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E CELEBRITIES
Come abbiamo precedentemente illustrato, sin dai suoi albori la
moda si è costituita come indicatore di status sociale e fenomeno di
mutamento dello stesso, diffondendosi quindi grazie al meccanismo
dell’imitazione, da cui è fortemente caratterizzata, da parte delle classi
popolari nei confronti delle classi più abbienti, creando un cortocircuito
per cui le classi più alte hanno sempre cercato la forma attraverso cui
distinguersi dalle masse.
Nella società contemporanea, in cui le classi sociali sembrerebbero
essere aperte e mobili, questo meccanismo di imitazione è stato
ampiamente sfruttato nelle strategie di marketing per cui le celebrità,
ossia la nuova aristocrazia, è stata utilizzata dai brand per promuovere i
propri indumenti e prodotti, portando quindi le masse ad acquistare i
loro prodotti grazie al meccanismo dell’imitazione e del thickle-down
discussi precedentemente, caricando di significati e valori ulteriori gli
oggetti indossati e sponsorizzati.
A influire su questo processo è stato sicuramente l’avvento dei
mass media, come la televisione, il cinema e la radio, in cui la moda è
sempre stata presente se non protagonista. Prima di procedere, quindi,
con l’analisi delle celebrità faremo un breve excursus storico
dell’evoluzione dei media in relazione alla moda.
1.3.1 L
A MODA E I MEDIA
A partire già dalla seconda metà del Novecento, spiega Calefato
(2021, pp. 54-55), la moda si è trasformata in un vero e proprio mezzo di
comunicazione di massa in grado di riprodursi e diffondersi secondo
delle proprie modalità, che l’autrice definisce “mass moda”, ed entrando
in relazione con gli altri sistemi massmediatici, come il giornalismo
specializzato, il cinema, la fotografia, la pubblicità e il marketing. Questi
linguaggi si rivelano indispensabili per la moda da cui essa stessa ne trae
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linfa vitale. Da sempre, infatti, la moda si è ritrovata connessa agli altri
sistemi espressivi e comunicativi: già con il bozzetto e la fotografia a
partire dall’Ottocento, fino alle riviste del Novecento e all’inevitabile
sinergia con il cinema sin dai suoi albori.
A seguito della rivoluzione digitale e informatica di fine
Novecento, poi, sono state introdotte ulteriori trasformazioni che hanno
posto, attraverso la moda, la questione dell’identità, sia individuale che
sociale, in rapporto all’immagine e alla scrittura prodotte digitalmente e
non più analogicamente (ivi, p. 146).
Già la radio, negli anni Venti del Novecento, assunse il ruolo di
divulgatrice della moda con la creazione di stili di vita attraverso l’ascolto
musicale. I più importanti musicisti dell’epoca, ma anche odierni, oltre al
proprio stile di vita e alla propria musica, divulgavano il proprio modo di
vestirsi creando delle vere e proprie mode sulla base del genere musicale,
come il rock o il jazz.
Con l’avvento della televisione, questa particolare comunicazione
di moda fu ancora più forte sin dagli anni Cinquanta con i servizi di
costume nel giornalismo televisivo, ma anche con i vari gossip sulle
celebrità, le cronache mondane, i documentari e i servizi sulle sfilate.
Ad avere un ruolo sicuramente essenziale e determinante nella
comunicazione della moda come stile di vita nel Novecento è stato
senz’altro il cinema. Da sempre moda e cinema hanno un rapporto di
sinergia reciproca, in cui alimentano e diffondono reciprocamente i segni
dell’uno e dell’altra in continuazione.
Ogni volta che guardiamo un film, il nostro occhio-mente guarda
alla moda che quel film supporta come un messaggio essenziale
seppur impercettibile, perché deve sembrare “naturale” quell’abito
addosso a quel personaggio […]. Il riversamento in naturale di ciò
che è culturale è, come ha descritto Barthes (1974), all’origine di 31
quel “linguaggio rubato” che è il mito contemporaneo. Cinema e
moda sono oggi due grandi serbatoi di miti, di culti, di star (ivi, p.
152).
La verosimiglianza del cinema, il suo rendere naturale ciò che è
strettamente culturale, fa sì che si crei una complessa risonanza tra testi
culturali, compresa l’opinione corrente che viene costruita e suggellata
dal cinema e dai sistemi audiovisivi in generale. Ci spiega l’autrice come
questa opinione comprenda anche ciò che viene chiamato senso comune,
ossia: un insieme di credenze e di forme della sensibilità costruite nella
comunicazione intesa come lo spazio in cui vengono messi in
comune dei significati e dei valori sociali (ivi, p. 153).
Il cinema in particolare e gli audiovisivi in generale, come anche i
videoclip musicali ampiamente diffusi tra gli anni Ottanta e Novanta,
sono fondamentali macchine generatrici di senso per quanto concerne
l’abbigliamento, in grado di produrre sensazioni, desideri e sentimenti.
Inoltre, la moda è diventata anche linguaggio portante di
numerose serie TV come Sex and the City (1998-2004), Mad Men (2007-
2015) o Pose (2018-2021), per citarne alcuni, incrementando questo
investimento di significato sugli indumenti, sugli oggetti di arredamento
e su tutto ciò che può essere compreso nel concetto di moda.
Questo investimento di valore nei prodotti attraverso il cinema è
stato ampiamente sfruttato dal marketing ad esempio attraverso il
product placement, come spiega Ruggero Ragonese (in Federico,
Ragonese, 2020, p. 28). Egli individua infatti due categorie attraverso cui
la pubblicità viene inserita nei film: la prima vede l’inserimento del
prodotto come appartenente alla storia, utilizzato dai personaggi anche
32
in situazioni banali; l’altra, invece, come forma pubblicitaria esplicita
interna al film (manifesti, spot, cartelloni), creando quindi una
connessione tra il mondo del film, dei personaggi e i prodotti di consumo
reperibili nel mondo reale che spesso vengono investiti di ulteriori
significati grazie a questa trasposizione.
Simonetta Buffo (ivi, pp. 125-131), invece, illustra come con
l’avvento dell’online gli utenti dedichino gran parte del proprio tempo
nella fruizione degli audiovisivi e come la brand reputation sia diventata
un’importante sfida per la marca che deve monitorare costantemente
quanto avviene online e cercare di sollecitare gli utenti con nuovi stimoli.
È in questo panorama, dunque, che il mondo della moda ha rinnovato e
confermato il suo legame con il cinema e la sua esigenza di investire di
valori ulteriori i propri prodotti. Già nei primi anni del Duemila il
mercato della moda ha iniziato a sperimentare il fashion film per la
promozione online, attraverso cui i brand o i marchi di moda
arricchiscono la propria identità attraverso l’uso dell’arte
cinematografica. Il fashion film è, semplificato ai massimi termini, un
vero e proprio film sul brand in grado di conferirgli ulteriori valori e
significati, in grado di soddisfare i nuovi obiettivi di comunicazione che
la rete, con le sue nuove leggi di comunicazione, ha imposto. Tra questi
obiettivi, seguendo Buffo, troviamo: coinvolgere invece di persuadere,
condividere invece di asserire, divertire invece di vendere e, infine,
innovare invece di ripetere.
Il fil rouge di questo discorso è la necessità della moda di caricarsi
di sempre più significati e valori ulteriori in modo da poter essere vissuta
dal pubblico in maniera personale e sentimentale, riconoscendo i propri
valori nei testi audiovisivi e condividendo i valori promossi dai brand.
33
Quanto detto finora è indissolubilmente legato al corpo della moda che,
in questo panorama specifico, riguarda soprattutto le celebrità.
1.3.2 I
L CULTO DELLA CELEBRITÀ
Se nel XV secolo il potere di influenzare le masse su cosa comprare
e indossare era esercitato dall’aristocrazia, nel XXI secolo lo troviamo
nelle celebrità. Pertanto, seguendo Kawamura:
Nell’industria della moda, l’identità delle star di prima grandezza è
particolarmente importante: gli stilisti e le loro creazioni si
propongono di rappresentare un certo stile di vita, un modo di
concepire l’esistenza o una visione del mondo con cui i loro fan si
identificano e a cui aspirano (Kawamura, 2005, trad. it. p. 91).
Le celebrità, quindi, diventano portatori di valori attraverso cui le
persone possono non solo identificarsi, ma anche aspirare.
Già Simmel in Filosofia del denaro sosteneva come la moda fosse
un fenomeno sociale e psicologico in grado di garantire l’“oggettivazione
dello spirito”, ossia qualcosa che conferisce all’essere umano uno schema
per provare, sia nello stile di vita che nell’immagine sociale, il suo legame
con la collettività senza interferire con la sua libertà spirituale interiore
(Calefato, 2021, p. 19).
Anche Edwards sostiene come nella società contemporanea ci sia
stato uno spostamento dal semplice desiderio per gli oggetti a un vero e
proprio desiderio di essere/diventare altre persone. Ed è questo il tipo di
desiderio che le pubblicità hanno alimentato e su cui hanno giocato per
moltissimo tempo: cercare di vendere un’idea, dei valori, e non più dei
semplici oggetti desiderati solamente per le loro caratteristiche
funzionali o estetiche. Come sostiene Edwards, infatti, inserendo David
Beckham – su cui egli si concentra particolarmente nella sua analisi –
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come testimonial nella pubblicità di un rasoio, l’obiettivo non è più quello
di dimostrare e testimoniare l’efficienza del rasoio, bensì il rasoio, nei
termini di Propp, assume il ruolo di Strumento Magico in grado di
trasformare il consumatore in Beckham stesso.
Per rigirare il coltello nella piaga, poi, questo mondo di oggetti-
soggetti desiderati si trasforma in stile di vita, in un sistema di
valori, una morale o una serie di codici a cui attenersi […] Sempre
di più, le pubblicità non dicono praticamente nulla del prodotto ma
cercano di vendere un’idea che lo accompagna, prova ulteriore di
questa tendenza all’astrazione del desiderio (Edwards, 2010, trad.
it. p. 204).
Il culto della celebrità è un fenomeno assolutamente centrale che
ha raggiunto in maniera pervasiva qualsiasi aspetto della società
contemporanea.
Rojek nel 2001 ha proposto un’analisi sull’ossessione
contemporanea per la celebrità, sostenendo come la sua crescita
improvvisa sia stata causata e alimentata principalmente da tre elementi:
• Dalla diffusione dei mass media che hanno agevolato la
comunicazione tra intermediari cultura