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Gabbard (1999) afferma inoltre che oggi si è inclini a pensare alle terapie
psicoanalitiche come collocate su un continuum espressivo-supportivo.
3. L’insight nella psicologia del Sé e nella prospettiva intersoggettiva
Il Sé ha costituito un’entità separata già per Hartmann, dal 1950, che
distingueva l’Io definendola come la parte che interagisce con le altre
istanze psichiche cioè l’Es e il Super-Io, dal Sé visto come il prodotto delle
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interazioni con gli oggetti significativi e con i propri oggetti interni
(Meissner, 1986).
Secondo Schafer (1983) il Sé è un agente attivo, che dà origine all’azione
ed è il soggetto dell’esperienza, che costruisce il mondo esperenziale
Nelle teorizzazioni psicoanalitiche dell’autore è l’elemento
partecipandovi.
costituente centrale, organizzato e organizzante della persona considerata
come un’entità psicologica strutturata. Il Sé è però anche oggetto
dell’azione e dell’esperienza di una persona, per esempio nell’auto-
osservazione o nell’autostima.
Heinz Kohut (1971) elaborò una teoria dello sviluppo del Sé e dei
bisogni narcisistici, parallelamente al tramonto del modello pulsionale e al
crescente diffondersi del modello delle relazioni oggettuali. La psicologia
del Sé, di cui Kohut è il padre, ritiene che il Sé derivi dalle rappresentazioni
mentali interne e si divide in tre poli (Kohut, 1971): il primo è più nucleare
e arcaico e vi sono le ambizioni di successo, nel secondo si trovano i valori
e gli ideali normativi e nel terzo le attitudini e le abilità. Il Sé nasce
inizialmente debole e amorfo e viene successivamente arricchito dalla
relazione costante con l’ambiente che accoglie i bisogni del bambino e ne
rispecchia l’integrità. Anche in analisi il paziente ha bisogni legati a un Sé
immaturo, che grazie al contesto terapeutico accogliente può riprendere il
suo sviluppo fino ad arrivare ad una coesione e integrazione.
Il raggiungimento di un Sé maturo nel bambino è possibile grazie alle
esperienze di oggetto-sé (Kohut,1971), cioè alla soddisfazione di bisogni
quali quello di essere idealizzato (oggetto-sé idealizzante), di essere
affermato e valorizzato (oggetto-sé rispecchiante) e di sentirsi simile ad un
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altro essere umano (oggetto-sé alteregoico o gemellare). Inizialmente gli
oggetti-sé erano rappresentazioni interne, mentre successivamente si legano
alle persone che realmente costituiscono l’ambiente del bambino, che
devono possedere la capacità empatica per svolgere questo ruolo.
Successivamente, grazie alla frustrazione ottimale, cioè il mancato
soddisfacimento dei bisogni da parte dei genitori, avviene
l’internalizzazione trasmutante, per cui gli oggetti sé diventano strutture
psichiche e le loro funzioni vengono svolte da un Sé più autonomo, integro
e coeso.
Allo sviluppo del Sé si lega lo sviluppo della libido che viene distinta da
Kohut in libido oggettuale, che investe gli oggetti sperimentati come
separati dal soggetto e libido narcisistica, che invece investe gli oggetti
come un’estensione del Sé (Greenberg, Mitchell, 1983) e che
sperimentati
porta al narcisismo sano.
Un concetto fondamentale della tecnica kohutiana è quello di empatia,
“capacità
intesa come di pensare e sentire se stessi nella vita interiore di
un’altra persona. nostra capacità quotidiana di provare ciò che un’altra
È la
persona prova, anche se di solito, e giustamente, in misura attenuata”
(Kohut, 1984; p. 113). È il modo di cogliere informazioni di carattere
psicologico su altre persone e di raffigurarsi la loro esperienza interiore,
diretta. In analisi l’empatia ha un
anche se non è accessibile all’esperienza
effetto terapeutico, consentendo di convertire traumi potenziali in
esperienze più comprensibili ed elaborabili. Infatti l’ascolto empatico
permette la comprensione del sentire del paziente, valida il suo punto di
vista e permette così il recupero del blocco evolutivo causato dagli
53
insuccessi dei primi oggetti-sé. Nella psicologia del Sé il concetto di
empatia è legato a quello di esperienza emotiva correttiva (Alexander,
French, 1946), di alleanza terapeutica (Zetzel, 1956) e di esperienza
integrativa (Loewald, 1960), che favoriscono lo sviluppo dell’insight nel
paziente, sostituendosi all’interpretazione, come sostenevano invece gli
dell’Io. È importante notare che per Kohut
analisti freudiani e gli psicologi
(1984) l’insight è la conseguenza e non la causa del cambiamento.
Dopo le innovazioni introdotte da Kohut, in particolare l’applicazione
dell’empatia nell’interazione clinica, una delle strade che percorre la
psicologia è quella della prospettiva intersoggettiva (Atwood, Storolow,
1979). Questa corrente si basa sulla metafora psicoanalitica del campo o
sistema relazionale composto da soggettività, cioè persone e altre entità
l’attività psichica come un sistema aperto in
separate, in interazione e vede
cui i processi mentali emergono dall’interazione continua e reciproca di
influenze interpersonali che modellano e influenzano i meccanismi
intrapsichici (Atwood, Storolow, 1984). Il concetto di campo psicoanalitico
è stato introdotto dai coniugi Baranger (1969), i quali ritengono che lo
scambio psicoanalitico sia determinato dal paziente e dal terapeuta, ma
anche da una terza istanza o campo che include la loro interazione presente,
passata e futura e il setting.
Nonostante il legame tra Storolow e Kohut, il concetto di campo
intersoggettivo è solo in parte sovrapponibile a quello di relazione tra Sé e
oggetto-sé, poiché il primo si configura come un campo di influenza
reciproca e scambievole e non si riferisce solo al modo in cui il paziente
induce l’analista a svolgere una funzione di oggetto-sé, ma anche alla
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stessa propensione da parte del terapeuta. Inoltre il costrutto di mondo
soggettivo della prospettiva intersoggettiva ricopre un territorio più
esperenziale rispetto a quello ricoperto dal concetto di Sé, poiché include
l’interazione di più sistemi soggettivi ponendosi a un livello di
generalizzazione più alto.
La teoria intersoggettiva è stata influenzata anche dall’approccio sistemico
degli studi sulle coppie madre-bambino, che evidenziano la reciprocità
della comunicazione e della regolazione affettiva tra neonato e caregivers
(Storolow, Lachmann, 1980). Gli autori hanno poi studiato l’analogia con
la diade paziente-terapeuta. Nel caso di pazienti più integrati che
sviluppano un transfert classico, l’analista può esercitare l’interpretazione,
mentre con pazienti che hanno un arresto evolutivo alla fase pre-edipica,
che vivono il terapeuta come incluso in un sistema di reciproche
porre l’attenzione analitica sul legame sé-
interrelazioni, è necessario
oggetto e sulla dimensione interattiva.
Storolow e Atwood (1992) inoltre criticano il mito della mente isolata,
cioè che esiste in modo indipendente e separato dall’esterno, ritenendo che
invece l’esperienza personale si sviluppi all’interno di un contesto
intersoggettivo, che è il sistema madre-bambino. La patologia deriva perciò
da una grave deficienza o distorsione di questo rapporto primario. Anche in
terapia, quindi, l’esperienza del paziente può essere modificata grazie al
campo intersoggettivo, all’interno del quale il paziente può anche
raggiungere l’insight. Nella terapia basata sulla teoria intersoggettiva
inoltre, così come in quella fondata sulla psicologia del Sé da cui in parte
deriva, il rapporto empatico con il terapeuta favorirebbe la formazione di
55
nuovi principi organizzatori dell’esperienza psichica, più funzionali, che si
aggiungono o sostituiscono ai vecchi principi disfunzionali (Storolow,
Brandchaft, Atwood, et al, 1999). sia passato dall’essere legato
Si nota come, così, il concetto di insight
all’abreazione o catarsi della prima modalità tecnica freudiana, passando
attraverso il legame con l’interpretazione della teorizzazione più matura di
Freud e degli psicologi dell’Io, all’essere favorito dalle caratteristiche
empatiche del terapeuta grazie alle nuove tecniche introdotte da Kohut
(1984), pur rimanendo un elemento fondamentale della terapia a
orientamento dinamico. 56
Capitolo 3. L’insight nelle terapie cognitivo-comportamentali
1. La terapia comportamentale e le terapie cognitive di prima
generazione ha l’obiettivo di modificare direttamente
La terapia del comportamento
i repertori comportamentali del paziente, a differenza della psicoterapia
l’organizzazione
tradizionale che è volta a modificare in modo diretto
intrapsichica del soggetto e ha, come conseguenza indiretta, la
modificazione del comportamento.
La terapia del comportamento inizia ad emergere negli anni Cinquanta, in
tre diversi ambienti: in Sud-Africa si studiano con esperimenti sugli
animali le modalità di decondizionamento/controcondizionamento delle
reazioni emozionali e in particolare Wolpe (1958) mette a punto la tecnica
della desensibilizzazione sistematica; a Londra Eysenck insegna ai suoi
allievi una pratica terapeutica pioneristica che si basa sui principi
dell’apprendimento anziché sugli assunti psicodinamici; negli Stati Uniti,
Skinner studia il condizionamento operante con pazienti psicotici.
Successivamente la terapia del comportamento si diffonde in modo rapido
e negli anni Ottanta acquisisce effettivamente dimensioni mondiali.
Negli anni Novanta e recentemente si individuano più filoni che si
dispiegano dal polo del comportamentismo estremo ad uno opposto
prevalentemente cognitivista; si trovano così un comportamentismo
57
radicale di derivazione skinneriana, il comportamentismo sociale di Staats
(1975) , la Social Learning Theory di Bandura (1969) e posizioni di altri
autori al confine tra comportamentismo e cognitivismo.
Il comportamentismo si basa sul retroterra filosofico dell’empirismo
inglese, del sensismo e del materialismo francesce, del positivismo
ottocentesco, dell’evoluzionismo e del pragmatismo, da cui derivano una
serie di presupposti: il determinismo psichico e comportamentale,
l’ambientalismo, cioè la tendenza a dare più importanza a ciò che è appreso
rispetto a ci&ogra