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Molto grave è anche la condizione delle famiglie senza occupati che, al loro interno,
combinano la presenza di ritirati dal lavoro e di persone alla ricerca di occupazione, oltre un
terzo (36,9%) vive in condizione di povertà. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di coppie
con figli adulti e di famiglie con membri aggregati, dove la pensione proveniente da una
precedente attività lavorativa rappresenta l’unica fonte di reddito familiare.
In generale, le famiglie con occupati mostrano incidenze di povertà più contenute; tuttavia,
quando l’unico reddito da lavoro, a cui non si affianca un reddito da pensione, deve sostenere
anche il peso di componenti in cerca di occupazione, l’incidenza raggiunge il 29,8% (si tratta
soprattutto di coppie con due o più figli). La povertà, quindi, è molto legata alla difficoltà ad
accedere al mercato del lavoro e la presenza di occupati (e quindi di redditi da lavoro) o di
ritirati dal lavoro (e quindi di redditi da pensione provenienti da una passata occupazione) non
sempre garantisce alla famiglia risorse sufficienti a sostenere il peso economico dei
componenti a carico. 28
3
Liberismo e povertà
Nel primo capitolo si è cercato di indagare il concetto di povertà, tentando di distinguerlo dal
concetto di miseria. Inoltre si è cercato mi mettere in evidenza l’importanza di disuguaglianza
e contesto culturale e sociale di rifermento, nella definizione del concetto stesso di povertà, e
quindi nella relativa “misurazione” ed analisi. Infine sono state citate le società vernacolari,
espressione introdotta da Illich per evocare realtà comunitarie pre-industriali, dove il
vernaculum designa le attività produttive domestiche, locali, auto-sostenute. Rahnema, ne
riprende l’espressione per distinguere, per l’appunto, la “povertà” delle società vernacolari
dalla miseria “miseria” delle società moderne.
In questo capitolo si cercherà, col contributo di vari autori, di indagare le cause strutturali, o,
forse meglio dire, paradigmatiche, intrinseche nello stesso modello economico vigente,
quantomeno co-responsabili della povertà e della miseria nelle società moderne.
3.1 Rahnema: La modernizzazione delle povertà e delle miserie
Il nuovo ordine di produzione inaugurato dalla Rivoluzione Industriale ha indubbiamente
rappresentato una frattura sociale ed epistemologica nella maggior parte dei campi
dell’attività umana. E’ stato all’origine di cambiamenti di carattere radicale nella percezione
di ciò che, fino a allora, era stato definito usualmente come ricchezza e povertà. Producendo
sistematicamente nuovi bisogni, ha dato un colpo fatale agli equilibri quasi organici propri
delle società vernacolari. Tanto la definizione dei bisogni e dei loro modi di soddisfazione che
le norme stabilite, che da sempre erano servite a distinguere il necessario dal superfluo, sono
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ugualmente state in seguito cambiate. Un interessante punto di vista su povertà e processi di
modernizzazione ci è fornito da Majid Rahnema iraniano, già ministro della cultura nel suo
paese, poi rappresentante dell’iran presso l’ ONU e attualmente professore all’Università di
Claremont in California.
3.2 La povertà modernizzata: il supplizio di Tantalo
Per Rahnema (2004) la povertà modernizzata è il risultato diretto della frattura causata
dall’instaurazione di un nuovo modo di produzione come pure delle pressioni, dei miraggi e
delle attese legate alle promesse dell’economia. Questi fenomeni hanno avuto l’effetto di
mettere i perdenti di questo ordine di fronte a nuovi tipi di povertà indotte contro le quali non
la novità radicale di questa
erano affatto preparati. Nella visione dell’iraniano (ibid)
condizione deriva dal fatto che, per la prima volta nella storia, il sistema tecno-economico che
si è imposto alla società, sostenendo che doveva condurre all’abbondanza, era allo stesso
tempo strutturalmente implicato nella produzione della povertà e delle miserie moderne, se
questo secondo aspetto del sistema resta meno conosciuto, ciò è dovuto alla sua considerevole
capacità di colonizzare l’immaginario della maggior parte delle sue vittime, a tal punto che
Per
molte tra loro continuano a vedere in esso una risposta ai loro bisogni insoddisfatti (ibid).
Rahnema, grazie a questa sua capacità, il sistema è già riuscito a trasformare buona parte delle
sue vittime in agenti più o meno attivi della propria rovina. La povertà modernizzata così
incarna tutte le contraddizioni di questo sistema: in particolare, quella che oppone la sua
realtà di moltiplicazione dei bisogni con uno scopo essenzialmente di lucro al suo discorso
fondato sulle promesse di trasformare la povertà in abbondanza al fine di farne beneficiare
tutti i consumatori. Sono questi gli aspetti del moderno sistema di produzione che, per
Rahnema, ne fanno un Giano Bifronte: una faccia lo presenta come il creatore indiscutibile di
una “abbondanza” senza precedenti di beni e di prodotti; l’altra, ben nascosta, gli serve per
una produzione di genere diverso: le povertà costruite e fabbricate socialmente, conseguenze
dirette della sua smisurata produzione di “beni” e “servizi”. Tale scarsezza indotta, ben
differente da quella naturale, è, secondo il professore iraniano, la causa principale della
maggior parte delle nuove privazioni di cui soffrono i poveri. Forte del suo primo volto
visibile e dei suoi potenti meccanismi di sostegno e di pubblicità, il sistema ha potuto far
credere ad un buon numero delle sue vittime che fosse possibile anche per loro partecipare a
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quel paradiso terrestre fatto di gioie illimitate fino a quel momento riservate ai soli ricchi. Nel
frattempo, la grande maggioranza dei poveri si trova esposta a frustrazioni che Ivan Illich ha
paragonato al supplizio di Tantalo. Vivono in un mondo di “pienezza” dove tutto è
apparentemente alla loro portata. Ma più gli oggetti del loro desiderio si moltiplicano davanti
ai loro occhi, più essi si rendono conto che questi restano il privilegio unicamente di coloro
della povertà moderna risiede in queste
che sono in grado di pagarne il prezzo. “L’essenza
nuove frustrazioni esistenziali, spesso umilianti e distruttive, con le quali si trovano a che fare
intere popolazioni che, da una parte sono state intossicate con i bisogni che sono stati creati
per loro, dall’altra sono stati privati sempre più dei mezzi necessari alla loro soddisfazione”
(Rahnema 2004: 51).
3.3 La miseria modernizzata
L’incredibile produzione di bisogni indotti è stata perciò all’origine di tutta una serie di nuove
forme di miseria e di indigenza, che si potrebbero sintetizzare, per Rahnema nel termine
miseria modernizzata. “E’ questa miseria che gli storici della Rivoluzione Industriale hanno
chiamato il pauperismo: una condizione che rappresenta la cancellazione della povertà
conviviale, esposta alla distruzione violenta della sua nicchia vernacolare e sistematicamente
attaccata nelle sue caratteristiche di povertà tradizionale” (ivi) . Una variante ancor più
tragica di questa miseria è poi esportata verso il Mondo cosiddetto Terzo, quel luogo dove, a
miseria (era) è impossibile; (perché) non era in
detta dell’antropologa Lucie Mair “la
discussione il fatto che se qualcuno avesse avuto bisogno di essere aiutato, non lo fosse”
(Polanyi 2010: 210). Nella letture di Rahnema, in questi paesi, la politica di ricolonizzazione
portata avanti sotto la bandiera dello “sviluppo”, l’importazione massiccia dei “valori” e dei
prodotti dell’economia dominante, infine la distruzione sistematica delle economie morali di
sussistenza, si sono così congiunte per trasformare la vita sociale in un ‘brodo di cultura’
particolarmente virulento per la produzione in massa di forme ancora più abiette di miseria.
Paradossalmente, queste nuove forme di degradazione hanno avuto gran parte anche nella
nascita dei movimenti definiti come fondamentalisti(Rahnema 2004).
3.4 Limitazioni dell’ideologia liberale 31
La difficoltà principale con la tesi di politiche per la riduzione della povertà, proposte dagli
stati e dagli organismi internazionali discende dagli assiomi stessi della filosofia liberale, di
cui sono profondamente imbevute (Rahnema 2004). Se ne possono considerare gli ideali
principali e da questi dedurre i limiti fondamentali. Il problema di fondo è l'assunzione
riguardo allo stesso individualismo. Nella vita reale non viviamo tutti soli. L'idea astratta che
il mondo
“composto, com'è, di individui autonomi, mercati e stati non è il mondo in cui ciascuno vive — nemmeno la
libera impresa, o gli ideologi del benessere liberale. Questo mondo ideologico è un mondo senza famiglie. È
anche un mondo senza vicinati, comunità etniche, chiese, paesi e città e anche nazioni (contrapposte a stati)”
(Bellah, in Altieri 2004: 83).
O, come afferma Jurgen Habermas, è un mondo di individui e sistemi (economici e
amministrativi) ma non il mondo della vita. Il mondo vivente assente in queste ideologie
liberali e conservatrici è il luogo dove comunichiamo con gli altri, prendiamo decisioni,
raggiungiamo accordi su standard e norme, perseguiamo uno sforzo comune per creare un
modo di vivere che abbia valore. In breve, il mondo della vita è un mondo di comunità.
Essendo basato sull'astrazione dell'individualismo, esso porta ad altre idee dello stesso tipo,
astratte o non reali.
“Nel liberalismo contemporaneo, sia popolare che teorico, si fa troppo affidamento sul potere delle astrazioni;
c'è troppa speranza che un singolo principio possa essere una guida senza errore per le politiche sociali; e si
(Selznick, i in
tengono troppo poco in conto i limiti impliciti, i valori in competizione e gli effetti non voluti.”
Altieri 2004: 83)
Nell’analisi di Rahnema, gli ideali liberali sono a rischio per due opposti motivi: a un estremo
tendono a sostenere eccessive libertà e quindi a diventare pericolosi. L'insistenza dei liberali
di sinistra di massimizzare le libertà politiche e civili o i diritti degli individui si traduce poi
nella privazione dei diritti delle minoranze — o addirittura delle maggioranze. I liberali di
destra, gli economisti della Banca mondiale, il consenso di Washington e gli ideologi del
mercato libero, insistono sul massimizzare le libertà economiche e i diritti dei ricchi, ed anche
di entità lega