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G. CRIFO’,
30 op. cit., 473
31 F. CARDINI, Onore, Bologna, 2016, 29. 17
Ad oggi possiamo cogliere due diversi poli intorno ai quali ruota il concetto
di onore: esso può avere, infatti, un significato soggettivo (o interno), ossia la
consapevolezza della propria dignità e del proprio valore morale, o un senso ogget-
ossia il patrimonio morale che deriva dalla considerazione dell’in-
tivo (o esterno),
nell’ambiente in cui opera e agisce 32
dividuo .
Il concetto di onore risulta tutt’altro che unitario: esso si è modulato in forme
differenti nel corso dei secoli e nelle diverse tradizioni giuridiche.
Infatti, ogni società possiede un proprio senso dell’onore, influenzato da
valori culturali, tradizioni e contesti storici specifici.
Questa variabilità rende l’onore un concetto dinamico, che si evolve con le
trasformazioni sociali e culturali, riflettendo le sfide e le aspirazioni di ciascun
gruppo umano.
Tale indeterminatezza si scontra tuttavia con la necessità di dover fornire una
definizione certa dal punto di vista giuridico al fine di assicurare la tassatività della
del diritto, esigenze fondamentali all’interno dell’odierno
norma e la certezza 33
sistema costituzionale , principi che garantiscono prevedibilità, trasparenza e
sicurezza giuridica.
A tal fine, dottrina e giurisprudenza hanno a lungo cercato di rispondere a
questa necessità, arrivando a delineare concezioni distinte dell’onore.
2.2.1 Le diverse concezioni sull'onore
concezione cd. “fattuale”, l’onore un’entità composta da
La considera quale
due elementi, ossia, da un lato, il sentimento o la consapevolezza che si possiede
della propria dignità e, dall’altro lato, la valutazione, la stima, l’opinione che
circonda l’uomo nell’ambiente in cui opera e agisce 34 .
concezione cd. “normativa”, che considera l’onore
A questa si contrappone la
come valore personale, morale, sociale dell’uomo, ossia come aspetto della person-
alità umana che, in quanto tale, è presente in tutti gli uomini indistintamente; in
quest’ultimo caso, l’onore sarebbe un’entità unitaria, polarizzata interamente sulla
tutela dell’onore,
32 E. MUSCO, Bene giuridico e Milano, 1974, 4.
33 R. BIN, Certezza del diritto e legalità costituzionale, in Specula Iuris, 2(2)/2022, 253 ss.
34 E. MUSCO, op. cit., 4 ss. 18
personalità umana.
Secondo parte della dottrina, anche all’interno di quest’ultimo indirizzo inter-
“morale”, l’onore
pretativo, si distinguerebbero due filoni: secondo una versione
scaturirebbe dal valore intrinseco di ogni uomo in quanto tale, in ossequio al prin-
cipio di uguaglianza; nella diversa accezione “sociale”, invece, il valore del singolo
deriverebbe dai suoi meriti “comunitari”, ossia in quanto membro della comunità 35 .
Orbene, entrambe le teorie sono state sottoposte a critiche, per la ragione che,
da una parte, la concezione fattuale consente un’eccessiva soggettivizzazione e rel-
ativizzazione del bene tutelato, in altre parole, la concezione fattuale darebbe ec-
cessivo rilievo alla sfera emotiva del soggetto, a scapito di una costruzione della
nozione di onore in termini obiettivi e convenzionali, che prescindano dalla sensi-
bilità individuale, mentre, dall’altra, la teoria normativa peccherebbe di indetermi-
natezza e di astrattezza, prescindendo essa dalle qualità di offensore e offeso, dal
36
contesto, ecc .
Per tale ragione, si è tentato di elaborare una terza concezione, o meglio, di
apportare correttivi alla concezione normativa, maggiormente accreditata nella dot-
trina tedesca e recentemente sostenuta anche da voci autorevoli della dottrina ital-
iana: la soluzione che si prospetta al riguardo è quella di considerare l’onore come
bene giuridico complesso, necessariamente composto sia da elementi di valore che
all’interno di un orizzonte personalistico e cos-
da elementi di fatto, e di valutarlo
tituzionalmente orientato.
Secondo tale interpretazione, l’onore sarebbe sì un diritto della personalità,
ma avrebbe altresì natura relazionale, consistendo nel rapporto di riconoscimento
l’autonomia dei singoli e il conseguente sviluppo personale
che rende possible
all’interno di una comunità di eguali 37 .
In ogni caso, le definizioni sopra richiamate mettono in luce la complessità
del bene
giuridico oggetto del nostro studio e come esso presenti sfaccettature che dif-
ficilmente consentono di darne una definizione unitaria, nonostante l’aspirazione
della giurisprudenza e della dottrina alla costruzione di una nozione unica e ogget-
tiva.
35 E. MUSCO, op. cit., 42 ss.
36 E. MUSCO, op. cit., 48 ss.
37 Cfr. E. MUSCO, op. cit., 145 ss 19
Si osserva come tale concetto, pur profondamente radicato nella nostra cul-
tura e tradizione giuridica, risulti estremamente difficile da definire in modo uni-
voco, caratterizzandosi per una naturale poliedricità, talché, qualunque accezione si
prediliga, si ritiene che nessuna riesca a rendere fino in fondo la complessità di un
così “magmatico” e inevitabilmente relativo.
valore 2.3 I requisiti strutturali: l’assenza della vittima un’«offesa all’altrui
La condotta incriminata viene descritta come
reputazione, al di fuori dei casi previsti dall’articolo precedente», il che implica che
tale offesa si verifichi in assenza della persona offesa.
In altre parole, l’atto lesivo della reputazione di un individuo avviene senza
che quest’ultimo sia presente, escludendo così la possibilità di una reazione
immediata o di una difesa da parte della vittima.
Questa caratteristica evidenzia la differenza tra il reato di diffamazione e la
fattispecie dell’ingiuria.
Infatti, il precedente articolo numero 594 del Codice penale regolava il reato
all’onore o al decoro di una persona
di ingiuria, descrivendolo come un'offesa
presente.
Questo articolo, tuttavia, è stato abrogato dal Decreto Legislativo n. 7 del 15
gennaio 2016.
Con l'entrata in vigore di tale decreto, si è assistito a una significativa
depenalizzazione del reato di ingiuria, trasformando la sua violazione in un illecito
civile.
Di conseguenza, l'ingiuria non è più considerata un reato, ma è rimessa alla
sfera del diritto civile, dove la vittima può richiedere un risarcimento per il danno
morale subito
La nozione di presenza è stata interpretata dalla dottrina maggioritaria in
senso ampio, non limitando la portata di detto requisito alle ipotesi nelle quali vi sia
contiguità spaziale-materiale tra soggetto attivo e persona offesa, ma
ricomprendendo altresì tutti quei casi in cui vi sia comunque la percezione diretta
20
da parte dell’offeso dell’espressione lesiva dell’onore 38 , conseguentemente, in tali
situazioni, si ritiene integrata la fattispecie di ingiuria.
L’interpretazione del significato di tale requisito non è da sottovalutare, es-
sendo ancor più problematica nel caso di condotte offensive perpetrate a mezzo
Internet, stante la difficoltà di applicare il concetto di presenza alle affermazioni
rivolte ad altri soggetti all’interno dell’ambiente virtuale, che si carat-
denigratorie
terizza per essere un mezzo di comunicazione tra persone necessariamente assenti.
Inoltre, l’assenza della persona offesa, intesa come impossibilità di percepire
immediatamente l’attacco denigratorio, ci permette di sostenere che il delitto di dif-
famazione tuteli l’onore prevalentemente (ma non esclusivamente) sotto il profilo
che definito oggettivo (o esterno), inteso come sentimento di stima che gli altri
39
hanno del soggetto, ossia la sua immagine nella società .
2.4 La comunicazione a più persone
Il secondo requisito strutturale della diffamazione riguarda la comunicazione
a più persone.
È fondamentale che l'affermazione lesiva venga conosciuta da una pluralità
di individui, il che implica una forma di divulgazione dell'espressione offensiva.
Anche tale aspetto contribuisce a delineare il particolare disvalore della
595 c.p., essendo sufficiente, come unanimemente
condotta prevista dall’art.
ritenuto in dottrina e in giurisprudenza, che la comunicazione venga fatta ad almeno
due persone.
Questo aspetto è cruciale, poiché la lesione della reputazione dell'individuo
non si limita a un attacco privato, ma si estende a un contesto pubblico, aumentando
così il danno percepito.
La comunicazione implica indubbiamente la percezione e la comprensione da
parte dei terzi della manifestazione lesiva, altrimenti verrebbe meno lo stesso fon-
40
damento della punizione .
38 M. SPASARI, Diffamazione e ingiuria, voce in Enciclopedia del diritto, XII, Giuffrè, Milano,
482 ss.
39 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale. Parte speciale, I, Milano, 2016, 251.
40 G. FIANDACA, E. MUSCO, loc. cit. 21
Tale requisito è stato, peraltro, interpretato in maniera ampia, giungendo a
ricomprendere anche i casi nei quali le affermazioni diffamatorie siano trasmesse
l’autore tenga la condotta con
anche soltanto a un soggetto, qualora «tali modalità
che detta notizia sicuramente venga a conoscenza di altri ed egli si rappresenti e
41
voglia tale evento» .
In tal modo, si riconosce che anche una comunicazione inizialmente limitata
può dar luogo a un effetto diffusivo, ampliando la portata dell'offesa e rendendo la
lesione della reputazione dell'individuo equiparabile a quella derivante da una
comunicazione diretta a un pubblico più ampio.
Talvolta, la giurisprudenza ha persino affermato la sussistenza di detto
requisito in via presuntiva, ritenendo configurato il delitto di diffamazione anche
quando l’espressione offensiva non fosse indirizzata dall’agente a più soggetti
determinati e specifici, ma fosse contenuta in un documento che, per sua natura, era
42
destinato ad essere visionato da più persone .
In altri casi, l’elemento della comunicazione a una pluralità di persone è stato
ritenuto perfettamente integrato anche laddove tale divulgazione fosse avvenuta in
via mediata, stante l’idoneità della modalità utilizzata a raggiungere più persone,
come nel caso di invio di missive a uffici, organi collegiali o, in generale, a
pubbliche autorità, per la ragione che in tali casi la comunicazione è
necessariamente conosciuta da più soggetti, tra i quali, in primis, gli impieg