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Nonostante molti individui interagiscano in un sistema sociale, i
meccanismi interni di quest'ultimo sono spesso più facili da capirsi
che non le interazioni di impulsi in un singolo individuo. Un principio
ordinatore, senza il quale non può evidentemente svilupparsi una
qualunque convivenza comunitaria fra animali superiori è il
cosiddetto principio gerarchico.
il combattimento debba quindi venire evitato solo all'interno del
gruppo.
E’ più che probabile che l'intensità distruttiva della pulsione
aggressiva, tuttora un male ereditario dell'umanità, sia la
conseguenza di un processo di selezione intra-specifica che ha agito
sui nostri avi per circa quarantamila anni, ossia per tutto il
paleolitico superiore. Quando l'uomo ebbe conquistato le armi, i
vestiti, e un principio di organizzazione sociale, per cui poté
superare i pericoli della fame, del freddo, e del venir mangiato dai
grossi animali feroci, e questi pericoli cessarono di essere i fattori
essenziali a determinare la selezione, deve aver avuto inizio una
maligna selezione intra-specifica. Il fattore che ora determinava la
selezione era la guerra, che le tribù vicine e ostili conducevano loro.
Essa deve aver prodotto un'estrema fermentazione di tutte le
cosiddette «virtù guerresche», che purtroppo sono ancora oggi per
molti uomini gli ideali veramente meritevoli d'esser perseguiti.”
La ritualizzazione consiste “nel sorgere d’un moto istintivo la
cui forma ricalca quella d'un comportamento variabile e originato
da diverse motivazioni indipendenti” (p. 104). Ciò significa che
“certi comportamenti perdono nel corso della filogenesi la loro
originale funzione per diventare pure cerimonie simboliche, puri
movimenti rituali” (p. 105):
“Attraverso il processo di ritualizzazione filogenetica, nasce ogni
volta un nuovo istinto completamente autonomo, che per principio
è indipendente esattamente quanto qualsiasi altra delle cosiddette
«gran » pulsioni - la fame, la sessualità, la fuga e l'aggressività -, e
che, esattamente come queste, ha seggio e voto nel grande
parlamento degli istinti. Questo fatto è a sua volta importante per il
nostro tema perché molto spesso è compito particolare degli
impulsi formatisi da poco, attraverso la ritualizzazione, di opporsi in
quel parlamento all'aggressività, di dirottarla in canali innocui e di
frenare i suoi effetti dannosi alla conservazione della specie.” (p.
109)
Ogni gruppo umano che oltrepassi in grandezza quanto può venire
unito dall'amore personale e dall'amicizia, dipende per la sua
esistenza da queste tre funzioni di moduli comportamentali storico-
culturali ritualizzati. Il comportamento sociale umano è talmente
permeato da ritualizzazione storico-culturale che non ce ne
possiamo render conto giusto a causa della sua onnipresenza. Anzi,
per portare esempi di comportamenti umani che con certezza
possano venir descritti come non ritualizzati, dobbiamo ricorrere a
moduli la cui esecuzione in pubblico è proibita, come lo sbadigliare
e lo stirarsi senza inibizioni, il ficcarsi le dita nel naso o il grattarsi in
posti non nominabili. Tutto quello che vien chiamato «maniera» è
naturalmente rigidamente determinato da ritualizzazione storico-
culturale. Le «buone» maniere sono per definizione quelle che sono
caratteristiche del proprio gruppo e noi ci conformiamo
costantemente alle loro imposizioni tanto che sono diventate per
noi una «seconda natura». Non realizziamo in genere né la loro
funzione di inibire l'aggressività né quella di formare un legame.
Eppure sono esse che producono quello che i sociologi chiamano
«coesione di gruppo»... L'aggressività prodotta da ogni deviazione
dalle maniere e dai manieristi caratteristici di un gruppo costringe
tutti i suoi membri ad attenersi rigidamente e uniformemente a
queste norme di comportamento sociale. Da diversi sociologi è
stata sostenuta l'opinione che la famiglia sia la forma più primitiva
di compagine sociale e che da essa derivino filogeneticamente tutte
le diverse forme di associazioni che ritroviamo presso gli animali
superiori. Questo può essere limitatamente giusto per alcuni insetti
che formano stati e possibilmente anche per alcuni mammiferi, ivi
compresi i primati ai quali appartiene l'uomo; ciò non deve però
venire generalizzato. La forma più primitiva della «società» nel
senso più ampio della parola è la formazione di schiere anonime, di
cui i pesci viventi nel libero mondo marino ci offrono l'esempio
tipico. All'interno del branco non c'è alcuna struttura di nessuna
specie, nessuno che conduce e nessuno che viene condotto, ma
solo un enorme assembramento di elementi uguali. Certamente
questi si influenzano a vicenda, certamente ci sono alcune
semplicissime forme di « comunicazione fra gli individui che
formano il branco. Se uno percepisce un pericolo e fugge, contagia
col suo umore tutti gli altri che hanno percepito il suo spavento.
Quanto si sparga poi il panico in un grande branco di pesci, se sia in
grado di indurre tutto il branco a voltarsi e a fuggire è una
questione puramente quantitativa, legata esclusivamente al
numero di individui che si spaventano e fuggono e dall'intensità con
cui lo fanno. Anche situazioni stimolo che attraggono il pesce
possono trovare una risposta in tutto il branco anche se un solo
individuo ha ricevuti gli stimoli. Il suo risoluto nuotare in una
determinata direzione trascina sicurissimamente altri pesci e di
nuovo è una questione di numero se tutto il branco si lascia
trascinare o no.
“I legami che tengono unito un simile gruppo anonimo sono di
natura molto diversa da quelli che conferiscono forza e consistenza
alla nostra società. Ciononostante si potrebbe pensare che
l'amicizia personale e l'amore siano potuti benissimo nascere in
grembo alla pacifica associazione anonima, un pensiero che viene a
maggior ragion suggerito dal fatto che la schiera anonima si è
sicuramente formata filogeneticimente, molto prima del legame
personale. Per evitar un malinteso voglio quindi anticipare fin d'ora
il tema principale del XII capitolo: la formazione della schiera di
anonimi e l'amicizia personale si escludono a vicenda perché
quest'ultima è curiosamente sempre legata al comportamento
aggressivo. Non conosciamo neppure un solo essere capace di
amicizia personale che manchi di aggressività. Particolarmente
efficace si dimostra questa connessione presso quegli animali
aggressivi soltanto nel periodo di riproduzione, che per il resto sono,
privi di aggressività e formano schiere anonime.”
“Negli animali ci sono anche rapporti fra determinati individui che
possono durare per lunghi periodi, anche per tutta la vita, senza che
per questo nascano fra loro legami personali. Come fra gli uomini ci
sono soci d'affari che lavorano bene insieme ma che non si
sognerebbero mai di incontrarsi al di fuori, delle ore d'ufficio, così
presso alcune specie animali ci sono dei legami individuali che si
formano solo mediatamente, attraverso un interesse dei partner per
una «impresa» comune, o per meglio dire esistono legami che
consistono in questa impresa. L'amico degli animali che tende a
umanizzarli non sarà contento di sapere che moltissimi uccelli, fra
cui anche taluni, maschio e femmina, che convivono per tutta la
vita in «matrimonio», non ci tengono affatto a stare insieme,
letteralmente «non sanno che farsene» l'uno dell'altra, a meno che
non abbiano appunto una funzione comune da svolgere nel nido o
al servizio della futura prole.
Ci sono infine organizzazioni sociali, la più tipica delle quali è quella
dei ratti, caratterizzate “dal combattimento collettivo di una
comunità contro un'altra della stessa specie. Tenterò di mostrare,
come le disfunzioni di questa forma sociale di aggressività intra-
specifica assumano il ruolo del «male» nel vero senso della parola,
e come, appunto per questo, la forma d'ordinamento sociale in
questione ci offra un modello su cui si possono evidenziare alcuni
pericoli che minacciano noi stessi.
Nel loro comportamento verso i membri della loro comunità gli
animali che ora descriveremo sono dei modelli di virtù sociale. Ma si
mutano in vere belve appena hanno a che fare con appartenenti a
una comunità che non sia la loro.
Le comunità di questo tipo sono sempre troppo ricche d'individui
perché questi si possano conoscere fra loro individualmente:
l'appartenenza a una determinata società è nella maggioranza dei
casi riconoscibile da un determinato odore proprio a tutti i suoi
membri.” (p. 214)
Per quanto riguarda i ratti, all’interno del gruppo la “tolleranza, anzi
la tenerezza che contraddistingue il rapporto fra madri mammifere
e i loro figli, non comprende soltanto il padre ma anche il nonno con
tutti gli zii, le zie, i prozii, le prozie, i cugini e così via, fino a non so
quale generazione. Le madri depongono le loro diverse schiere
infantili nello stesso nido ed è poco probabile che ognuna di esse
abbia cura solo dei propri piccoli. All'interno della grande famiglia
non esistono lotte serie, anche se questa contano dozzine di
animali. Persino nel branco dei lupi, i cui membri sono altrimenti
così cortesi fra loro, i più alti di rango mangiano per primi dalla
preda comune. Nella tribù dei ratti non c'è nessun ordine
gerarchico. La tribù attacca compatta un grosso animale da preda e
i membri più forti portano il contributo maggiore alla sua conquista..
Nel mangiare però, cito Steiniger testualmente, «gli animali più
piccoli sono i più invadenti: i più grandi si lasciano portar via di
buon grado i bocconi di cibo dai più piccoli. Anche nella
riproduzione, gli animali cresciuti per metà o per tre quarti, sotto
ogni rispetto più vivaci, hanno la precedenza sugli stessi adulti. Tutti
i diritti spettano loro, persino il più forte adulto non contesterà loro
nulla. »
All'interno della società non ci sono veri combattimenti, tutt'al più
piccoli screzi che vengono sempre liquidati solo con colpi delle
zampe anteriori o pedate con le zampe posteriori, mai con morsi.
All'interno della tribù non esiste la distanza individuale, al contrario,
i ratti sono animali da contatto nel senso