per

cognome, e quindi di fronte a noi che per cultura solitamente ci chiamiamo per

nome, ci rendiamo conto come già il solo rivolgersi a loro li disorienta. Essi, non

sono abituati alla nostra esagerata gestualità e ne possono essere spaventati perché la

interpretano come manifestazione di aggressività, così come i toni di voce alti.

I bambini, inoltre, possono essere confusi dalla tendenza degli insegnanti al contatto

fisico con gli alunni, anzi può succedere che di fronte ad un tentativo di coccole si

ritraggano spaventati.

Secondo “L’allievo cinese” di Barbara D’Annunzio, vi sono quattro diversi tipi di

soggetti tra i bambini cinesi presenti nella scuola dell'obbligo e di conseguenza

quattro livelli di partenza:

1) Il minore emigrato tra uno e sei anni, che ha frequentato nel suo paese

d’origine, al massimo la scuola materna, e quindi inizia il ciclo scolare in

Italia. 56

2) Il minore emigrato in Italia dopo i sette anni, e che ha già ricevuto una

scolarizzazione da uno a tre anni in Cina.

3) L'allievo che arriva in Italia interrompendo il ciclo scolare o dopo averlo

completato nel suo paese d'origine, e che corrisponde alla fascia d'età tra i

dieci e i sedici anni.

4) Il minore nato in Italia che inizia il ciclo scolare in questo paese ed è

apparentemente bilingue.

Nel primo caso ci troviamo di fronte ad un minore che non conosce la lingua cinese.

Nel corso della scuola materna può aver imparato solo la struttura grammaticale più

semplice della frase. Nell'apprendimento della nostra lingua non è condizionato da

nozioni pregresse per quanto riguard

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Publisher
A.A. 2012-2013
70 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PSI/01 Psicologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher fabi300108 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Fondamenti di psicologia generale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Ingrassia Massimo.