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In sostanza, secondo tale impostazione, gli accordi in tema di
prestazioni indispensabili, pur se formalmente, ed almeno in prima
istanza ( salvo, come detto, l’eventuale intervento della
Commissione), affidati alla contrattazione collettiva, rappresentano
qualcosa di più di un libero incontro di volontà contrattuali per
regolare rapporti giuridici privati. La legge 146/90 e successive
modificazioni, dunque, pur demandando alle parti sociali la
definizione delle regole, disegna comunque un modello di autonomia
collettiva fortemente guidato, sia nei contenuti sia nelle modalità
attuative.
Se pure appare evidente il ruolo di guida dell’autonomia collettiva da
parte del legislatore, il vincolo di scopo che la legge assegna al
contratto non deve propendere per la funzionalizzazione del contratto
collettivo, neppure in sede di determinazione delle prestazioni
indispensabili.
E stato autorevolmente sostenuto che la legge 146/90 assegna al
contratto collettivo, oltre alla sua funzione tipica, anche quella di dare
soddisfazione agli interessi degli utenti, quando siano
costituzionalmente garantiti. In altre parole, la legge affida ad un atto
di autonomia privata, e cioè libero nel fine, la cura di un interesse
pubblico.
Certo, ogni qualvolta il datore di lavoro sia costituito da una Pubblica
Amministrazione, allora vi sarà, almeno per una delle due parti, il
dovere di condurre le trattative nel modo più consono possibile alla
tutela dell’interesse di cui la parte è esponenziale (ma che, anche se
pubblico, resta interesse di parte e non necessariamente coincide con
quello individuato dal legislatore).
Ma la pretesa di trasporre schemi del diritto pubblico all'attività di
diritto privato genera falsi problemi.
L’attività di diritto privato è libera nei fini, e non può essere
funzionalizzata, sicché l’emergere dell'interesse pubblico si ha
normalmente a monte o a valle, secondo modelli variabili.
Come un atto libero nel fine possa tutelare interessi diversi da quelli
delle parti si spiega soltanto attraverso la tecnica dei limiti esterni e la
valutazione di idoneità della Commissione di garanzia.
Capitolo terzo: La Commissione di Garanzia, la
provvisoria regolamentazione nel settore delle poste,
e l’accordo nazionale sullo sciopero nel Servizio
Sanitario Nazionale.
3.1 La Commissione di Garanzia: valutazione e giudizio di
idoneità degli accordi
Attorno ai poteri della Commissione di Garanzia si costruisce ogni
azione di sciopero svolta nel settore dei servizi pubblici essenziali. A
partire dall’Art. 13, comma 1 lettera a), della Legge n. 146/1990 e
successive modiche, che ribadendo quanto stabilito in precedenza
dall’Art. 12, descrive la funzione che, più di ogni altra cosa,
caratterizza la Commissione, ovvero quella che si sostanzia nella
espressione di un giudizio valutativo “sulle prestazione indispensabili,
sulle procedure di raffreddamento e di conciliazione e sulle altre
misure determinate dalla parti contenute, ai sensi dell’Art. 2, comma
2, della stessa legge nei contratti collettivi, negli accordi di cui al
decreto 3 febbraio 1993 n. 29, nei regolamenti di servizio emanati in
base agli accordi come le rappresentanze del personale di cui all’Art.
47 del medesimo decreto legislativo, nonché nei codici di
autoregolamentazione di cui all’Art. 2 bis. La legge fa ricorso,
dunque, ad un duplice meccanismo: da un lato, prevede un negoziato
sindacale, libero nelle procedure ma non nel contenuto, in quanto il
risultato finale deve garantire il contemperamento degli interessi in
conflitto; dall’altro, prevede un procedimento pubblicistico portato
avanti dalla commissione mediante la possibilità di emanare non
decisioni amministrative ma valutazioni – il giudizio di idoneità – ossia
atti strumentali al perfezionamento degli stessi accordi sindacali. La
legge affida, quindi, alle parti sociali il compito di definire le
prestazioni indispensabile che devono essere garantite anche in caso
di sciopero.
Appaiono chiari i motivi che hanno indotto il legislatore a tale scelta,
non ultime le ragioni di consenso sociale che dovrebbero trovare
maggiore soddisfazione in un contratto piuttosto che in una legge. Il
rinvio del legislatore alle determinazioni concordate tra le parti è
peraltro di natura formale, non essendo stato prescelto il meccanismo
del rinvio materiale e ricettizio. Il fatto che la legge abbia affidato al
Contratto collettivo funzione di integrazione di un precetto, che trova
la sua fonte in una norma primaria, non significa, infatti, ritenere
possibile un rinvio in bianco al contratto collettivo dovendo tale rinvio
muoversi entro i parametri della legge.
Se, infatti, si attribuisce ai contratti funzione creatrice da tale assunto
non deriverebbe non solo una violazione dell’Art. 39 della
Costituzione, in quanto si avrebbe una competenza propriamente
normativa affidata a contratti collettivi diversi da quelle efficaci erga
omnes ai sensi della Costituzione ma anche dell’Art. 40 della
Costituzione, poiché si avrebbe una violazione della riserva di legge
che, per quanto possa essere considerata relativa, non ammette che
venga rimessa alla completa disponibilità dei privati la costrizione di
limiti al diritto di sciopero.
La legge non prevede se l’intervento valutativo debba essere
contenuto in un apposito atto, né tanto meno indica gli effetti che
questo determina sul contratto. È apparso fuor dubbio, fin da
principio, che il giudizio valutativo, positivo o negativo, debba essere
contenuto con un provvedimento formale, escludendosi che la
valutazione possa conseguire ad un’ipotesi di silenzio-approvazione,
ossia a realizzarsi di una di quelle fattispecie in cui la legge attribuisce
valenza giuridica all’inerzia dell’amministrazione.
Tale soluzione, infatti, non può essere prevista in modo implicito,
bensì rappresentando una deroga al principio generale in base al
quale è la pubblica amministrazione che regola l’assetto dei propri
rapporti, è ammessa solo in ipotesi tassative o di stretta
interpretazione. La valutazione di idoneità è obbligatoria: ai sensi
dell’Art. 2, comma 4, le determinazioni pattizie devono essere
comunicate tempestivamente alla Commissione a cura delle parti
interessate; tuttavia tale valutazione non è subordinata al principio
della domanda da parte dei soggetti interessati, la Commissione,
infatti, avuta notizia degli accordi può procedervi anche di propria
iniziativa.
Prima di esprimere le valutazioni di loro competenza, i garanti devono
concedere all'organizzazione dei consumatori e degli utenti,
riconosciute ai fini dell'elenco di cui alla Legge 30 luglio 1998, n. 281,
che siano interessate ed operanti nel territorio nel territorio di cui
trattasi, un termine entro il quale esprimere il loro parere. Pertanto,
non spetta più alle parti sentire le organizzazioni degli utenti, come
invece indicava il vecchio testo dell’Art. 2, comma 2, della Legge
146/1990, ma tale obbligo ricade sulla Commissione che dovrà
necessariamente acquisirlo prima di formulare la delibera di
valutazione di idoneità. In questo caso il legislatore ha formalizzato
una prassi già introdotta dai garanti che avevano opportunamente
ritenuto, sin dai primi interventi, di valorizzare il ruolo delle
organizzazioni degli utenti non limitandosi ad una consultazione delle
parti, ma chiedendo loro un espresso parere da ritenersi elemento
integrativo nella valutazione degli accordi. Da un punto di vista
sostanziale, il giudizio di idoneità deve poi verificare che i requisiti
legali (preavviso, durata, procedure di raffreddamento, ecc.) siano
effettivamente inseriti negli accordi. Il contenuto dei contratti
collettivi, infatti, è fissato dalla legge.
Alla disposizione di principio sancito all’inizio dell’art 2, secondo la
quale nell’ambito dei servizi pubblici essenziali lo sciopero va
esercitato nel” rispetto delle misure dirette a conseguire l’erogazione
delle prestazioni indispensabili” al fine di garantire, mediante
“modalità e procedure” l’effettività dei diritti della persona si
affiancano disposizioni di dettaglio. Per la prima volta il legislatore dal
2000 ha, infatti, individuato quali sono i parametri di massima idonei
a realizzare il giusto grado di contemperamento tra i diritti in conflitto:
prestazioni indispensabili contenute, salvo casi particolari
adeguatamente motivati, entro la misura mediamente non eccedente
il 50% delle prestazioni normalmente erogate; quote strettamente
necessarie di personale, non superiori mediamente ad un terzo del
personale normalmente utilizzato per la piena erogazione del servizio
nel tempo interessato dallo sciopero, tenuto conto delle condizioni
tecniche e della sicurezza nonché dell’utilizzabilità dei servizi
alternativi o forniti da imprese concorrenti. Sembra evidente come il
legislatore, con il nuovo assetto legislativo, abbia voluto consentire un
più ampio margine di controllo e, quindi, di impugnabilità delle
delibere di valutazione, potendosi contestare alla Commissione di
essersi immotivatamente discostata dai criteri legali.
Più complesso, invece, il tema degli effetti che la conclusione del
procedimento di valutazione, sia esso di idoneità o di inidoneità,
riverbera sull’accordo.
Fin dall’inizio, la Commissione ha stabilito che la disciplina delle
prestazioni indispensabili valutata positivamente è quella destinata ad
essere trasfusa nel regolamento di servizio dotato di efficacia
generale. Le organizzazioni sindacali escluse e i lavoratori da essi
rappresentati si troveranno cosi obbligati nel rispetto delle regole alla
cui definizione non hanno partecipato.
L’orientamento della Commissione si è fatto più esplicito nel
ricondurre alla propria valutazione positiva la vincolatività e l’efficacia
generale delle regole di provenienza pattizia, là dove ha affermato
che gli standards minimi individuati dagli accordi sulle prestazioni
indispensabili valutate idonei dalla Commissione, dovendo essere
unitari per ogni servizio, sono destinati ad applicarsi anche ad
organizzazioni sindacali che non abbiano sottoscritto gli accordi
predetti. L’affermazione si riferisce a contratti collettivi nazionali e
prescinde dall’avvenuta trasposizione di regole uniformi ad essi nel
regolamento di servizio emanato a livello aziendale. L’orientamento
della Commissione è stato, fin da subito, condiviso da una parte della
dottrina che ha risolto il problema della vincolatività delle regol