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I. PRESENTAZIONE
Con questo studio cercherò, all’interno del dibattito morale e
teologico sulla danza, che si diffuse in Europa a partire dalla
metà del Cinquecento, di rintracciare quali siano le
argomentazioni contro il ballo, di cui si sono maggiormente
avvalsi gli autori di trattati in area inglese. L’interesse per la
danza, e per il ruolo che ha svolto (e svolge), all’interno della
cultura inglese della prima età moderna, discende dalla mia
passione per la danza, in particolare per quella classica, che
studio da più di quindici anni.
Nella parte introduttiva delineerò brevemente un quadro
relativo alla censura sui teatri in epoca elisabettiana e
giacomiana e alla conseguente proliferazione di testi che hanno
come scopo la condanna di spettacoli. All’interno di questi
trattati, trova un posto importante l’accusa nei confronti della
danza a cui, talvolta, sono dedicati capitoli interi.
Attraverso la lettura di alcuni di questi scritti, cercherò di
evidenziare le argomentazioni contro la danza che si ripetono
con più frequenza. Esse possono essere raccolte in tre gruppi
principali: il primo riguarda la profanazione del Giorno del
Signore, il secondo si scaglia contro il ballo a coppie, il terzo si
sofferma sugli effetti negativi della danza sul corpo. L’analisi di 4
questi tre gruppi di argomentazioni costituisce la prima parte del
mio lavoro.
Nella seconda parte darò particolare rilievo alle
argomentazioni bibliche, largamente richiamate da tutti gli
autori e tenterò di dare una spiegazione di questi passi in
relazione al dibattito sulla danza.
Nella terza parte prenderò in esame il trattato sulla danza di
John Lowin, Conclusions upon Dances, che suscitò particolare
interesse, perché il suo autore, Lowin, fu anche un attore-
ballerino. L’obiettivo è quello di evidenziare, attraverso l’analisi
del saggio, i punti di contatto e le differenze fra il trattato di
Lowin e quelli di altri autori coevi. 5
II. LA CENSURA SUL TEATRO E LA
LETTERATURA POLEMICA
Nella prima metà del ‘500, lo scisma anglicano sotto Enrico
VIII e le accese controversie religiose obbligarono il governo ad
intervenire per regolamentare l’attività teatrale. Il problema era
evitare una totale proibizione delle rappresentazioni e trovare il
modo di tenerle sotto controllo da parte dell’autorità centrale.
Sotto il regno di Elisabetta I, gli sforzi di controllare l’attività
teatrale iniziarono con cautela, con il proclama del maggio
1559: nessun dramma si doveva rappresentare né in pubblico né
in privato senza l’approvazione del sindaco di Londra, di due
giudici, o del Lord Lieutenant, cioè il capo dei magistrati di ogni
contea e tutto ciò che avesse attinenza con la religione o la
monarchia doveva essere eliminato. Questo proclama formò la
base della censura elisabettiana, organizzata attraverso un
controllo sui testi, attuato dal Revels Office, una sorta di
ministero dello spettacolo dell’epoca, e un ulteriore controllo
locale sulle rappresentazioni da parte del sindaco e dei
magistrati.
Alle regolamentazioni dell’attività teatrale da parte del
governo, si affiancavano gli attacchi da parte dei puritani, diretti
indifferentemente agli spettacoli teatrali, ai combattimenti con 6
animali, agli esercizi acrobatici, ai duelli con la spada. Le accuse
stigmatizzavano i possibili disordini creati da grandi
assembramenti popolari, la facilità di diffusione delle epidemie,
come la peste, e la cattiva influenza della finzione, dei
travestimenti e del linguaggio sulla religiosità e moralità di un
1
individuo. “Those filthie and unhonest gestures and movings of
Enterlude players, what other thing doe they theache, than
wanton pleasure, and […] fleshly lustes unlawfull appetites and
2
desires?”, si chiede, ad esempio, John Northbrooke.
Nel 1585 sia i membri del consiglio comunale, sia i predicatori
puritani, rinnovarono i loro attacchi con una lista di richieste, in
base alle quali gli attori potevano essere “tollerati”, che Loretta
Innocenti così riassume:
Che gli attori non recitino pubblicamente fino a che il numero totale
dei morti di peste a Londra non sia stato per venti giorni inferiore a
cinquanta la settimana.
Che non ci siano spettacoli il giorno di festa.
Che nei giorni di festa non ci siano spettacoli se non dopo la preghiera
della sera e che nessuno sia ricevuto nell’auditorio se non dopo la
preghiera della sera.
Che non ci siano spettacoli quando fa buio, né continuino fino a tarda
ora, ma che invece la gente tra il pubblico possa tornarsene a casa a
1 Cfr., L. Innocenti, I contesti culturali della letteratura inglese. Il teatro
elisabettiano, Bologna, Il Mulino, 1994, pp. 33-39.
2 J. Northbrooke, A Treatise wherein Dicing, Dauncing, Vaine Plaies or
Enterluds … are reprouved, London, [1577-78], p. 65. 7
3
Londra prima che il sole cali, o almeno prima che faccia buio.
A partire dalla seconda metà degli anni '70 del XVI secolo, la
pubblicazione di testi che hanno come scopo la censura di giochi
e spettacoli aumenta. In generale, il bersaglio della critica è il
teatro e, al suo interno, trova un posto importante l’accusa verso
la danza: a volte le è dedicato un intero capitolo all’interno di
testi che hanno per bersaglio l’intero campo dello spettacolo. È
4 5
e Philip Stubbes; ma
il caso dei trattati di John Northbrooke
non mancano opere in cui il ballo è l’oggetto esclusivo, come
6 7
nel caso di Thomas Lovell, Christopher Fetherston e John
8
Lowin.
Il teatro e la danza vengono censurati con argomentazioni
simili, poiché il ballo era sempre più spesso inserito negli
spettacoli, sia durante, sia alla fine di questi. La danza serviva,
talvolta, a portare avanti la narrazione, creare un diversivo e
dare agli attori la possibilità di mostrare il loro talento. Dagli
3 L. Innocenti, I contesti culturali della letteratura inglese. Il teatro
elisabettiano, pp. 45-46.
4 Northbrooke dedica alla danza un capitolo – A treatise against dauncing -
all'interno del suo trattato, Spiritus est Vicarius Christi in terra. A Treatise
wherein Dicing, Dancing, Vaine Plaies or Enterluds with other idle pastimes
&c. commonly used on the Sabboth day, are reprouved by the Authoritie of
the word of God and auntient writers, pubblicato fra il 1577 e il 1578.
5 Stubbes, nel suo Anatomie of Abuses (1583), si occupa di danza nel capitolo
dal titolo The horrible Vice of pestiferous Dauncing, used in Ailgna.
6 T. Lovell, A Dialogue between Custom and Veritie concerning the use and
abuse of dauncing and minstrelsie, London, [1581].
7 C. Fetherston, A dialogue agaynst, light, lewde, and lascivious dauncing
wherin are refuted all those reasons, which the common people use to bring
in defence thereof, London, 1582.
8 J. Lowin, Conclusions upon dances, both of this age, and of the olde. Newly
composed and set forth, by an out-landish doctor, London, 1607. 8
attori ci si aspettava, infatti, che fossero capaci di cantare e
9
suonare, danzare e compiere atti di destrezza.
Nei testi, le accuse si ripetono: la danza mette in pericolo la
salvezza dell'anima attraverso la dissacrazione dei sacramenti e
del giorno del Signore; avvia relazioni illecite dovute ai balli
promiscui; danneggia corpi sani. Il ballo è dunque visto come “a
threat to the moral and social fabric of England, an end to her
10 La danza è “wicked
Spartan virtues and honorable pursuits”.
and filthie […] vaine, foolish, fleshly” e “is the mother of all
11
evill, the sister of all carnall pleasures, the father of all pryde”.
“Dauncing is vanitie”, aggiunge Fetherston attraverso il suo
12 Danzare è
personaggio Minister, a “lewde pastime” e “a vice”.
“filthie, luxurious and uncleane”, tuona Stubbes, “every leape or
13
skippe in daunce, is a leape toward Hell”.
Invece di impegnarsi in attività salutari come la caccia o il
wrestling, i giovani delle città affollavano le scuole di danza,
14 erette da persone “thinking it an
quelle “houses of bawdy”,
ornament to their children, to be expert in this noble science of
15 Le scuole di danza, che scatenavano “vayne
heathen deviltry”.
9 Cfr., L. Innocenti, I contesti culturali della letteratura inglese. Il teatro
elisabettiano, p. 30.
10 M. Pennino-Baskerville, “Terpsichore Reviled: Antidance Tracts in
Elizabethan England”, Sixteenth Century Journal, 22 (3), 1991, p. 477.
11 J. Northbrooke, A Treatise, pp. 113-14; 123.
12 r v r
C. Fetherston, A dialogue, sigg. B5 ; B7 ; C4 .
13 r-v
P. Stubbes, Anatomie of Abuses, pp. 106 .
14 J. Northbrooke, A Treatise, p. 132.
15 r
P. Stubbes, Anatomie of Abuses, p. 98 . 9
16
curiositie”, erano luoghi d'interesse anche per i turisti, dove,
anche se non si ballava, si potevano ammirare ballerini
esercitarsi nei passi più in voga. Anche il solo guardare queste
danze esponeva l’osservatore ai rischi della pratica della danza,
“transgressions of the lawes of God”, che “are […] not only
17
unto the Dauncers, but also to the beholders”. La nascita di
queste scuole nella Londra degli anni '70 del '500, “located in
undesirable neighborhoods and manned by equally undesirable
18 alimentava l'ira dei moralisti.
people”,
II.1 Il Sabbath day: santificazione e profanazione
Per la stesura del presente lavoro, ho fatto riferimento alle
edizioni seicentesche di tutti i trattati menzionati.
Uno dei tratti distintivi della letteratura polemica inglese
contro la danza è la profanazione del Sabbath day o Lord's Day
(il Giorno del Signore) attraverso divertimenti profani come la
danza.
It was divinely instituted to commemorate Christ's resurrection [...]
The whole day was to be kept holy, with public and private exercises
16 v
Ibid., p. 101 .
17 J. Northbrooke, A Treatise, p. 122.
18 M. Pennino-Baskerville, “Terpsichore Reviled: Antidance Tracts in
Elizabethan England”, p. 479. 10
of religion and rest from all worldly labours and recreations; for these
19
would distract, and rob God of the time set aside for spiritual works.
Nei testi dei moralisti si trovano indicazioni sulle attività
permesse durante il Sabbath day e, in generale, durante i giorni
dedicati alle festività sante, come il Natale o la Pasqua, e
riferimenti alle attività da bandire in quei giorni. Fra quest