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ASPETTI PSICOLOGICI
È fuori discussione che gli aspetti psicologici sono importanti nella riabilitazione cardiologica.
Sempre più evidente appare il ruolo dei fattori psicologici nel determinare la prognosi sia in termini
di eventi clinici sfavorevoli che di sopravvivenza. È stato evidenziato che indipendentemente da
altri fattori di rischio coronarici i pazienti con depressione vanno più facilmente incontro a sintomi
anginosi e ad aritmie ventricolari minacciose nei mesi successivi ad un infarto. In particolar modo il
sentimento di rimanere soli sembra quello maggiormente associato ad una prognosi aritmica
sfavorevole.
All’opposto, la consapevolezza di essere amati, di essere circondati dall’affetto e dalla
compressione di amici e familiari ha un effetto protettivo e allunga la vita. Alla luce di queste
considerazioni la riabilitazione deve essere considerata un momento privilegiato per affrontare
problematiche spesso negate dal paziente stesso e dal personale sanitario nelle fasi più drammatiche
della malattia. Discutere con il paziente delle sue ansie e paure, delle sue fasi di depressione ed
aiutarlo ad affrontarle costituiscono la base per migliorare non solo la qualità della vita, ma anche le
stesse possibilità di sopravvivenza.
Allo stesso modo è importante, in questa fase, prendere in considerazione non solo le reazioni
interne al soggetto infartuato ma anche l’universo delle sue relazioni esterne, con le relative
dinamiche a livello familiare, lavorativo, sociale, che possono influire non poco sulla qualità di vita.
Nel corso delle prime settimane o dei primi mesi successivi all’infarto del miocardio è frequente
questo senso di paura, provocato dallo sconvolgimento della propria vita, che interessa lo
svolgimento delle normali attività (come guidare e lavorare).
La depressione è altresì frequente dopo la dimissione dall’ospedale, quando il momento di crisi è
passato. Il ritorno a casa fa sentire questi pazienti ancora più vulnerabili lontano dal pronto
intervento, e la ripresa della routine è spesso assai difficoltosa. Il paziente, passato il pericolo, ha
maggior tempo per pensare ai cambiamenti della propria vita e si sente veramente vulnerabile;
questo periodo è stato paragonato ad un vero e proprio periodo di lutto, per la perdita della
funzionalità e di capacità fisiche. Il trattamento di questi pazienti risulta pertanto importante sia per
quanto riguarda il recupero post infarto che per gli aspetti depressivi ed ansiosi.
Tra i fattori che possono influire negativamente sulla compliance al trattamento del paziente post
infarto, risulta di prima evidenza l’aspetto talvolta cronico della malattia che prevede un trattamento
duraturo e costante nel tempo. Questo dato sembra anche un fattore importante nel promuovere
aspetti depressivi che durano nel tempo. Inoltre, i controlli e le misurazioni della pressione
arteriosa, effettuate sotto l’azione dei farmaci, risultano spesso nella norma. Questo dato può
alimentare nel paziente la sensazione di essere guarito promuovendo una sospensione della cura.
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Un altro dato statistico dice che i pazienti tendono ad applicare modifiche del loro stile di vita errato
e della loro alimentazione maggiormente in seguito all’infarto acuto del miocardio, piuttosto che in
assenza di segni clinici di malattia.
La depressione dopo l’infarto può provocare nel paziente una perdita di speranza di guarigione, tale
da fare interrompere spontaneamente il trattamento prima che l’effetto riabilitativo abbia avuto la
sua efficacia. Tale atteggiamento può essere aggravato dalla predisposizione dell’individuo ad
interpretare eventuali situazioni avverse come segni di peggioramento della malattia la cui causa
può essere imputata anche allo stesso trattamento. In questa situazione non è raro riscontrare
problemi nell’adesione al trattamento ed alle indicazioni del medico.
In letteratura è stata data considerevole attenzione alla rilevazione dello stress psicologico sia
all’inizio che nell’evoluzione di patologie cardiache, tra cui l’infarto acuto del miocardio.
Al riguardo è stata messa in luce l’importanza della depressione e dell’ansia come fattori
indipendenti di rischio per la mortalità nei pazienti nel post infarto. Di conseguenza, è assai
importante rilevare significativi livelli di malessere psicologico, sia durante la degenza che dopo la
dimissione al fine di individuare quei pazienti che necessitano di specifici interventi in aggiunta e a
sostegno della convenzionale riabilitazione cardiologica.
Nonostante sia proprio dopo la dimissione ospedaliera che molti sintomi affettivi diventano più
evidenti, anche le caratteristiche della fase cardiaca acuta sono di importante valutazione: spesso il
paziente in questa fase appare sfiduciato verso le cure, con un abbassamento del tono dell’umore.
La sua visione è contraddistinta da pessimismo circa l’evoluzione del suo stato, è rilevata
frequentemente una perdita di speranza legata a questa fase clinica. Se nella maggior parte dei casi
può trattarsi di sintomi indicativi di una reazione di adattamento o di una forma di depressione lieve
a remissione spontanea, in alcuni casi, invece, questa situazione può rappresentare un indicatore di
esordio depressivo maggiore. La diagnosi in tali soggetti può essere inizialmente difficoltosa.
I sintomi che il paziente presenta, possono essere una reazione adeguata allo stress dell’individuo
malato; i sintomi depressivi organici possono sovrapporsi e confondersi con quelli della specifica
condizione medica, come la perdita di peso, l’astenia e l’affaticabilità. Dunque i pazienti post
infartuati dovrebbero essere sottoposti ad una prima generale valutazione psicopatologica oltre che
cardiologica.
Il paziente deve essere assistito nella sua globalità perché si tratta di un insieme bio-psico-sociale.
L’assistenza psicologica fornita dall’infermiere, incentrata sui bisogni del paziente fa si che lui non
si senta estirpato dalla sua casa e dalla sua vita; affronterà con un diverso spirito anche la nuova
realtà in cui si trova. 28
Quando il paziente giunge in unità di terapia intensiva cardiologica, in preda a dolore ed ansia, è
logico dargli spiegazioni limitate, semplici e rassicuranti. Molto spesso i pazienti sono sospettosi o
male informati riguardo agli apparecchi di monitoraggio, quindi sarà necessario dargli spiegazioni
sull’apparecchiatura usata e su tutto ciò che è fatto durante la loro permanenza in unità di terapia
intensiva.
L’infarto induce una serie di esperienze, reazioni e comportamenti che condizionano la situazione
psicologica del paziente sia nella fase acuta che in quella riabilitativa. Oltre ad ansia e depressione,
possiamo trovare irritabilità, disturbi del sonno, angoscia, sensazione di malattia invalidante,
dipendenza dai farmaci e dal personale di assistenza.
Il paziente infartuato percepisce il proprio corpo come malato e indebolito, non più controllabile e
gestibile.
Il futuro diventa per lo qualcosa di incerto e si ha paura di non poter fare più dei progetti a lungo
termine. La riduzione dell’ansia e dell’aggressività, il miglioramento dello stato d’animo e
dell’immagine di sé stessi sono gli effetti psicologici più favorevoli della riabilitazione, che si
evidenziano con il miglioramento della prestazione fisica quotidiana, con la sensazione di
benessere, con la scomparsa dell’apprensione nel fare un certo sforzo.
La riabilitazione al post infartuato è un intervento multidisciplinare che mira a prevenire e a
correggere i fattori di rischio di successivi attacchi cardiaci, ma anche a ristabilire un equilibrio
psicologico fin dalle prime ore del ricovero. L’infermiere dovrebbe dedicare tempo all’ascolto
empatico, favorendo l’espressione delle paure e creando le condizioni nelle quali la rassicurazione
ed il conforto possano trovare terreno favorevole per essere accettati.
L'ascolto attivo si basa sull'empatia e sull'accettazione. Esso si fonda sulla creazione di un rapporto
positivo, caratterizzato da un clima in cui una persona possa sentirsi empaticamente compresa e
comunque non giudicata.
L’empatia è la focalizzazione sul mondo interiore dell’interlocutore, consiste nella capacità di
intuire cosa si agiti in lui, come si senta in una situazione e cosa realmente provi al di là di quello
che esprime verbalmente.
L’empatia è la capacità di leggere fra le righe, di captare le spie emozionali, di cogliere anche i
segnali non verbali indicatori di uno stato d’animo e di intuire quale valore rivesta un evento per
l'interlocutore, senza lasciarsi guidare dai propri schemi di attribuzione di significato.
Quando si pratica l'ascolto attivo, invece di porsi con atteggiamenti che tradizionalmente vengono
considerati da buon osservatore, ossia, come persone impassibili, neutrali, sicure di sé, incuranti
delle proprie emozioni e tese a nascondere e ignorare le proprie reazioni a quanto si ascolta, è più
opportuno rendersi disponibili anche a comprendere realmente ciò che l'altro sta dicendo, mettendo
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anche in luce possibili difficoltà di comprensione. In questo modo è possibile stabilire rapporti di
riconoscimento, rispetto e apprendimento reciproco. Per diventare attivo, l'ascolto deve essere
aperto e disponibile non solo verso l'altro e quello che dice, ma anche verso se stessi, per ascoltare
le proprie reazioni, per essere consapevoli dei limiti del proprio punto di vista e per accettare il non
sapere e la difficoltà di non capire.
I principali elementi che caratterizzano una buona attività di ascolto, sono:
·sospendere i giudizi di valore e l'urgenza classificatoria, cercando di non definire a priori il proprio
interlocutore o quanto egli dice in categorie di senso note e codificate;
·osservare ed ascoltare, raccogliendo tutte le informazioni necessarie sulla situazione contingente,
ricordando che il silenzio aiuta a capire e che il vero ascolto è sempre nuovo, non è mai definito in
anticipo in quanto rinuncia ad un sapere già acquisito;
·mettersi nei panni dell'altro, dimostrare empatia, cercando di assumere il punto di vista del proprio
interlocutore e condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che manifesta;
·verificare la comprensione, sia a livello dei contenuti che della relazione, riservandosi, dunque, la
possibilità di fare domande aperte per agevolare l'esposizione altrui e migliorare la propria
comprensione;
·curare la logistica, facendo attenzione al contesto fisico-spaziale dell'ambiente in cui si svolge l