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Nel contempo però l’impero romano era già crollato ed i popoli invasori avevano
portato con loro le tradizioni tribali dove l’uomo libero era proprio il guerriero, cioè
colui che era capace di abbandonare i suoi possedimenti terreni per difendere la
propria gente. Nel tempo la distinzione tra liberi e servi viene soppiantata dalla
distinzione tra miles e rustici. Come abbiamo visto la Chiesa non condannava affatto
il mestiere delle armi ma metteva in guardia verso le derive che esso può comportare.
Il popolo Franco, convertitosi alla fede Cattolica dopo il battesimo di Clodoveo nel
496, fu dialetticamente rappresentato come Novus Israel soprattutto dopo la caduta
della dinastia dei Merovingi e con l’avvento dei Pipinidi. Questa immedesimazione
nel popolo d’Israele biblico comportò la visione di ogni conflitto con un popolo
straniero (in particolar modo se pagano) come la battaglia tra bene e male. Tale
visione fu alimentata in quel periodo anche alla rinascenza dell’esegesi
veterotestamentaria, dove la materia prima può certamente prestarsi ad interpretazioni
favorevoli all’uso della forza contro il diverso, contro l’infedele.
18
Efesini 6,10-17
19
Giobbe 7,1
Beda il Venerabile ci narra nella sua Historia ecclesiastica gentis anglorum,
composta attorno al 731, di una battaglia tra Sassoni e Brettoni svoltasi
probabilmente nel 516 nei pressi della città di Newcastle, dove un incerto condottiero
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sassone, Oswald, sconfigge i Brettoni piantando una croce nel terreno di battaglia.
Sempre inerente a questo periodo è la leggendaria vittoria che il mitico re Artù riesce
ad ottenere contro i sassoni proprio grazie alla sua acribia nel sostenere sulle spalle
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un’icona della madonna per tutta la durata del combattimento.
Sappiamo inoltre che tali pratiche di portare reliquie o effigi in battaglia erano
piuttosto diffuse, al punto che pare Ottone I fosse solito andare in battaglia portando
con sé la lancia di San Maurizio, mentre abbiamo notizie che fin dal VIII secolo i
giovani principi ricevevano una spada consacrata dal vescovo locale.
Il miles era dedito alla conservazione regia della iustitia e della pax, costui fino all’XI
secolo non era necessariamente un nobile e il potersi permettere l’equipaggiamento
da guerra poteva essere un modo eccellente per intraprendere una scalata sociale
attraverso le classi ancora molto fluide. Il Miles che poteva permettersi un cavallo era
ipso facto un cavaliere, non necessitava quindi di alcuna investitura; i cavalieri si
riunivano attorno ad un signore per difendere i suoi possedimenti ed i suoi diritti in
cambio di una paga e di legittimazione all’uso delle armi. Tali cavalieri erano quindi
riuniti in comitati che probabilmente formarono la base per la sacralizzazione della
cavalleria, in essi infatti al momento dell’ingresso vi era un rito di iniziazione molto
simile a quelli di origine tribale.
Con l’avvento dell’anarchia feudale nel X secolo coloro che dovevano essere i
difensori del contado, cioè i milites, divennero veri e propri oppressori e nei casi in
cui riuscirono ad affermare il proprio dominio su qualche possedimento si
trasformarono in veri tiranni. Le popolazioni vessate dalle scorrerie di queste bande
di armati si appellarono alla gerarchia ecclesiastica che già nel 909 nel concilio di
Trosly invocò la pax regis. Da questo concetto di pace, legata alla sovranità del re, si
arrivò nell’XI secolo alla Tregua Dei dove in pratica si permetteva di combattere
unicamente il lunedì ed il mercoledì senza avere il rischio di essere anatemizzati
(lasciando ovviamente in pace gli inermi e gli indifesi, in caso contrario si sarebbe
incorsi ugualmente in anatema). Il concilio di Narbonne, del 1054, proclamò
solennemente la proibizione per ogni cristiano di uccidere un suo correligionario.
20
Beda il Venerabile, Historia ecclesiastica gentis anglorum, libro II; 1,2
21 Gianni Ferracuti, La protostoria di Artù, Excalibur - rivista trimestrale di storia
delle religioni ed entosociologia dell’Istituto Romano per la ricerca interdisciplinare,
n. 1-2 (gennaio-giugno) 1980, Roma
Il risveglio della dialettica bellica del bene contro il male si ebbe solo con l’avvento
dei primi moti legati alla Pataria. Nell’XI secolo infatti molti milites diedero la
propria spada per la Pataria, continuando a fare ciò che prima facevano ma per una
“santa causa”: il combattimento contro i sostenitori del clero corrotto. Combattere
contro tali nemici era come combattere contro i pagani e quindi il cadere in battaglia
diventava sinonimo di martirio in difesa della retta fede. È esemplificativa la figura
del miles Erlembaldo Cotta, capo della pataria milanese, caduto in battaglia contro gli
Enriciani (i sostenitori di Enrico V), al quale furono riservati onori paragonabili a
quelli di un martire.
In piena riforma della chiesa, Gregorio VII concedeva ai belligeranti patarini il
vexillum Petri, simbolo illustre che si stava combattendo per la Chiesa tutta. Il papa
infatti considerava l’impegno guerriero di un cavaliere o contro i “pagani” o pro
defendenda iustitia come l’equivalente di un periodo di penitenza. Guerreggiare al
servizio della chiesa diveniva così, per i pubblici peccatori, un modo legittimo di far
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penitenza.
Finora non abbiamo trattato approfonditamente il rapporto tra cristiani e musulmani.
In un primo momento l’Islam non fu considerato come una religione a sé stante, ma
come un’eresia cristiana, tanto che si diceva che Maometto avesse appreso da un
monaco ariano le sue dottrine. Lo stesso Gregorio VII quando scrisse, nel 1076, al re
di Mauritantia Anazir, asserì che in sostanza cristiani ed islamici veneravano un unico
Dio e che si augurava di poter vedere, dopo la sua morte, l’emiro albergare nel seno
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di Abramo.
I rapporti di buon vicinato con le potenze islamiche si sviluppavano però sul terreno
di una guerra a bassa intensità tra le due civiltà che aveva come teatro il
mediterraneo. Partendo da ovest e procedendo verso est possiamo enumerare alcuni
degli scontri tra le due civiltà: in Spagna era in corso la reconquista, che vedeva da
entrambe le parti l’applicazione di un significato escatologico al conflitto, da far
riflettere è la presenza nell’immaginario cristiano della figura di Santiago
Matamoros; in Sicilia era partita nel 1061 la vittoriosa campagna normanna per opera
di Ruggero I d’Altavilla; in Palestina nel 1009, il califfo fatimita d’Egitto al-Hakim
bi-Amr Allah emise l'ordine esplicito di distruggere le chiese della Palestina, Egitto e
Siria, e soprattutto la basilica del Santo Sepolcro, così come racconta lo storico Yahia
ibn Sa'id; i Turchi Selgiuchidi incombevano sull’Anatolia; infine, in tutto il
mediterraneo vi erano le scorribande dei pirati Saraceni che nell’846 avevano
saccheggiato Roma e nell’883 avevano raso al suolo Montecassino.
22
Franco Cardini, op.cit. (nota 3)
23
Gregorio VII, Epist., III, 21, ad Anazir (Al-Nãþir), regem Mauritaniae
Nostra aetate
(Citata nel decreto del CVII, n.3)
Il monastero di Cluny, fondato nel 909 dal duca di Aquitania Guglielmo I il Pio, si
fece promotore, inconsapevolmente, della riscossa cristiana contro i pirati saraceni. In
uno dei suoi viaggi l’abate Maiolo venne catturato ed imprigionato ad opera dei
suddetti pirati a Orsières nel 972, tale avvenimento non è che un episodio di
rapimento tra i molti, ma ebbe importanti conseguenze, poiché destinato a provocare
una generale commozione e fornire l'occasione di liberare il paese da quei pirati.
Infatti, Guglielmo di Provenza assieme al fratello Rotboldo II si mise alla testa di
una coalizione di nobili provenzali per cacciare definitivamente i Saraceni dal sud
della regione e, nel corso del 973, con l'apporto delle truppe del marchese di Torino,
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Arduino il Glabro a Tourtour, ottennero una schiacciante vittoria .
Come ben sappiamo nel 1095 si arrivò alla proclamazione della prima Crociata
da parte di Urbano II a Clermont. I cavalieri che erano partiti per la spedizione una
volta conquistata Gerusalemme nel 1099 non avevano molti interessi nel
rincominciare una nuova vita su quei territori, e molti, una volta sciolto il voto,
presero la via del ritorno. Altri invece desiderosi di una conversio radicale e duratura,
che però non prevedesse l’entrata in ordini religiosi prestabiliti, decisero di rimanere
in difesa dei luoghi santi: il loro iniziatore fu Gualtieri Senza Averi (†1096).
Gualtieri, assieme ai suoi compagni, diede vita della formazione delle prime
fraternitates di cavalieri, caratterizzando la propria e le successive con il voto di
povertà, nasceva dunque per la prima volta nella storia la dicotomia milites et
pauperes. Nacque così l’Ordine ospitaliero di san Giovanni e quello di san Lazzaro.
Prima di queste iniziative, per il miles, la conversio dopo la liberazione della Terra
Santa doveva necessariamente passare attraverso la rinuncia alle armi o tramite
l’accettazione di un ruolo subordinato di “braccio armato” della Chiesa.
Su questa scia delle prime fraternitates si inserisce un certo Ugo de Payns (o de
Paganis) che assieme a 9 compagni si consacra alla difesa dei luoghi santi, così
almeno vuole la leggenda ma probabilmente erano molti di più. Nel 1118 Baldovino
II affida la spianata del Tempio ai cavalieri di Ugo e muove la sua residenza reale
nella così detta Fortezza di Davide. I cavalieri, ormai quasi ufficialmente detti
Templari, erano tutti laici, e formarono una sorta di terz’ordine ante litteram; per le
celebrazioni liturgiche si appoggiavano ai canonici del Tempio, pian piano sempre
più vicini alla vita dei milites. Nel 1128 Ugo intraprende un viaggio propagandistico
in Europa e durante il sinodo di Troyes la fraternità viene approvata ufficialmente.
Viene scritta dunque la regola dell’Ordine del Tempio per mano, probabilmente, di
Bernardo da Chiaravalle e dal patriarca latino di Gerusalemme Stefano. In realtà
questo viaggio non è da interpretare come un vero e proprio trionfo: alla sua origine
vi era la profonda crisi in cui riversava l’ordine. Ugo dunque decide di recarsi
24 http://www.santiebeati.it/dettaglio/52875 - F. Cardini, op.cit. pag.64
in Europa per porre rimedio al calo dei cavalieri e alla pessima condotta che negli
ultimi tempi i suoi compagni avevano intrapreso.
Tra il 1127 ed il 1130 compare infatti un testo firmato da un Ugo (si ipotizza fosse
Ugo di San Vittore) dove si denuncia pubblicamente che alcuni Templari non
avevano affatto deposto i costumi della saecularis militia dopo la propria conversio.
L’autore di questo testo non si esime di consi