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Roma, un’accelerata trasformazione delle strutture, che stavano alla base di questo, e un
diffuso sentimento di precarietà e di cambiamento che turbava gli uomini del tempo.
Soltanto con l’avvento al potere di Diocleziano (284- 305) si raggiunse una certa
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stabilità, a prezzo tuttavia di fondamentali cambiamenti rispetto all’ordine tradizionale .
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Anche la vita economica dell’impero versava in una profonda crisi. San Cipriano , alla
metà del III secolo, dipinse un quadro piuttosto sconfortante: molte miniere erano
esaurite, il cibo scarseggiava, i prezzi salivano, le attività artigianali erano in declino, i
contadini abbandonavano i campi. Le conseguenze di questa crisi economica si
riversavano sulla popolazione, riducendo il numero di abitanti dell’impero e
abbassando la durata della vita media. Povertà e miseria dilagavano, in alcuni casi
accresciute da catastrofi naturali, come le carestie.
L’unico ceto sociale che mantenne, pur modificandosi al suo interno con l’aumento di
membri di origine provinciale, ricchezza ed elevato prestigio sociale fu l’ordine
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senatorio .
1 G. Alfoldy, Storia sociale dell’antica Roma, Bologna 1987 pp. 227 ss.
2 Cipr., Ad Demetr., 3 ss.
3 G. Alfoldy, op. cit., pp. 234 ss. 5
Diversa la situazione delle funzioni e del potere politico: mentre i clarissimi (titolo
riservato ai membri dell’ ordo senatorius) conservarono prosperità e prestigio, persero
il potere che, durante il principato, avevano esercitato come esponenti del principale
organo esecutivo del governo; infatti il potere del senato diminuì a causa della sua
esclusione dalle decisioni politiche e dalle cariche amministrative, ora ricoperte da
membri della classe dei cavalieri. Crebbe anche, a discapito del senato, l’importanza dei
membri del consilium dell’imperatore, della burocrazia imperiale e degli ufficiali
dell’esercito.
Gli ufficiali e gli amministratori specializzati, che andarono sempre aumentando a
causa della vastità dell’impero, venivano reclutati per lo più dal ceto equestre, che
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incrementò costantemente, in questo periodo, il numero dei propri membri . Anche se
la loro condizione economica era quasi sempre ottima (molti di essi provenivano da
famiglie che traevano la propria ricchezza dalla proprietà della terra), tra i cavalieri che
ricoprivano ruoli politici e militari (prefetti del pretorio, alti procuratori, ufficiali
dell’esercito) e i cavalieri ordinari c’erano ampie differenze sociali, che portarono ad
una graduale bipartizione dell’ordine equestre. Una ristretta parte dei suoi membri,
infatti, costituiva il più grande gruppo di potere dell’impero, mentre la maggior parte fu
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assimilata all’ordine dei decurioni .
Questi ultimi, che oltre a dedicarsi alla proprietà terriera, praticavano anche
l’artigianato e il commercio, risentirono pesantemente delle conseguenze della crisi di
questi due settori. Oltretutto l’ordo decurionum si impoverì ulteriormente a causa del
fatto che, soprattutto a livello locale, i suoi membri erano responsabili della maggior
parte delle spese pubbliche; per esempio, essi avevano l’obbligo di finanziare i giochi
4 G. Alfoldy, op. cit., pp. 238 ss.
5 G. Alfoldy, op. cit., pp. 241 ss. 6
pubblici, di garantire l’approvvigionamento di generi alimentari, di occuparsi della
manutenzione degli edifici pubblici e delle strade e della posta pubblica. Chiunque
disponesse della ricchezza appena sufficiente per far parte dell’ordine dei decurioni,
divenuto in gran parte ereditario, doveva entrare a farne parte tramite l’assunzione di
6
magistrature .
Uno strato alto della popolazione urbana scomparve quasi del tutto in questo periodo:
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quello dei ricchi liberti, degli schiavi e dei liberti imperiali .
A causa della crescente importanza dell’esercito, soprattutto nelle zone provinciali, si
sviluppò un nuovo livello sociale, costituito dai militari: esso può essere classificato
come “medio” perché i soldati godevano, in quest’epoca, di privilegi finanziari (per
esempio del donativum, una elargizione in denaro fatta dall’imperatore a ogni soldato in
determinate occasioni) e fiscali. 8
Scendendo verso gli strati sociali inferiori , si incontra, innanzitutto, la plebe urbana,
che comprendeva artigiani, commercianti, lavoratori occasionali, sia liberi che schiavi.
Il livello più basso era costituito dai lavoratori saltuari, che naturalmente vivevano per
la maggior parte in uno stato di povertà.
Gli artigiani e i negozianti erano di diverse condizioni sociali, ma tutti erano
raggruppati in collegia, cioè in corporazioni. Queste categorie erano le più oppresse
dalle tasse, che, in età tardoantica, erano principalmente due: l’imposta personale
(capitatio) e quella fondiaria (denominata iugum in alcune regioni e riservata ai
6 Secondo una legge del Codice Teodosiano (XII, 1, 7) del 20 febbraio 320, i figli dei decurioni che
avessero raggiunto i diciotto anni venivano assegnati, nella provincia di Cartagine, ai servizi municipali,
perché essi non fossero lasciati liberi dai genitori, andando contro all’interesse della comunità.
7 G. Alfoldy, op. cit., pp. 243 ss.
8 A. Reina, Povertà nel Tardoantico, note in margine al De Nabuthae di Ambrogio,
http://www.graffinrete.it/tracciati/articolo.php?id_vol=38. 7
proprietari terrieri). Oltre ai lavoratori, risiedeva in città un grandissimo numero di
poveri e di altre figure marginali, di cui si parlerà successivamente.
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Alla plebe urbana si contrapponeva la plebe rustica , formata da lavoratori agricoli, ma
anche da artigiani e minatori, liberi e schiavi. La categoria tipica dei lavoratori agricoli
era quella costituita dai coloni adscripti, che in pratica erano in uno stato di dipendenza
ancora più stretto degli schiavi, a causa dell’obbligo di non abbandonare la terra in cui
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lavoravano e del divieto di matrimonio al di fuori del proprio rango sociale. C’erano,
infine, gli inquilini, lavoratori residenti nelle proprietà, che tuttavia fino al regno di
Valentiniano I avevano ancora il diritto di andarsene; i salariati, legati a un contratto,
per lo più stagionale, con i proprietari, i contadini indipendenti, ovvero i piccoli
proprietari terrieri, i tributarii, prigionieri barbari, e infine gli schiavi, in questo
periodo, però, meno utilizzati che in precedenza nei lavori agricoli.
Nelle fonti dell’epoca, c’è una certa ricchezza di informazioni riguardanti la società e
l’economia tardoantica. Si può dire, in genere, però, che negli autori di questo periodo è
presente un generale sentore della crisi e un diffuso malcontento di base, soprattutto nei
confronti della politica imperiale. Lattanzio, per esempio, critica aspramente il tentativo
di Diocleziano di vincolare i prezzi delle merci e dei servizi con l’edictum de pretiis del
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301 . Si ricava anche una forte impressione del logoramento del tessuto sociale, con il
crescere del numero dei poveri: i prezzi, infatti, in particolare durante l’impero di
12
Diocleziano e di Costantino , crebbero notevolmente, penalizzando la capacità di
9 A. Reina, Povertà nel Tardoantico, note in margine al de Nabuthae di Ambrogio,
http://www.graffinrete.it/tracciati/articolo.php?id_vol=39.
10 L’obbligo, per i coloni, di non abbandonare la terra su cui lavorano è sancito, per le varie province, da
alcune leggi del Codice Teodosiano (V, 17, 1 o XI, 53), che prevedono anche dure pene per i coloni
fuggiaschi e multe per coloro che li accolgono.
11 Lact., mort. pers., 7, 5-7.
12 Sull’inasprimento della tassazione sotto Costantino, soprattutto a discapito dei piccoli contadini e dei
coloni, vedi Zos. II, 38. 8
acquisto delle famiglie più modeste e rendendole, di fatto, povere. Uno scrittore
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ecclesiastico, Salviano di Marsiglia , sostiene addirittura che l’oppressione fiscale e le
ingiustizie nei confronti dei poveri erano tali da rendere preferibile sottostare ai barbari
piuttosto che al governo romano.
2. Figure marginali
13 Sulle condizioni dei piccoli proprietari vedi Salv., gubern. Dei, V, 8, 35- 44. 9
Da questo sintetico quadro dei fondamentali cambiamenti subiti dalla società romana
nel passaggio all’età tardoantica, si possono dedurre alcune considerazioni: si trattava
di una società in cui i poveri rappresentavano la stragrande maggioranza della
popolazione e il confine tra l’essere povero ed il non esserlo era molto labile.
Esistevano una serie di figure che, più o meno, rientravano nelle categorie di “povertà”
e di “marginalità”,in entrambe o solo in una delle due, che passerò in rassegna qui di
seguito.
2.1. Il mendicante 14
La figura del mendicus nasce perché, specialmente nelle fasce povere della società,
accadeva che i parenti di un individuo malato, cieco, muto, paralitico o storpio, non
potendo occuparsi di lui per mancanza di tempo e di denaro, finissero per affidare
quest’onere alla pubblica pietà. A volte il mendico era accompagnato quotidianamente
dalla famiglia nel luogo dove avrebbe chiesto l’elemosina, ma viveva ancora con essa;
altre volte, invece, veniva affidato alle cure di privati, della chiesa o di istituti
assistenziali oppure era abbandonato a se stesso. Gerolamo, ricordando l’istituzione di
un nosocomio a Roma da parte di Fabiola, descrive i diversi tipi di malati e di invalidi
che vengono tolti dalla strada per essere curati: describam nunc ego diversas hominum
calamitates, truncas nares, effossos oculos, semiustos pedes, luridas manus, tumentes
alvos, exile femur, crura turgentia et de exesis ac putridis carnibus vermiculos
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bullientes” .
Si trovano descrizioni di tal genere anche in Gregorio Magno e nell’opera agiografica
di Gregorio di Tours, soprattutto nel “De virtutibus sancti Martini”, in cui i miracoli del
14 V. Neri, I marginali nell’Occidente Tardoantico- Poveri, “infames”, e criminali nella nascente società
cristiana, Bari 1998, pp. 33 ss.
15 Hieron. ep. 77, 6. 10
santo danno l’occasione di descrivere le diverse tipologie di malattie e di menomazioni
fisiche che affliggono i mendicanti.
A questa categoria appartenevano persone di tutte le fasce d’età, ma soprattutto vecchi,
per l’impossibilità di lavorare e per la solitudine, e bambini, esposti alla nascita per
varie ragioni. Tra i mendicanti erano annoverate spesso anche le donne, soprattutto
fisicamente menomate. Giovanni Crisostomo parla anche di vedove che erano costrette
a chiedere l’elemosina per sopravvivere e che spesso finivano per essere mantenute
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dalla chiesa . C’er