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La storia dell’integrazione scolastica in Italia ha conosciuto diverse fasi.
Possiamo individuare cinque periodi chiave nella storia dell’integrazione
scolastica in Italia: esclusione, medicalizzazione, inserimento, integrazione,
inclusione.
ESCLUSIONE
Dalle origini del nostro sistema scolastico agli anni Cinquanta è la logica della
delega e del rifiuto che esclude la presenza dell’alunno disabile dalla scuola
pubblica e solleva lo Stato dall’occuparsi dell’educazione di questi soggetti.
Sono i grandi Comuni e le istituzioni caritative, con le scuole speciali, a farsi
carico dell’istruzione degli alunni disabili.
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MEDICALIZZAZIONE
A partire dagli anni Sessanta, anche a fronte delle contestazioni rivolte alle
istituzioni speciali, lo Stato ha iniziato ad occuparsi degli alunni disabili, ma
incrementando e rafforzando le strutture speciali. In questo periodo l’approccio
è di tipo medico e la disabilità è percepita esclusivamente in riferimento al
deficit, provocando stigma e delega alle figure specializzate.
INSERIMENTO
Con il dibattito pedagogico degli anni Settanta e la questione della
democratizzazione dell’insegnamento in una scuola ormai di massa, si arriva
all’implosione delle istituzioni speciali e all’inserimento degli alunni disabili
nelle classi ordinarie, ma senza pianificazione didattica né strategie adeguate.
INTEGRAZIONE
Con il Documento Falcucci e le successive leggi 517 del 1977 e 104 del 1992
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vengono introdotte prospettive pedagogiche che rendono possibile il passaggio
Il Documento Falcucci del 1975 costituisce la base, il fondamento dell’integrazione degli
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alunni, che allora venivano definiti portatori di handicap, e che raccoglievano, in quella
definizione, tutta l’area del disagio. In questo documento sono contenuti i principi ispiratori
della Legge 4 agosto 1977 n° 517 e della Legge 5 febbraio 1992 n° 104.
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dall’inserimento all’integrazione, dalla logica assistenziale alla centralità dello
studente e al suo diritto alla piena educazione.
INCLUSIONE
Fiorin riconduce la logica dell’inclusione alle trasformazioni che la scuola
italiana ha vissuto a partire dalla fine degli anni Novanta, con il policentrismo
del sistema scolastico nazionale e lo sviluppo di nuove autonomie. Da qui, la
responsabilità di attuare azioni educative e didattiche orientate all’inclusione di
tutti, non solo degli alunni con disabilità, risiede nella singola (e in ogni)
istituzione scolastica che deve ripensarsi come organizzazione flessibile e
orientata alla valorizzazione delle differenze.
Quando si parla di Inclusione, non si può fare a meno di fare riferimento
alla Dichiarazione di Salamanca (giugno 1994), che può essere considerata il
manifesto della scuola inclusiva, in quanto sancisce che tutti i Paesi devono
adottare il principio dell’educazione inclusiva:
L’inclusione e la partecipazione sono essenziali per la dignità umana, per il
godimento e l’esercizio dei diritti umani.
16 La Legge 4 agosto 1977 n° 517 abolì le classi differenziali, individuando forme più articolate di
integrazione. In questa legge viene prevista per la prima volta la presenza di insegnanti di
sostegno nella scuola dell’obbligo. 35
Una scuola inclusiva deve riconoscere e rispondere ai diversi bisogni degli
studenti, assicurando la qualità dell’educazione attraverso: appropriati
curricula, pianificazioni organizzative, strategie didattiche, uso di risorse.
Ogni bambino ha un fondamentale diritto all’educazione e caratteristiche,
interessi ed abilità unici.
Gli individui con BES devono avere accesso alle scuole di tutti, le quali devono
adottare un approccio in grado di rispondere adeguatamente a questi bisogni.
Tutti i bambini dovrebbero poter imparare insieme, indipendentemente dalle
difficoltà o dalle differenze che possono avere.
Nel 2009 il Ministero dell’Istruzione ha emanato le “Linee guida per
l’integrazione scolastica degli alunni disabilità” nella cui premessa si legge:
«L’integrazione scolastica degli alunni con disabilità è un processo
irreversibile e, proprio per questo, non può adagiarsi su pratiche
disimpegnate che svuotano il senso pedagogico, culturale e sociale
dell’integrazione, trasformandola da un processo di crescita per gli alunni
con disabilità e per i loro compagni, a duna procedura solamente attenta
alla correttezza formale degli adempimenti burocratici.»
Dietro alla scelta della scuola italiana di aprire le classi normali affinché
diventassero effettivamente e per tutti comuni, c’è una concezione alta tanto
dell’istruzione quanto della persona umana, che trova nell’educazione il
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momento prioritario del proprio sviluppo e della propria maturazione. Inoltre,
le Linee guida evidenziano il ruolo del Dirigente Scolastico nella diffusione di
una cultura dell’integrazione, ribadiscono l’importanza di una presa in carico
dell’alunno disabile da parte di tutti i docenti e degli operatori che lavorano
nella scuola a vari livelli evitando atti di delega, promuovono una maggiore
collaborazione con le famiglie degli alunni disabili nell’individuazione di un
percorso formativo significativo.
3.2 La scuola inclusiva
Il concetto di inclusione rimanda a quello di accoglienza, che presuppone la
necessità di pensare l’organizzazione e la didattica in funzione dei contesti di
apprendimento funzionali per tutti.
La didattica strutturalmente inclusiva cerca di realizzare la partecipazione
piena di tutti e di promuovere apprendimenti per tutti, riconoscendo le
differenze individuali e i bisogni diversificati, rispondendo con equità alle
differenti richieste formative.
Si possono individuare dei principi fondamentali dell’inclusione:
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Accettare le diversità: la diversità è una caratteristica costitutiva della
condizione umana.
Assicurare la partecipazione attiva: l’inclusione non significa assicurare
un posto in aula. Includere significa assicurare una partecipazione
costruttiva per sé e per gli altri.
Sviluppare pratiche di collaborazione: l’inclusione è un processo
continuo che richiede il supporto di tutti.
Immaginare una scuola diversa: la scuola inclusiva è una scuola diversa
che promuove il cambiamento e lo sviluppo e che impara da sé stessa.
Fondamentale per gli alunni con BES è la modifica, l’adattamento e
l’innovazione della didattica per tutta la classe e non solamente per gli alunni
che dimostrano un qualche tipo di difficoltà. Il docente, portando la propria
attenzione sui sette punti chiave e quindi sulle sette dimensioni cruciali della
didattica può realmente migliorare i livelli inclusivi del proprio metodo di
insegnamento. Solo partendo da questo approccio sarà poi possibile attivare le
misure speciali tramite i Piani Educativi Individualizzati e i Piani Didattici
Personalizzati. 38
L’Erickson ha individuato sette dimensioni dell’azione didattica, su cui
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è possibile agire per incrementare i livelli di inclusione in classe e migliorare le
condizioni di apprendimento di tutti gli alunni:
1. La risorsa compagni di classe.
Si possono sfruttare i compagni di classe come risorsa, facendo diventare la
classe una comunità mediante il cooperative learning, il tutoring o le attività
laboratoriali. Per ciò che riguarda il cooperative learning, si divide la classe in
piccoli gruppi (il numero ideale è di 4 alunni) per apprendere e migliorare le
relazioni sociali; i gruppi possono essere omogenei, eterogenei o casuali, ma i
più funzionali all’inclusione sono di tipo eterogeneo. Il tutoring migliora invece
i risultati nella materia prescelta. L’attuazione della didattica laboratoriale
consente di attenuare la centralità della classe e di conferire rilevanza primaria
ad ogni alunno che diventa regista dell’azione educativo-organizzativa.
2. L’adattamento come strategia inclusiva.
È necessario adattare le forme di input del docente, gli obiettivi e i materiali
della lezione. Il fatto che il libro di testo deve essere adatto all’intera classe
significa approfondire, evidenziare, schematizzare, sintetizzare, costruire un
glossario.
Cfr. Zambotti F., BES a scuola. I 7 punti chiave per una didattica inclusiva, Erickson, Trento 2016.
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3. Strategie logico-visive, mappe, schemi e aiuti visivi.
È necessario impiegare strategie e tecnologie compensative logico-visive,
mappe mentali e concettuali, schemi e aiuti visivi. Le tecnologie compensative
devono essere suggerite dall’adulto mediante software adatti per le differenti
tipologie di BES.
4. Processi cognitivi e stili di apprendimento.
È importante elaborare le informazioni costruendo l’apprendimento in base agli
stili cognitivi degli alunni .
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5. Metacognizione e metodo di studio.
È opportuno utilizzare un approccio didattico metacognitivo. Generalmente un
bambino con ADHD o DSA è poco metacognitivo, tende ad agire di impulso ed
è poco strategico. La metacognizione va oltre la cognizione, significa “riflettere
sui processi mentali”, essere cioè consapevoli dei propri punti di forza e
Ogni alunno possiede un diverso stile cognitivo, Gardner riconosce nove tipi di intelligenza in
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base alle quali si possono sviluppare diversi tipi di strategie didattiche e/o materiali:
intelligenza logico-matematica, linguistica o verbale, spaziale, cinestetica, musicale,
interpersonale, intrapersonale, naturalistica ed esistenziale. La memoria codifica, immagazzina
e recupera le informazioni. Distinguiamo tre tipi di memoria: memoria sensoriale (memoria a 2
minuti), a breve termine (tra 10 e 30 minuti) e a lungo termine (per tutta la vita). Gli alunni con
disturbi dell’apprendimento possono giovare nel memorizzare mediante una catena di parole
chiave, una visualizzazione dei gesti oppure l’organizzazione in categorie degli oggetti da
ricordare. 40
debolezza, delle strategie di problem solving che si utilizzano. Un
insegnamento metacognitivo richiede un clima cooperativo in classe e un
metodo di insegnamento delle strategie di memorizzazione, di organizzazione
del tempo, di metodologia per prendere appunti durante la lezione.
6. Emozioni e variabili psicologiche nell’apprendimento.
È importante insegnare agli alunni BES la relazione tra impegno,
comportamento strategico e prestazione efficace. L’autostima (il giudizio di sé)
è fondamentale.
7. Valutazione, verifica e feedback.
La valutazione consente di operare scelte, di monitor