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1. IL MECCANISMO DELLA PIATTAFORMA: STANDARD E CONDIZIONI D’USO
Come noto, Facebook è un servizio online mediante il quale gli utenti di tutto il mondo
possono entrare in contatto, condividere informazioni e discuterne tra loro nell’ottica,
dichiarata dalla stessa Facebook, della libertà di espressione del pensiero (cfr. Standard
della Community, all. 6 al ricorso). Va evidenziato che il servizio Facebook è utilizzato da
oltre 2,8 miliardi di utenti in tutto il mondo ed è accessibile tramite diversi canali, tra i
quali il sito web www.facebook.com e le applicazioni per dispositivi mobili e tablet:
nessun dubbio pertanto può sussistere sul ruolo centrale e di primaria importanza
ricoperto dal servizio di Facebook nell’ambito dei social network e sulla speciale
posizione ricoperta dal gestore del servizio che, in Europa, è la resistente Facebook
Ireland Ltd.
Il servizio opera attraverso speciali Condizioni d’Uso che ne disciplinano i termini di
utilizzo e regolano il rapporto tra ciascun utente italiano e Facebook Ireland e che ciascun
utente, al momento della sottoscrizione del servizio tramite registrazione, si impegna ad
accettare, utilizzare e rispettare: costituiscono parte integrante delle Condizioni i c.d.
Standard della Community che descrivono “[...] gli standard in merito ai contenuti
pubblicati su Facebook dall’utente e alle attività dell’utente su Facebook e sugli altri
Prodotti di Facebook” (art. 5 Condizioni d’Uso) , e che hanno la funzione di garantire la
2
sicurezza e la salvaguardia del Servizio Facebook e della sua comunità in quanto
esprimono i comportamenti consentiti e quelli non consentiti nell’ambito del servizio.
Il complesso delle regole derivanti dalle Condizioni d’Uso e dagli Standard della
Community rappresenta quindi il regolamento contrattuale che l’utente, al momento della
registrazione al servizio di Facebook, è tenuto ad accettare e rispettare. In caso di
violazione delle regole pattizie da parte dell’utente il suddetto regolamento contrattuale
prevede l’irrogazione di misure qualificabili latu (sic!) sensu quali sanzionatorie
Le Condizioni d’uso della piattaforma Facebook sono consultabili sul sito della stessa all’indirizzo:
2
https://www.facebook.com/legal/terms 14
rappresentate (in ordine di crescente gravità) dalla rimozione di contenuti, dalla
sospensione dall’utilizzo del Servizio Facebook e nei casi più gravi viene prevista la
disabilitazione dell’account (sia temporanea che definitiva).
In particolare, merita segnalare un estratto dall’introduzione agli Standard della
Comunità secondo cui:
“Le conseguenze per la violazione degli Standard della community
dipendono dalla gravità della violazione e dai precedenti della persona sulla piattaforma.
Ad esempio, nel caso della prima violazione, potremmo solo avvertire la persona, ma
se continuasse a violare le nostre normative, potremmo limitare la sua capacità di
pubblicare su Facebook o disabilitare il suo profilo” .
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Ne deriva che il rapporto tra Facebook e l’utente che intenda registrarsi al servizio (o con
l’utente già abilitato al servizio come nel caso in esame) non è assimilabile al rapporto tra
due soggetti privati qualsiasi in quanto una delle parti, appunto Facebook, ricopre una
speciale posizione: tale speciale posizione comporta che Facebook, nella contrattazione
con gli utenti, debba strettamente attenersi al rispetto dei principi costituzionali e
ordinamentali finché non si dimostri (con accertamento da compiere attraverso una fase
a cognizione piena) la loro violazione da parte dell’utente.
Il rispetto dei principi costituzionali e ordinamentali costituisce per il soggetto Facebook
ad un tempo condizione e limite nel rapporto con gli utenti che chiedano l’accesso al
proprio servizio.
fa parte delle specifiche descritte nell’allegato numero 6 al ricorso fatto dall’Associazione di
3 Questa citazione all’indirizzo:
promozione Sociale CasaPound Italia, reperibile su internet, anche
https://www.ilprimatonazionale.it/cronaca/il-testo-integrale-della-sentenza-che-ordina-a-facebook-di-riattivare-
la-pagina-di-casapound-139623/ 15
2. SENTENZA CASA POUND: IN FATTO E DIRITTO
La disattivazione di una pagina Facebook può essere eseguita dal gestore del social
network soltanto a seguito di un giudizio di piena cognizione che accerti l’illiceità dei
contenuti memorizzati, pena la violazione del principio costituzionale del pluralismo
politico e del diritto alla libertà di espressione.
È evidente il rilievo preminente assunto dal servizio di Facebook (o di altri social network
ad esso collegati) con riferimento all’attuazione di principi cardine essenziali
dell’ordinamento come quello del pluralismo dei partiti politici (49 Cost.), al punto che il
soggetto che non è presente su Facebook è di fatto escluso (o fortemente limitato) dal
dibattito politico italiano, come testimoniato dal fatto che la quasi totalità degli esponenti
politici italiani quotidianamente affida alla propria pagina Facebook i messaggi politici e
la diffusione delle idee del proprio movimento.
Conseguentemente ai principi sopra esposti, l’esclusione dei ricorrenti da Facebook si
pone in contrasto con il diritto al pluralismo di cui si è detto, eliminando o fortemente
comprimendo la possibilità per l’Associazione ricorrente, attiva nel panorama politico
italiano dal 2009, di esprimere i propri messaggi politici.
2.1 COSA È SUCCESSO
- l’Associazione agiva sul social network Facebook attraverso la “pagina” denominata
CasaPound Italia (https:// www.facebook.com/casapounditalia/);
- in data 9/9/2019 Facebook Ireland senza alcun preavviso e senza fornire alcuna
motivazione disattivava la “pagina” dell’Associazione di Promozione Sociale CasaPound
Italia e le pagine di rappresentanti e simpatizzanti dell’associazione
stessa; 16
- in data 10/9/2019 gli stessi ricorrenti diffidavano la resistente a riattivare
immediatamente la pagina, evidenziando il rispetto da parte dell’Associazione delle
“Condizioni d’uso” del social network e rappresentando il gravissimo pregiudizio, sotto
una pluralità di aspetti, derivante da tale condotta;
- Facebook Ireland non riscontrava in alcun modo la diffida dei ricorrenti.
Con ricorso ex art. 700 c.p.c. l’associazione di promozione sociale CasaPound Italia e
Simone Di Stefano, quale dirigente nazionale della stessa e abilitato ad utilizzare la pagina
Facebook dell’Associazione, hanno agito in via cautelare chiedendo al Tribunale di:
1. ordinare a Facebook Ireland Ltd l’immediata riattivazione della pagina Facebook
dell’Associazione e del profilo personale di S. di St;
2. in subordine, di restituire a CasaPound i contenuti della pagina Facebook, lo stesso
per il profilo del dirigente nazionale della stessa;
3. la fissazione della somma che ai sensi dell’art. 614-bis c.p.c., Facebook Ireland Ltd.,
in persona del legale rappresentante pro tempore, è tenuta a corrispondere a CasaPound
Italia, in persona del legale rappresentante pro tempore, per ogni violazione o
inosservanza successiva dell’ordine impartito ovvero per ogni ritardo nell’esecuzione
del provvedimento;
4. la condanna della convenuta al pagamento delle spese di causa
Ritenuta la sussistenza degli estremi per la concessione della misura cautelare invocata
insistevano i ricorrenti nelle conclusioni indicate sottolineando, quanto al fumus
boni iuris, la violazione delle regole contrattuali da parte di Facebook Ireland Limited e,
con riferimento al periculum in mora, il grave ed irreparabile pregiudizio legato
all’illegittima condotta della resistente anche in termini di danno all’immagine.
Nel caso di specie e compatibilmente con una delibazione necessariamente sommaria
propria dell’odierna fase cautelare, il Tribunale ha ritenuto che la domanda proposta sia
dotata di entrambi i presupposti richiesti dalla legge per l’emissione del provvedimento
di urgenza. 17
2.2 MOTIVAZIONI E VERDETTO
Facebook ha sostenuto di avere legittimamente adottato la misura della disabilitazione
della pagina dell’Associazione e del suo amministratore perché essi, in violazione delle
Condizioni d’Uso e degli Standard della Community (che vietano espressamente le
organizzazioni che incitano all’odio), avrebbero divulgato contenuti di incitazione all’odio
e alla violenza attraverso la promozione, nella pagina di CasaPound, degli scopi e delle
finalità dell’Associazione stessa.
In relazione a tale profilo il Tribunale ha osservato che non è possibile affermare la
violazione delle regole contrattuali da parte dell’Associazione ricorrente solo perché dalla
propria pagina sono stati promossi gli scopi dell’Associazione stessa, che opera
legittimamente nel panorama politico italiano dal 2009.
La resistente a supporto della sua tesi evidenzia poi nella propria memoria di costituzione
una serie di episodi connotati da atteggiamenti di odio contro le minoranze o violenza,
che hanno visto quali protagonisti membri di CasaPound i cui contenuti però non hanno
trovato ingresso nella pagina Facebook di CasaPound ma sono stati tratti da articoli
comparsi su quotidiani anche on line o da siti di informazione, comunque esterni a
Facebook. Sotto altro aspetto è appena il caso di osservare che non è possibile sostenere
che la responsabilità (sotto il profilo civilistico) di eventi e di comportamenti (anche)
penalmente illeciti da parte di aderenti all’associazione possa ricadere in modo
automatico sull’Associazione stessa (che dovrebbe così farsene carico) e che per ciò solo
ad essa possa essere interdetta la libera espressione del pensiero politico su una
piattaforma così rilevante come quella di Facebook.
Non possono inoltre essere considerate come violazioni dirette da parte dell’Associazione
gli episodi citati dalla resistente nella memoria e riferiti a contenuti riguardanti la c.d.
18
croce celtica o altri simboli, episodi che singolarmente non paiono infrangere il limite di
cui si è parlato sopra e che infatti non hanno generato la disabilitazione dell’intera pagina
ma la rimozione di singoli contenuti ritenuti non accettabili.
altresì dalla cognizione cautelare della presente fase.
Quanto al profilo relativo all’omesso avviso di disabilitazione della pagina, esso non è
previsto in via preventiva dagli Standard della Community: il mancato riscontro della
diffida dei ricorrenti può quindi al più rilevare nell’ottica della buona fede ma tale
accertamento non rileva rispetto alle misure cautelari invocate in questa sede.
Con riferimento al periculum in