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‘L
L'altro modello è quello a rovesciata’ nel quale è presente una discesa, causata dalla
maternità, senza ritorno nel mercato del lavoro; in questo caso le donne compiono una
fuoriuscita totale dall’occupazione. Un modello del tutto diverso, senza discontinuità ed
l’uomo. Questo modello è definito a
abbandono del mondo del lavoro è quello che riguarda
campana, la curva di partecipazione maschile sale e scende solamente quando si raggiunge il
L’arrivo di un figlio nella vita di un uomo porta a un aumento
pensionamento (Reyneri 2017).
della produttività con conseguente aumento del guadagno; secondo gli ultimi dati Istat, per la
fascia 25-54 anni, il 91% degli uomini senza figli lavora dalle 40 ore a settimana in su e, anzi,
una volta diventati padri aumenta l’impegno nel lavoro retribuito; infatti, il 95% dei padri di figli
minorenni lavora a tempo pieno (Save the Children 2023). Tutto ciò si verifica perché anche la
figura del padre è vittima dello stigma sociale per cui un padre di famiglia è - e deve esserlo
–
necessariamente un breadwinner, deve occuparsi del sostentamento della propria famiglia e per
È evidente quindi che l’arrivo di un figlio impatta in modo
questo sarà più motivato a lavorare.
diverso sulle biografie di vita di uomini e donne. per l’Analisi
Il Rapporto Plus 2022 di INAPP (Istituto Nazionale delle Politiche
nell’occupazione del mondo femminile, in
Pubbliche) evidenzia come la maternità influisca
a seguito dell’evento maternità compie una fuoriuscita dal
particolare il 18% delle donne
È bene prendere in considerazione altri fattori che insieme all’evento della
mercato del lavoro.
maternità possono condurre alla scelta di permanenza o non permanenza al lavoro. Tra i primi di
l’istruzione.
questi fattori, presente anche nel Rapporto di cui sopra, si trova Questa è, infatti, un
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impedire l’abbandono del mercato del lavoro
fattore di protezione in quanto sembra dal
momento che rappresenta un investimento per la donna, ma anche un percorso di emancipazione
una persona che ha investito nell’istruzione vorrà far fruttare i suoi sacrifici e quindi
personale;
cercherà la realizzazione personale anche attraverso il lavoro, la maternità di conseguenza
impatterà in modo minore nella scelta dell’abbandono del mercato del lavoro contrariamente a
quanto potrebbe fare nel caso di donne poco istruite. L'istruzione sembra avere comunque un
decisivo nel caso dell’uscita dal mondo del lavoro
ruolo non delle neomamme; il Rapporto mette
in luce come altri fattori, definiti esterni, possano giocare un ruolo altrettanto importante.
in considerazione dall’INAPP è l’area geografica.
Un’altra variabile presa Emerge come
la continuità lavorativa delle neomamme sia prevalente nelle aree con maggiore presenza delle
donne all’interno del mercato del lavoro e come d’altro canto l’inattività sia una caratteristica
delle donne più presente al sud Italia e nelle isole. Lo scenario sembra cambiare per quanto
riguarda invece le transizioni lavorative delle neomamme (passaggio da lavoratrice a non
l’area geografica sembra
lavoratrice e il contrario, da non lavoratrice a lavoratrice), in questi casi
non incidere in particolar modo. Infatti, anche in questo caso, bisogna riferirsi ai fattori esogeni,
si arriva dunque alla conclusione che le transizioni lavorative delle neomamme siano dovute ad
una “condizione ‘universale’ ‘territoriale’
e non di maternità” (INAPP, 2022, 131). L'ultima
variabile presa in analisi è quella del reddito, viene messo in luce come le transizioni lavorative
delle neomamme siano dovute da un fattore economico, ma non solo. In riferimento al reddito
lordo annuale di 15mila euro si osservano scelte differenti. Restano nel mondo del lavoro, dopo
l’evento maternità, le donne con un reddito lordo annuo superiore ai 15mila euro. La transizione
lavorativa si verifica, invece, per le neomamme con un reddito lordo annuo minore di 15mila
significa che le donne in difficoltà economiche dopo l’evento maternità entrano nel mondo
euro,
del lavoro. La particolarità si verifica invece per le neomamme che compiono la fuoriuscita
dall’occupazione; in questo caso il reddito lordo annuo ha un peso minore, ciò implica di
l’esito dei
conseguenza che la scelta di abbandono, sia esso temporaneo o meno, è fattori esogeni
già citati che riguardano la condizione di genitorialità.
Come anticipato nelle pagine precedenti, se è vero che le donne risultano svantaggiate
con l’avvento della paternità.
dalla maternità è altresì vero il contrario per gli uomini Per tali
“child
ragioni gli uomini non sono soggetti al penality gap”, termine utilizzato per riferirsi al
costo sul mercato del lavoro della nascita di un figlio (Casarico e Lattanzio, 2020), bensì lo sono
che con la maternità pagano un conto salato non solo in termini di presenza all’interno
le donne
del mercato del lavoro, ma anche in termini retribuitivi. Gli effetti della maternità sulla vita della
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donna si vedono non solo nel breve periodo, ma anche a distanza di anni per questo si utilizza
“motherhood penality”.
anche il termine
1.1.1 La cultura della scelta.
La spiegazione principale dietro questi fatti sopra illustrati è la cultura familiare, organizzativa e
dell’abbandono del mercato
politica, un fattore esogeno quanto in realtà endogeno. La decisione
del lavoro è narrata come una libera scelta che riguarda la conciliazione (ha risposto così il
intervistate dall’INAPP 2022), ‘libera
52,2% delle donne ma quanto può essere considerata una
scelta’ se si prendono in considerazione tutti i fattori di svantaggio che si trova ad affrontare una
di questa ‘libera scelta’
neomamma? All'interno vanno anche considerati tutti gli stereotipi e le
norme sociali che vedono la donna come l'unico soggetto in grado (e in dovere) di svolgere il
prima dell’evento
ruolo di cura. Inoltre, la donna essendo svantaggiata in partenza, anche
maternità, considererà conveniente lasciare il proprio lavoro per dedicarsi al ruolo di cura, anche
perché si tende a fare affidamento sul lavoro del proprio partner che tendenzialmente ha un
lavoro più stabile, meno precarico, e di conseguenza uno stipendio più alto confronto alla donna
- il 75% delle donne che lasciano il lavoro a seguito della maternità ha un partner che lavora
come dipendente a tempo indeterminato (INAPP, 2022). Tutto questo sistema riconferma la
posizione di svantaggio delle donne, le quali si trovano ad affrontare un mondo del lavoro più
precario, di conseguenza meno retribuito confronto a quello dei loro compagni uomini, che le
spinge ripetutamente a prendere quella famosa “libera scelta” di assumersi gran parte, se non
tutto, il carico di cura in ragione del desiderio di dedicarsi ai figli che altro non è un pesante
retaggio culturale in quanto anche quando le neo-mamme restano attive nel mercato del lavoro il
carico di cura lo assumono loro.
Le donne in quanto svantaggiate devono tenere in considerazione tre costi possibili che
dipendono dalle loro scelte: il costo della rinuncia alla maternità, il costo dell’interruzione al
lavoro remunerato ed infine il costo della conciliazione tra la vita lavorativa e la famiglia
(Naldini e Saraceno 2013).
In Italia oggi si sta vivendo un’emergenza caratterizzata dalla bassa occupazione
femminile e da un’alta inattività femminile, da carriere femminili compresse e da povertà
femminile, il tutto accompagnato da un tasso di natalità davvero molto basso che sta portando ad
un declino economico e ad una popolazione in via di estinzione. È una situazione in realtà tipica
dei periodi di grande incertezza economica, le persone tendono a posticipare ogni tipo di
decisione sul futuro adottando un atteggiamento prudenziale. In questo senso sarebbe necessario
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un intervento che preveda la creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli
all’equilibro tra vita privata e vita professionale; solo quando le donne avranno la libertà di
scegliere di essere sia mamme che lavoratrici ci potrà essere un aumento della fertilità (Filì,
2021).
1.1.2 Il gender pay gap e il soffitto di cristallo.
ancora raggiunta l’uguaglianza sostanziale tra uomini e
È chiaro come in Italia non sia stata
donne, le seconde risultano più svantaggiate in termini di accesso al mondo del lavoro, ma anche
in termini di possibilità di carriera e di reddito conseguente.
Quando si parla di gender pay gap (o gender wage gap) si intende la differenza salariale
che si verifica tra lavoratori e lavoratrici. Spesso questo termine viene utilizzando in modo
semplicistico per intendere la semplice differenza di salario a parità di mansione tra uomini e
donne. In realtà questo risulta complicato, se non impossibile, grazie alle normative
antidiscriminazioni e all’applicazione dei contratti collettivi del lavoro. Quando si parla di
gender pay gap è importante, quindi, prendere visione del fenomeno nella sua complessità; a
riguardo l’INPS considera più utile parlare gap salariale, riconoscendo in esso un concetto più
ampio e più importante in quanto tiene conto delle differenze di carriera possibile e delle diverse
scelte lavorative compiute da uomini e donne. Utilizzando il gap salariale, così inteso, si può
parlare discriminazione indiretta che riguarda nel dettaglio lo squilibrio di genere sociale e
culturale presente nel nostro Paese. Secondo i dati di Eurostat il gender pay gap in Italia è solo
del 5%, ma questo non significa che ci sia una maggiore uguaglianza di genere, questa
percentuale è in realtà frutto della scarsa partecipazione femminile al mercato di lavoro.
Le differenze salariali sono il risultato della segregazione occupazionale orizzontale, con
questo termine si intende:
Quel complesso fenomeno sociale che determina la concentrazione dell’occupazione
femminile in pochi settori e rami di attività economica, e in un numero limitato di
mestieri e professioni, a fronte di una presenza esigua in altri ambiti lavorativi. La
complessità del fenomeno è data dal singolare intreccio di stereotipi sociali e rigidità
organizzative, che producono forme più o meno esplicite di discriminazione o esclusione
nei confronti dell’offerta di lavoro femminile, e al contempo condizionano e vincolano<