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SECONDO CAPITOLO

Le comunità residenziali per minori

Negli anni c'è stato un notevole e crescente interesse per la protezione e l'assistenza dei

minori. I progressi nella ricerca a livello nazionale e internazionale, insieme alle

esperienze dei servizi che affrontano casi di abuso e trascuratezza nei confronti dei

giovani, hanno spinto i politici a rivedere e migliorare le leggi che stabiliscono e

gestiscono le procedure di protezione e assistenza. L'idea di protezione del minore oggi

richiama sempre più l'idea di un intervento completo, che coinvolga una rete di supporto

e sia il più possibile complessivo, considerando il bambino o il ragazzo nella sua totalità

e focalizzandosi sul contesto delle relazioni in cui si trova. Questo contributo analizza la

letteratura nazionale e internazionale sulle istituzioni educative per i giovani, al fine di

esaminare le teorie e gli interventi mirati ai bambini e agli adolescenti che vivono al di

fuori della famiglia .

7

Il contesto generale di questi argomenti trova le sue radici principalmente nei principi

sanciti dalla Convenzione Internazionale sui Diritti dell'Infanzia (1989-1991), che hanno

condotto ad una nuova concezione dell'infanzia, ridefinendo il significato dei legami tra

bambini, genitori e la comunità nel suo insieme. Il preambolo del documento è esplicito

in tal senso. Da un lato, si ribadisce l'importanza della famiglia come ambiente

fondamentale per il corretto sviluppo del bambino, dall'altro, si lascia spazio agli Stati

individuali e alla comunità internazionale per intervenire nel fornire sostegno e

supervisione alle famiglie.

Le modifiche normative e culturali derivanti dalla Convenzione hanno posto una

responsabilità diretta sullo Stato per garantire i diritti dell'infanzia, richiedendo una

trasformazione e un'evoluzione delle finalità e degli approcci degli interventi istituzionali.

Nel contesto della Convenzione, i progetti e le strategie per la protezione e l'assistenza

dei minori si fondano su un'idea del bambino o del ragazzo come individuo con diritti

specifici e capacità decisionali riguardanti la propria persona. Tali interventi devono

mirare a garantire una certa continuità nell'educazione del bambino, tenendo conto della

sua provenienza etnica, religiosa, culturale e linguistica. In questo modo si va oltre un

approccio focalizzato esclusivamente sulla protezione o la tutela: le azioni intraprese non

7 G. Gabrielli e M. F. Marchesini (2006) Le comunità per minori: contesti educativi e familiari, in MINORIGIUSTIZIA,

1/2006 11

devono solo aspirare a ridurre la sofferenza del bambino, ma devono anche assicurare il

suo benessere psicologico e materiale, nonché promuovere condizioni favorevoli per lo

sviluppo relazionale ed intellettuale. Così, le politiche di assistenza sociale rivolte alle

famiglie di minori in situazioni difficili hanno ampliato le opzioni di protezione,

introducendo interventi mirati e personalizzati che possono:

- assicurare supporto alla genitorialità

- recuperare l’affetto della famiglia di origine

- proporre e sperimentare nuove modalità di ascolto ed accoglienza per i minori che

affrontano un percorso di crescita al di fuori della ‘normalità’

Nel tempo, il sostegno dato ai minori che sono dovuti essere allontanati

dalle loro famiglie originarie ha acceso numerosi dibattiti che coinvolgono studiosi ed

esperti delle scienze sociali, psicologiche e giuridiche, per almeno tre ragioni principali.

La prima ragione riguarda l'aspetto economico: rispetto all'insieme dei servizi dedicati

all'accoglienza dei bimbi e ragazzi lontani dalla propria famiglia, le comunità sembrano

essere tra i servizi più compromessi a causa dei significativi tagli e delle ristrutturazioni

subite dai sistemi di assistenza sociale.

La seconda motivazione riguarda gli aspetti legislativi: la Convenzione Internazionale,

recepita in Italia dalla legge 149/2001, fornisce indicazioni precise sul ruolo delle strutture

residenziali all'interno dei servizi di accoglienza, stabilendo che esse siano utilizzate solo

quando non siano praticabili altre forme di assistenza, come l'affidamento familiare

o le comunità di tipo familiare. La normativa considera le comunità come l'ultima opzione

tra le varie possibilità disponibili; questa visione ha portato da un lato a una riduzione dei

collocamenti nelle comunità attraverso l'attuazione di interventi mirati, e dall'altro a un

aumento degli alloggi nelle strutture residenziali per i bambini e i ragazzi che hanno

sperimentato precedenti collocamenti infruttuosi. Ciò ha causato gravi traumi emotivi,

mettendo in difficoltà le strutture di accoglienza.

Un'altra motivazione per l'interesse verso le comunità educative risiede nella necessità di

sviluppare modelli efficaci per l'accoglienza dei Minori Stranieri non Accompagnati

(MSNA), i quali, a causa delle loro esperienze di vita, presentano necessità specifiche e

potenzialmente diverse da quelle dei bimbi e ragazzi che vivono con le proprie famiglie

nel territorio nazionale. Questo approccio mira a fornire un quadro di riferimento che

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consenta di riflettere su cosa rappresentano, chi vi è accolto e come operano le comunità

educative destinate ai minori.

2.1 Breve excursus storico sui sistemi residenziali per minori

Nel XIX secolo, in diversi paesi europei vennero istituiti grandi orfanotrofi e istituti

residenziali che ospitavano bambini abbandonati dai genitori oppure rimasti orfani.

Tuttavia, come è noto, questi istituti furono successivamente oggetto di critiche per vari

motivi, tra cui la loro enfasi esclusiva sulle cure fisiche e l'uso di metodi educativi

repressivi che non soddisfacevano adeguatamente le esigenze dei bambini e degli

adolescenti ospitati. Secondo Hellinckx, la significativa diminuzione del numero di

istituti nei paesi europei è stata determinata non solo dalla consapevolezza dei limiti

dell'istituzionalizzazione, ma anche dai cambiamenti nella popolazione assistita, con

l’aumentare delle adozioni e allo incremento di programmi di sostegno alla genitorialità

e al riconoscimento dei minori come detentori di diritti.

Basandosi su tali considerazioni, le politiche sociali successive adottate dalla maggior

parte dei paesi occidentali chiuso in modo graduale gli istituti assistenziali favorendo

forme alternative di accoglienza residenziale, come le comunità per minori o il residential

care.

Queste nuove forme di accoglienza prevedono una significativa riduzione del numero

di bambini ospitati e l'adozione di modelli educativi alternativi rispetto all’ assistenza dei

vecchi istituti per minori che tendeva a disumanizzare . La riorganizzazione è stata

8

impostata sulla convinzione che, all'interno delle comunità con dimensioni di gruppo

ridotte e un ambiente familiare, i bambini e i ragazzi potessero sperimentare, sia di nuovo

che per la prima volta, la fiducia e il supporto degli adulti. Questo tipo di esperienza

generava o rigenerava esperienze positive di attaccamento e stimolava nuovi modi

di relazionarsi, creando un processo di crescita. Le prime considerazioni sulla qualità

delle relazioni nei contesti di vita risalgono a molto tempo fa.

Nel periodo del dopoguerra ritroviamo le ricerche condotte da Spitz nel 1945 sui

bambini cresciuti da neonati nei brefotrofi anglosassoni, insieme alle ricerche successive

di Bowlby nel 1971 sulle conseguenze dell'istituzionalizzazione precoce sui bambini e gli

adolescenti che hanno avuto un impatto significativo nell’ esporre gli effetti traumatici

della separazione. Queste ricerche hanno posto l'accento sull'importanza di individuare

8 Williams III F. P., McShane M. D., Devianza e criminalità, Il Mulino, Bologna, 2002.

13

contesti adatti per una crescita serena al di fuori della famiglia. Al centro dei loro

studi c'è la descrizione degli effetti negativi derivanti dal privare un bambino di relazioni

significative con adulti. I due autori hanno sottolineato che la separazione prolungata e

precoce dalla madre nei primi mesi di vita può costituire un danno potenzialmente

irreversibile sullo sviluppo psicologico e intellettuale del bambino, a meno che non venga

sostituita da un'altra figura significativamente stabile e presente.

Anche le ricerche condotte dallo psichiatra inglese Michael Rutter hanno contribuito a

offrire una prospettiva diversa sugli effetti della privazione materna. Nel 1972, Rutter

pubblicò "Maternal Deprivation Reassessed", in cui esaminò le ipotesi sulla privazione

materna presentate da Bowlby nel 1951 all'OMS. Egli concluse che questa condizione era

da considerare come un fattore di vulnerabilità anziché come un'agente causale di danni

gravi e irreversibili. Lo psichiatra sottolineava che spesso basta ricevere il supporto,

l’amore incondizionato e l'accettazione di una sola persona su cui fare affidamento per

evitare di sviluppare disturbi psicopatologici.

L'istituzionalizzazione obbligava i minori a vivere in ambienti carenti di affetto,

privandoli della possibilità di sviluppare relazioni interpersonali significative, il che

aveva conseguenze molto negative sul loro sviluppo psicologico. Questo ha portato alla

diffusa accettazione dell'idea che i trattamenti assistenziali basati principalmente sulla

custodia o sul contenimento potessero causare esclusione e privazione, mentre solo cure

personalizzate avrebbero potuto garantire percorsi di cura non dannosi per la salute fisica

e mentale. Di conseguenza, si sviluppò un'opinione comune che considerava gli istituti

come contesti non idonei per sviluppare relazioni significative che contribuiscano alla

formazione delle personalità dei giovani ospitati . Da queste riflessioni è nato un dibattito

9

ponderato sulla necessità di adottare misure per umanizzare le strutture residenziali per

minori, concentrandosi non solo sugli aspetti legati alle cure fisiche come alimentazione,

igiene e assistenza sanitaria, ma anche sulle dinamiche relazionali e sull'importanza degli

affetti nelle relazioni interpersonali. Un primo risultato di questo dibattito si riflette nel

campo legislativo con l'approvazione in Italia della Legge 184/1983. Questa normativa

prevede l'istituzione e l'implementazione di interventi e servizi a livello territoriale mirati

a sostenere le famiglie e agevolare il ritorno dei figli istituzionalizzati al loro ambiente

familiare. Quando il ritorno non è possibile, si sceglie di affidare i bambini a famiglie o

di inserirli in comunità che accolgano un numero limitato di minori, siano situate in

9 Volpini L., Frazzetto T., La criminalità minorile. Strategie e tecniche per l’intervento e l&rsq

Dettagli
Publisher
A.A. 2004-2005
26 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-PED/01 Pedagogia generale e sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher laurap.b. di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Pedagogia sociale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Universita telematica "Pegaso" di Napoli o del prof Borrelli Lucrezio.