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CAPITOLO II
Il ruolo della contrattazione collettiva
Il salario minimo tra dimensione nazionale ed internazionale.
Sommario: 1. 2. La questione
– Il contratto collettivo e la sua evoluzione. – Rapporto tra CCNL e legge, tra
salariale oggi 3. 4.
CCNL dello stesso livello e tra CCNL e contratto aziendale. – Attuale fotografia dei contratti
5.
collettivi: copertura della contrattazione collettiva, numero di contratti scaduti, quanti contratti non
presentano minimi dignitosi.
1. Il salario minimo tra dimensione nazionale ed internazionale
Prima di affrontare il tema del salario minimo, è importante menzionare il problema del lavoro
povero. Si definiscono “working poor” o lavoratori poveri coloro che non guadagnano abbastanza da
superare la soglia di povertà, pur avendo un’entrata mensile; e non riescono a tenere il passo con il
costo della vita. Il fenomeno è in aumento, soprattutto tra le solite categorie: donne, giovani,
meridionali . Al momento, risulta difficile definire in modo univoco il fenomeno, il che comporta
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complicazioni sia a livello istituzionale e politico (nella progettazione di interventi contro il
fenomeno) che statistico (nella misurazione dello stesso). Secondo il parametro dell’In-work-poverty
adottato dall’Eurostat, si considera lavoratore povero chi dichiara di aver lavorato per un determinato
numero di mesi (solitamente 7) nell’anno di riferimento e vive in un nucleo familiare con un reddito
equivalente disponibile inferiore alla soglia di povertà, comunemente fissata al 60% del reddito
mediano nazionale. L’In-work-poverty contempla due dimensioni: una individuale, legata
all’occupazione del singolo individuo; e una familiare, che tiene conto della struttura demografica e
della composizione occupazionale del nucleo stesso. Il lavoratore povero non è definito
esclusivamente da un salario basso, in quanto la bassa retribuzione rappresenta una delle cause, ma
non l’unica, della povertà lavorativa .
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Cosa si intende per inadeguatezza salariale? Nella tradizione del pensiero economico classico,
«il salario è dato dal livello di sussistenza dei lavoratori, a sua volta determinato storicamente, cioè
diverso nelle diverse società e in rapporto al tipo di sviluppo sociale»; per il pensiero economico
convenzionale, invece, il salario «è determinato dalla produttività del lavoro e, in primo luogo, dal
libero gioco della domanda e dell’offerta» . L’origine del problema legato all’inadeguatezza salariale
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è confermata dall’esame del sistema giuridico delle fonti di determinazione delle retribuzioni. Tale
conferma emerge quando si tenta di definire la retribuzione adeguata, svelando tre concezioni distinte
di salario appropriato, ognuna corrispondente a una delle principali fonti di determinazione: la
giurisprudenza, la legge e la contrattazione collettiva. La diffusione di retribuzioni basse, spesso al di
sotto della soglia di povertà, e l’incremento della categoria dei “working poors” sono fenomeni che
TERZO MILLENIO, Chi sono i “working poor” in https://terzomillennio.uil.it/, 2022.
22 C. V. DE TOMMASO, Working poor: le proposte degli esperti per contrastare la povertà lavorativa, in
23
https://www.secondowelfare.it/, 2022.
E. MINGIONE, E. PUGLIESE, Il lavoro, Carocci, Roma, 2020, p. 74.
24 12
risalgono al passato, sebbene siano stati accentuati dalle crisi più recenti, come quella del 2008, la
crisi dovuta all’emergenza Covid, e gli attuali sconvolgimenti causati dalla guerra in Ucraina.
La gravità dei bassi salari si radica nelle debolezze storiche del nostro sistema economico, da
tempo note ma non corrette: dalla carenza ultradecennale di investimenti nei fattori decisivi per lo
sviluppo, a cominciare da formazione e ricerca, alla insufficiente capacità di innovazione di parte del
sistema produttivo, alla mancanza di strumenti per la diffusione e il trasferimento tecnologico alle
PMI, alla presenza di larghe fasce di arretratezza nei servizi privati e pubblici . Tali debolezze di
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sistema si riflettono nelle dinamiche, meglio nelle distorsioni, del nostro mercato del lavoro
storicamente caratterizzato da bassi tassi di occupazione, alte percentuali di lavoro irregolare,
insufficienti livelli di scolarizzazione e di conoscenze soprattutto tecniche e scientifiche, e negli ultimi
anni aumento dei vari tipi di lavoro precario e del part-time involontario.
In Italia, infatti, il fenomeno dei working poor evidenzia come il sistema basato sull’articolo 36
della Costituzione non sia più adeguato. Il 17 novembre 2023, a Roma, è stato presentato presso la
sede di Caritas Italiana il rapporto 2023 su povertà ed esclusione sociale in Italia dal titolo “Tutto da
perdere” contenente i dati sui poveri registrati dai volontari Caritas sulle piattaforme informatiche nel
2022 su tutto il territorio nazionale. Il rapporto si sofferma sulla povertà e l’esclusione sociale nel
nostro Paese, confrontando i dati con il contesto internazionale. Infatti, viene evidenziato come oggi
in Europa vivono in una condizione di rischio povertà e/o esclusione sociale il 21,8% della
popolazione (nel pre-pandemia l’incidenza si attestava al 20,7%), paragonato all’Italia dove
l’indicatore raggiunge il 24,4% per un totale di 14 milioni 304 mila persone a rischio.
Persone a rischio povertà e/o esclusione sociale in UE (incidenza %) – Anno 2022
I poveri assoluti, rispetto all’anno precedente, nel 2022 salgono da 5 milioni 317 mila a 5 milioni
674 mila (+ 357 mila unità). L’incidenza passa dal 9,1% al 9,7%. Se si considerano i nuclei, si contano
2 milioni 187 mila famiglie in povertà assoluta, a fronte dei 2 milioni 22 mila famiglie del 2021 (+165
mila nuclei) .
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Il sistema, come precedentemente descritto, pur suscitando alcune critiche ha mantenuto un
equilibrio sostanziale per un periodo prolungato, evitando così di affrontare la questione del salario
minimo legale nel nostro paese. Tuttavia, negli ultimi anni, la problematica del lavoro povero è
T.TREU, Salario minimo: tra debolezze di sistema e frammentazione della rappresentanza, in LDE, 2, 2022, p. 2.
25 CARITAS ITALIANA, Rapporto Povertà 2023 “Tutto da perdere”, in https://www.caritas.it/, 2023.
26 13
emersa con forza, evidenziando le sfide legate a un impiego che non consente di condurre un’esistenza
libera e dignitosa. Diversi sono i fattori che hanno contribuito a questo risultato, il quale presenta in
sé una contraddizione logica: la presenza della povertà nonostante l’occupazione. Un fenomeno
significativo soprattutto dal punto di vista sociale, ancor prima che giuridico. Le cause del lavoro
povero possono variamente ricercarsi nelle dinamiche economiche generate dalla globalizzazione e
dalla esasperata competitività da questa indotta, nelle trasformazioni dei processi produttivi, nella
progressiva deregolazione normativa invocata ed attuata nella illusione di una flessicurezza mai in
concreto realizzata, là dove la precarizzazione è divenuta la cifra specifica che caratterizza la vita dei
lavoratori . Considerando invece gli effetti è sufficiente riportare la sintesi dell’ultimo rapporto OIL
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sui salari: «L’ottava edizione del Rapporto mondiale sui salari mostra che, negli ultimi tre anni, i
salari e il potere d’acquisto delle famiglie sono stati fortemente erosi prima dall’impatto della
pandemia di COVID-19 e poi dall’aumento dell’inflazione a livello globale. I dati disponibili per il
2022 indicano che l’aumento dell’inflazione sta comprimendo i salari verso il basso in molti paesi,
riducendo il potere d’acquisto della classe media e colpendo in modo particolare i gruppi di lavoratori
a basso reddito. Questa crisi si aggiunge alle perdite ingenti di salario durante la pandemia che, in
molti paesi, ha colpito i gruppi a basso reddito in particolare. In assenza di politiche adeguate, nel
prossimo futuro si potrebbe assistere a una forte erosione dei redditi dei lavoratori e delle loro famiglie
e a un aumento delle disuguaglianze. Questo potrebbe minacciare la ripresa economica e fomentare
tensioni sociali» . Nella prospettiva italiana, sono diverse le ragioni per sostenere che la via
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giudiziale al salario minimo non sia più adeguata e che forse è il momento in cui occorre l’intervento
del legislatore. Una di queste ragioni è connessa al sistema di contrattazione collettiva.
Da anni assistiamo ad un fenomeno da più parti definito di disgregazione del sistema contrattuale,
«dovuta alla moltiplicazione dei contratti collettivi riferiti alla medesima categoria o con campi di
applicazione che in parte si sovrappongono: un fenomeno dovuto a diversi fattori, ed in particolare
sia all’affiancarsi ai sindacati storici di sigle sindacali alternative, spesso poco rappresentative, talora
addirittura colluse con la controparte datoriale, e quindi firmatarie di contratti pirata , sia alla
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variegata delimitazione dei confini della categoria merceologica da parte dei contratti collettivi
stipulati dalle stesse organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative, in special modo
da federazioni aderenti a CGIL, CISL e UIL» .
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2. La questione salariale oggi
Parlare di questione salariale/retributiva vuol dire, oggi come ieri, affrontare una questione di fondo
del diritto del lavoro. Una delle principali criticità che affligge l’economia italiana è rappresentata dal
limitato potere d’acquisto della valuta. Questo fenomeno non è solamente attribuibile all’inflazione,
ma deriva principalmente dai salari, praticamente bloccati da oltre 30 anni.
P. ALBI, op. cit, p. 51.
27 OIL, Rapporto mondiale sui salari, l’impatto dell’inflazione e del COVID-19 sui salari e il potere d’acquisto, 2022-
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2023.
Si definiscono “pirata” i contratti stipulati da oo.ss. scarsamente rappresentative da entrambe le parti, che contengono
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trattamenti economici e normativi peggiorativi rispetto al CCNL stipulato dalle oo.ss. maggiormente rappresentative nel
settore.
C. ZOLI, Giusta retribuzione e lavoro povero, in Var. temi dir lav., 10/2022, p. 25.
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Fonte: Openpolis
Rispetto al 1990, l’Italia risulta essere l’unico paese dell’Unione europea con salari in
diminuzione (-2,9%), mentre altre economie registrano consistenti incrementi salariali. Questa
situazione attuale non può essere attribuita né al lockdown causato dalla pandemia da Covid-19, né
ai recenti sconvolgimenti macroeconomici, come il conflitto Russo-Ucraino. Sorge quindi la
domanda su come sia possibile che, in un mercato occidentale orientato al libero scambio,
l’omogeneizzazione dei prezzi dei fattor