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Q
u
e
s
t Fig. 7 - Ritratti della serie "the types of insanity"
i Questi pazienti, osservando la loro immagine riuscivano a raggiungere una maggiore
consapevolezza della propria condizione attuale, confrontarla con quella passata e quindi
riuscire a cogliere i propri miglioramenti, dimostrando infine gratitudine nei confronti di chi
li aveva curati. Significativo a riguardo è il racconto del caso di una giovane donna che
soffriva di allucinazioni e che si era convinta di essere una regina, ma vedendo i propri
ritratti, trovandoli divertenti e conversandone con Diamond stesso, era riuscita ad
abbandonare le sue fantasie. E’ stato proprio grazie alla congiunzione dei suoi interessi di
fotoamatore e di psichiatra che gli è stato possibile cogliere il potere terapeutico della
fotografia, realizzando in un certo senso il primo vero progetto di fototerapia. Questo, a
differenza di altri successivi, fu un progetto molto umano in cui il paziente, dunque, non era
considerato una semplice cavia, ma un individuo in grado d’interagire con la sua immagine.
Da quel momento in poi, sempre più psichiatri, prendendo esempio da Diamond, hanno
iniziato a concentrarsi sulle reazioni dei loro pazienti di fronte ai propri ritratti fotografici.
La fotografia provocò diversi effetti nei vari pazienti dei manicomi. Ad esempio, in un
articolo pubblicato dal direttore del Chester County Lunatic Asylum del 1857, si osserva
come i pazienti si sentivano appagati alla vista della propria immagine tanto da volerle
spedire ai propri cari. Citando altri esperimenti del genere, all’inizio del 1880, in base a
delle fotografie scattate da Sir William Charles Hood al Bethlem Asylum, si è constatato,
invece, come lo scattare delle fotografie ai pazienti fosse per loro un diversivo per
movimentare le giornate. Da quegli scatti ne derivavano anche commenti e osservazioni sul
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solo aspetto estetico, nonché sull’abbigliamento ecc.. Questo aspetto è ulteriormente
riscontrabile nell’approccio che la gente ha avuto con le cartes – de – visiste di Disdéri.
André Adolphe Eugène Disdéri Con il fotografo A. A. E. Disdéri si notò come la
fotografia possa stimolare la fantasia umana e
quindi toccare le corde più nascoste ci ciascun
individuo.Ciò accadde, più che in ambito
psichiatrico come nel caso di Diamond, in un
ambito prettamente fotografico, ovvero nel suo
studio grazie all’avvento delle cartes-de-visite
(Fig. 9),da lui brevettate, con le quali ha reso
Fig. 8 - Apparecchio fotografico per la
realizzazione delle cartes de visite possibili, anche se inconsapevolmente, le prime
immersioni nella complessa identità delle persone e nei loro ricordi. Egli, nel 1854, creò un
apparecchio fotografico a quattro obiettivi (Fig. 8 ), che, in un secondo tempo diventarono
otto o anche dodici, attraverso i quali su di un’unica lastra potevano essere riprese quattro,
otto o dodici pose, uguali oppure diverse fra loro, sia dello stesso soggetto che di soggetti
diversi. Un apparecchio che ne deriva è quello che oggi viene utilizzato per creare le
fototessere. Queste stampe misuravano in media 6 x 9 cm e venivano montate su un
cartoncino rigido, erano molto economiche in quanto venivano impressionate tutte su una
sola lastra al collodio umido, costavano 20 franchi, mentre per un ritratto a lastra intera
erano ne erano necessari circa 100. Queste foto andarono molto di moda poiché potevano
essere collezionate da chiunque; per la prima volta anche i ceti popolari ebbero la
possibilità di avere delle fotografie, anche se poi questa moda si estese anche alla
borghesia e alla nobiltà parigina. Il piccolo formato permetteva di portarle sempre con sé,
nei portafogli, nei taschini, negli album di famiglia, rivoluzionando anche il modo di fruire le
fotografie e anticipandone la dimensione psicologica. Questi ritratti possono apparire
banali, non sono particolarmente studiati, la maggior parte sono realizzati a figura intera,
su fondali abbastanza scarni e senza particolari allestimenti scenografici, sono immagini
che non hanno niente a che vedere con le magistrali riprese di Nadar, fotografo francese al
tempo molto in voga, ma che consentono di rispondere all’esigenza di poter fermare il
corso del tempo, della storia e di non disperdere il proprio passato. In effetti ciò che
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interessava ai clienti di Disdéri era la possibilità di avere a portata di mano una prova della
loro esistenza e un pezzo della loro vita, meritevole di essere conservato e ricordato. Gli
album di famiglia erano considerati degli oggetti concettuali degli scrigni di memorie
presenti in ogni salotto della seconda metà dell’ottocento.
L’aspetto interessante, sta inoltre, nel modo in cui i clienti di Disdéri si ponevano davanti
all’obiettivo. Essi, infatti, cercavano di evadere dalla quotidianità calandosi nei panni di
personaggi con i quali avrebbero sempre voluto identificarsi. Il momento del ritratto
fotografico, diventava un pretesto per concretizzare le fantasie del cliente, il ciò è
riconducibile all’appagamento sostitutivo del desiderio di cui Freud ha parlato nel saggio “Il
poeta e la fantasia” del 1907 nel quale ha paragonato l’attività artistica ai giochi dei
bambini, alle fantasie e ai sogni degli adulti, sottolineando che quest’ultimi tendono a
relegare al mondo dell’immaginario e dell’onirico proprio quei desideri considerati infantili
e perciò fonti di vergogna. Fig. 9 - Carte de visite 24
In questo modo la terapeuticità della fotografia si è collocata da subito in una zona di
confine tra arte e psicologia, diventando da un lato uno strumento di cui l’uomo comune,
magari con l’aiuto di un’artista, può impossessarsi per curare i suoi piccoli disagi psichici,
dall’altro lato, può essere invece uno strumento con il quale un terapeuta professionista
affronta quelle patologie più gravi manifestate dai suoi pazienti.
Tuttavia nell’Ottocento il contesto culturale presente non era abbastanza maturo per
permettere l’affermazione della terapeuticità della fotografia, e se a Londra Diamond
sembrava aver colto il potere terapeutico della fotografia, in Francia era stata trasformata
da Charcot, padre della neurologia, nel pretesto per rimandare il momento della guarigione
delle povere isteriche. Infatti egli, provocava artificialmente e ripetutamente i dolorosi
attacchi isterici per i quali le pazienti erano state internate, aggravandone la situazione e
perfino sostenendo che questo era l’unico trattamento terapeutico possibile.
Inoltre la fotografia doveva celare il modo in cui le isteriche venivano toccate, illudendo i
fruitori che i loro attacchi avvenivano spontaneamente e che i medici conservavano nei
loro confronti una distanza neutra.
Il primo riconoscimento ufficiale
La relazione alla Royal Society di Diamond fu un documento prezioso che meritava di
essere riproposto. Fu Sander L Gilman che, nel 1976 riscoprì e pubblicò questo documento
nel libro “The face of Madness, Hugh W. Diamond and the origin of psychiatric
photography” che contiene anche le fotografie prodotte da Diamond e le descrizioni che
nel 1858 scrisse lo psichiatra John Conolly. Questa pubblicazione contribuì ad un
riconoscimento ufficiale del potere terapeutico della fotografia.
Nel 1859, sulla rivista “Psychology Today”, il terapeuta Brian Zakem, attivo presso il
Ravenswood Hospital Mental Health, con l’articolo “Photographs help patients focus on
their problems” ha parlato per la prima volta della fotografia come strumento terapeutico.
Nel 1975 apparse il primo articolo di Judy Weiser “Photography as a verb” nella rivista “The
BC photographer” Nel 1979 inoltre ebbe luogo il primo International Phototherapy
Symposium , nell’ Illinois. 25
In generale, negli Sessanta-Settanta del Novecento si analizzò molto l’identità concettuale
della fotografia, studiando la sua funzione e la sua capacità di innescare dei processi
mentali. Si individuarono diverse finalità dell’uso della fotografia in ambito terapeutico, la
fotografia poteva essere una sollecitazione della memoria, un modo di recuperare il tempo
o uno specchio in cui guardarsi e controllarsi.
Judy Weiser (Fig. 10)
Oggi, un contributo sostanzioso alla fototerapia e alla tecnica è stato e continua ad essere
fornito da Judy Weiser. Judy Weiser, canadese, è una dei primi
pionieri della Fototerapia, Fotografia
terapeutica, Arte terapia, Video Terapia e
altre tecniche affini. Svolge attualmente le
professioni di psicologa, arte terapeuta,
consulente, docente universitario,
formatrice e scrittrice. Fondatrice e
direttrice del PhotoTherapy Centre a
Vancouver, Canada. Per oltre 25 anni ha
usato le sue tecniche di fototerapia in uno
studio privato (precedentemente con
clienti socialmente diseredati) , ha passato
Fig. 10 - Judy Weiser gli ultimi 15 anni fornendo consulenze,
conferenze e workshops nelle università e conducendo dei corsi intensivi in tutto il mondo.
Inscritta nel registro canadese dei fornitori dei servizi sanitari in psicologia, è non solo
psicologa e arte terapeuta ma anche fotografa e artista. Judy ha tenuto più di 300
Workshops, seminari, conferenze e presentazioni in più di 50 città in tutto il mondo
durante gli ultimi tre decenni in cui spiega ai professionisti per la salute mentale come
usare le tecniche di Fototerapia, Arteterapia, Videoterapia, al fine di migliorare il loro
lavoro di terapia e counseling.
Ha inoltre insegnato alle persone comuni come utilizzare le tecniche di fotografia
terapeutica e la terapia filmografica , delle attività fotografiche finalizzate a migliorare il
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benessere individuale e della collettività riducendo l’emarginazione sociale causando dei
cambiamenti positivi nella gente. Judy attualmente tiene in Canada ogni anno il corso
intensivo di 6 giorni “Judy Weiser’s Phototherapy tecniques Certificate Program” che tiene
occasionalmente anche in Italia. Fa parte del comitato editoriale della rivista italiana
“psicoart: rivista on line di arte e psicologia” e la rivista canadese di “Art Therapy
Association Journal” , ed è un membro eletto della Canadian Academy of Independent
Scholars and the American Family Therapy Academy. Si presta inoltre come Consulente
internazionale nel centro per terapie visive negli Stati Uniti , nell’istituto per psicologia e
fotografia in Messico, in PSYfoto in Russia e La Dama Sognatrice Produzioni Audiovisive in
Italia. E’ stata inoltre istruttrice negli istituti di Arte Terapia a Toronto e a Vancouver. Il
lavoro di Judy è stato menzionato in molte pubblica