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LA NASCITA DELLA PROSA FILOSOFICA A ROMA

Prima di parlare della vita e delle opere di Seneca e del suo contributo nell’ambito della prosa

filosofica, è necessario fare un cenno alla nascita della prosa filosofica a Roma. È bene ricordare che

l’interesse per la filosofia a Roma si sviluppò tardi, probabilmente a partire dal III a.C. e in dipendenza

dalle dottrine filosofiche di età ellenistica. Di conseguenza, l’attenzione per la filosofia nacque

all’interno di quell’ampio fenomeno di ellenizzazione della società e della cultura latine. Si può solo

supporre che l’interesse per la filosofia sia databile ad un periodo precedente, come del resto

dimostrerebbero i rapporti tra personalità come Numa Pompilio e Pitagora, di cui ci parlano diverse

fonti. Nelle Tusculanae Cicerone fornisce un’interpretazione al riguardo. In particolare, la lettura di

due passaggi (Tusculanae 4,5 e 1,5) dimostra la consapevolezza ciceroniana di non poter nominare

delle singole personalità che si siano dedicate alla filosofia; Cicerone non esclude la possibilità che

sia esistito un interesse per la filosofia prima dell’età degli Scipioni, ma chiarisce che non gli sono

noti nomi di personalità che si siano distinte in questo genere. Emerge, inoltre, l’orgoglio dell’autore

di illustrare un genere che non è stato ancora adeguatamente trattato, oltre alla consapevolezza di

dover dare del proprio meglio.

È molto interessante anche una notizia relativa a Numa Pompilio. Una testimonianza che ci

giunge tramite Livio, ma che probabilmente doveva risalire ad altri storici, tramanda della scoperta

nel 181 a.C. di alcuni libri di Numa dissotterrati presso il Gianicolo: di questi sette, in latino, era il de

iure pontificio e sette, in greco, de disciplina sapientiae. Livio ci informa che lo storico Valerio

Anziate considerò questi libri pitagorici e per questo motivo si ritenne opportuno distruggerli. Si può

affermare che l’attribuzione a Numa è certamente un falso, ma questa testimonianza è comunque

preziosa perché documenta come all’inizio del II secolo a.C. i libri filosofici fossero considerati

sovversivi. Questo testimonia come a Roma la valutazione della filosofia fosse negativa, poiché

considerata pericolosa; si considerava la filosofia pericolosa perché si riteneva che avesse la capacità

di penetrare nei più antichi istituti romani.

Si può dire ben poco sull’elaborazione di un pensiero filosofico a Roma nel II secolo a.C., dal

momento che le testimonianze in nostro possesso sono davvero esigue. Sappiamo che Catone scrisse

un carmen de moribus, di cui si discute se fosse o meno in prosa, mentre Ennio nell’Euhemerus,

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allontanandosi dagli atteggiamenti propri della religione tradizionale, dimostra di credere ad una

nuova forma di immortalità destinata alle anime dei grandi protagonisti della storia. Gli opposti

percorsi intrapresi da Catone e Ennio consentono di identificare due linee di tendenza filosofiche

differenti: quella di Catone, improntata al tradizionalismo e alla difesa dei valori, e quella di Ennio,

aperta alla cultura greca e pronta ad aprire la cultura romana a nuove concezioni.

Questa apertura di Ennio dipende sicuramente dal fatto che visse in un’epoca in cui le

occasioni di penetrazione della filosofia a Roma erano molteplici. Ad esempio, dopo la battaglia di

Pidna, il vincitore Lucio Emilio Paolo portò a Roma la biblioteca appartenuta al re Perseo, per

arricchire la sua casa e accrescere la possibilità di educazione dei figli. È anche nota la notizia di

un’ambasceria condotta nel 155 da tre filosofi, Carneade (seguace dell’Accademia), Diogene (stoico)

e Critolao (peripatetico), giunti a Roma per chiedere al Senato la cancellazione di una multa a nome

degli Ateniesi. Per la prima volta i Romani ebbero modo di confrontarsi con le abilità dialettiche di

tre filosofi. Ad ogni modo, era sempre presente una duplicità di atteggiamenti: da una parte l’interesse

per il pensiero filosofico e le abilità dialettiche dei filosofi greci, dall’altra l’ostilità e l’intenzione di

respingere le idee che potenzialmente potevano intaccare i principi e i valori della tradizione.

Nel I secolo a.C. la presenza della cultura greca a Roma si fece sempre più massiccia, fino a

diventare parte integrante del curricolo dei Romani colti. Dimostrazione di questo cambiamento è la

produzione ciceroniana: dopo la produzione retorica degli anni Cinquanta, si distingue una

produzione di scritti di teoria politica e giuridica con i sei libri del de re publica (54-51 a.C.) e il de

legibus (52 a.C.) e una cospicua produzione di testi di argomento filosofico negli ultimi due anni di

vita di Cicerone (45-43).

Nel proemio delle Tusculanae disputationes, Cicerone chiarisce la scelta di dedicarsi alla

filosofia, sostenendo che nella sua vita è sempre stato interessato ad argomenti filosofici, ma che

soltanto adesso che è libero da impegni derivanti dalla vita politica, può finalmente dedicarsi alla

scrittura filosofica. Sostiene che la lingua latina sia ormai pronta ad affrontare la riflessione filosofica,

rivendicando così l’importanza di una filosofia in latino. Cicerone sostiene che non è solo la lingua a

fare la differenza, ma ricorda che i Romani hanno dimostrato di aver superato i Greci in molti campi

del sapere: questo legittima l’urgenza di una riflessione filosofica in latino. Inoltre, nel quinto libro

delle Tusculanae, Cicerone elogia la filosofia definendola un porto in cui trovare rifugio nella

tempesta politica e personale che egli attraversa.

Dopo Cicerone, nel passaggio tra la tarda repubblica e la prima età imperiale, non pare che i

suoi insegnamenti abbiano avuto un seguito degno di nota. Seneca testimonia la crisi che

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contraddistinse le scuole filosofiche in età imperiale e in particolare per ciò che riguarda i Pitagorici,

l’Accademia e la scuola dei Sesti. Seneca, insieme a Cicerone, è l’esponente più illustre della prosa

romana. Nell’ambito della produzione senecana, le opere filosofiche occupano uno spazio prioritario

e l’opera filosofica di Seneca rappresenta il punto più alto raggiunto dalla riflessione romana

nell’ambito della filosofia morale. In particolare, con le Lettere a Lucilio, Seneca ha inventato la

scrittura dell’interiorità, scrivendo di sé, della propria vita spirituale e proponendosi come modello

del saggio alla ricerca della virtù. 5

Capitolo 2

LUCIO ANNEO SENECA: CENNI BIOGRAFICI E PENSIERO

2.1 La vita

Lucio Anneo Seneca è noto come uno dei prosatori filosofici romani, insieme a Cicerone, ed

è anche l’unico poeta tragico latino di cui possediamo interamente i suoi testi. Fu un personaggio

molto complesso, la cui vita fu segnata da diverse contraddizioni. Nacque a Cordova, in Spagna, alla

fine del I secolo a.C. (probabilmente il 4 a.C.) da una ricca famiglia del ceto equestre. Figlio

secondogenito di Seneca il Vecchio, giunse a Roma quando era ancora bambino e ricevette una

raffinata educazione, coltivando inizialmente gli studi di retorica a cui il padre lo aveva destinato.

Tuttavia, ben presto fu attirato dagli studi filosofici, che ebbero un ruolo fondamentale nella sua

formazione. Infatti, fu suo maestro lo stoico Attalo, i cui insegnamenti erano caratterizzati da un

rigido rigorismo morale e da severe pratiche di vita.

Nella sua formazione fu molto importante anche la frequenza della scuola dei Sestii, creata al

tempo di Cesare da Quinto Sestio. L’impostazione della scuola dei Sestii cercava di accomodare i

precetti della filosofia stoica con gli interessi scientifici di stampo pitagorico e imponeva un rigido

stile di vita.

Tuttavia, l’ascetismo e le rinunce finirono con il minare la sua salute. Di conseguenza, decise

di mettere da parte i severi studi filosofici e di rafforzare il suo fisico a contatto con un clima diverso,

compiendo un viaggio in Egitto, dove era governatore un suo zio, legato a Seiano. Nel, 31, però,

Seiano fu eliminato e la sua disgrazia coinvolse anche lo zio di Seneca. Il viaggio di ritorno fu tragico:

ci fu un naufragio, in cui si salvarono Seneca e la zia, mentre vi trovò la morte lo zio.

Rientrato a Roma diede inizio alla carriera politica e si dedicò agli studi retorici, in cui mostrò

notevole talento. Riuscì, dunque, ad integrarsi nella vita della corte imperiale, nella quale raggiunse

una posizione di rilievo. Nel 32 circa diventò questore e, in questo modo, ebbe accesso al senato.

Sotto l’impero di Caligola spiccò per i suoi scritti di carattere filosofico e scientifico e per le sue doti

di eloquenza, che secondo alcune fonti destarono l’invidia dell’imperatore.

La crisi dei rapporti tra imperatore e nobiltà sotto Caligola prima e sotto Claudio dopo, ebbe

delle ripercussioni anche su Seneca. Secondo alcune fonti, Caligola condannò a morte Seneca nel 39,

poiché era invidioso dei suoi successi nell’oratoria. Tuttavia, pare che fu convinto a non eseguire la

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condanna da una sua amante, che gli rivelò che Seneca era ormai prossimo alla morte a causa delle

sue condizioni di salute precarie. Non sappiamo quanto possa essere vera questa notizia, ma ciò che

sappiamo con certezza è che proprio nel 39 Caligola sventò una congiura delle sorelle Agrippina e

Livilla, alle quali Seneca era molto vicino, e uno dei congiurati era Getulico, intimo amico di Lucilio

(destinatario dell’epistolario di Seneca). Di conseguenza, per tutti questi motivi probabilmente

Caligola aveva nutrito qualche sospetto su un’eventuale partecipazione di Seneca alla congiura. In

seguito a questa vicenda, Seneca abbandonò la sua attività di avvocato.

Quando salì al potere Claudio, la situazione di Seneca peggiorò: nel 41 il nuovo imperatore

fece tornare dall’esilio le due sorelle di Caligola, ma condannò all’esilio in Corsica Seneca, accusato

di adulterio con Livilla e processato in senato. Probabilmente Seneca fu coinvolto in uno dei tanti

intrighi di corte e fu vittima delle macchinazioni di Messalina, moglie di Claudio, ai danni di Livilla,

che fu nuovamente esiliata nel 42. Seneca in Corsica si trovò di colpo su un’isola inospitale e tentò,

invano, ogni mezzo per ottenere il perdono.

Nel 48 d.C. Messalina fu uccisa e il suo posto accanto all’imperatore fu preso dall’ambiziosa

Agrippina, che tramava affinché suo figlio Domizio, il futuro Nerone, fosse prescelto come

successore di Claudio. Agrippina, dunque, ottenne dall’imperatore la revoca dell’esilio per Seneca,

poiché lo voleva come istitutore del giovane principe (50 d.C.).

Nel 54 Claudio morì, probabilmente avvelenato da un piatto di funghi propinatogli da

Agrippina, e il dic

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
15 pagine
SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher DadaBen di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Saint Camillus International University of Health o del prof Gaudio Eugenio.