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Non appena gli abitanti del villaggio vengono a sapere che è in arrivo un prigioniero, gli vannno incontro a
più di mezza lega e lo ricevono con inguerie e insulti al suono di flauti fabbricati con le ossa delle gambe dei
altri nemici che hanno fatto morire con lo stesso sistema. 5
La rivalsa del guerriero contro il nemico è anche strettamente legata all'idea di virilità,
tanto che il boia è l'uomo più valoroso e viene adornato da piume di pappagallo, per
dimostrare a tutta la tribù questa sua superiorità. Ciò che sorprende è che Magalhaens
sottolinea che il prigioniero non si lamenta di tale sorte, quasi fosse la giusta fine per un
uomo, anzi per un guerriero:
«Avete ragione di uccidermi; giacché io ho fatto lo stesso coi vostri parenti ed amici, e, se
anche questi ricevono vendetta dalla mia morte, ricordartevi che i miei amici e parenti a
loro volta mi vendicheranno» 6
. L'esecuzione di questa pena capitale, secondo l'autore,
viene fatta prima stimolando la paura nel prigioniero, fingendo di colpirlo più volte con una
spada, che poi con estrema precisione gli spacca il cranio con un sol colpo. In un secondo
momento il corpo viene tagliato in pezzi e tutti i capi presenti se ne portano via un pezzo
per farne omaggio alla gente del loro villaggio, fanno dunque cuocere ed arrostire il tutto,
arrivando ad affumicare ciò che resta per mangiarlo in un secondo momento. Il boia però
non ne mangia, infatti secondo l'autore gli aborigeni credono che il sangue del nemico
ucciderebbe l'esecutore della pena se non se lo togliesse in tempo, ovvero subito dopo
aver assolto il suo compito.A questo s'aggiunge secondo Magalhaens un fatto ancor più
terribile, ovvero che se la donna che viene data al prigioniero durante il suo alloggio nella
10
5 P. Magalhaens Gandavo, Historia da Provincia Sãnta Cruz, s.l.n.d(Lisbona 1576)
6 Idem
tribù nemica, rimaneincinta di quest'ultimo, non appena la gravidanza giunge al termine
essi ne mangiano il bambino; succede anche, secondo l'autore, che qualche donna
innamoratasi dell'uomo a cui doveva far da guardiana, fugga con lui per liberarlo da morte
certa,ben cosciente, che non ne sarebbe scampato se fosse rimasto in quel villaggio.
Il cannibalismo dei Tupinamba, dunque appare come ritualizzato e come particolarmente
importante all'interno della cultura basata su una vendetta irrinunciabile.
In un'ultima annotazione mostra però che i Tupinamba non sono la popolazione più
cruenta presente sul territorio brasiliano in quanto esiste una tribù chiamata Aimoré, che
lui definisce quasi bestiali siccome si chiamano attraverso dei fischi ed a causa della loro
fretta nell'applicare la vendetta tanto da mangiare alcuni lembi di carne del loro nemico
mentre egli è ancora vivo per poterlo terrorizzare maggiormente e mostrargli quella che
sarà la sua fine.
E', quindi, palese che la visione che ha l'autore della popolazione aborigena è assai
negativa. Non cita nemmeno una caratteristica positiva di quella cultura, tanto che agli
occhi del lettore può risultare quasi bestiale oltre che selvaggia.
11
Capitolo 3:
Jean de Léry
Jean de Léry, è un teologo ugonotto, recatosi in Brasile in risposta alle richieste d'aiuto
poste da Calvino nel 1557. Tornato in patria dieci mesi dopo a causa della frattura tra
protestanti e Villegagnon coi quali era partito; purtroppo in Francia c'erano delle guerre
religiose e lo studioso non fu esente dall'esservi coinvolto,tanto che pubblicò “ Histoire
d'un voyage fait en la terre du Brésil “ solo nel 1578, quando Villegagnon aveva ormai
abbandonato le terre brasiliane.
Contrariamente a Magalhaens, Jean de Léry non dipinge in maniera così negativa
l'indigeno brasiliano, al quale dà anche delle connotazioni positive, che però esulano dalla
pratica antropofagica che comunque considera aberrante; di quest'ultima evidenzia nel
dettaglio un fatto che lui considera abominevole ovvero che mangino i bambini concepiti
dalla donna che ha fatto da guardiana al prigioniero e quest'ultimo:
13
[…] alléguant que tels enfants son provenus de la semence de leurs ennemis (chose horribile à ou ïr et plus
encore à voir), mangeront le uns incontinent aprés qu'ils seront nés, ou selon que bon leur,semblera, avant
que d'en venir là ils le laisseront devenir un peu grandets 7
Nonostante l'orrore che prova a riguardo però puntualizza che chi non partecipa all'atto
cannibalistico viene stimato al pari di una persona sleale : « si nous en faision refus,[...] il
leur semblait pour cela que nous ne leur fussion pas assez loyaux» 8
.
Inoltre una nota distintiva di questo scritto è che vi è praticamente sempre un confronto
tra civiltà europa ed aborigena, arrivando anche a sottolineare, che talvoltà è più inumano
il tanto osannato “uomo bianco”, rispetto agli indigeni, poiché portatori loro stessi di vizi
che gli altri non osavano nemmeno immaginare e condivisori dei vizi della gente della
tribù. Quest'ultimo pensiero si basa principalmente sul fatto che ha sentito parlare alcuni
portoghesi che si sono vantati di aver saggiato la carne umana assieme ai Tupinamba. Per
quanto riguarda invece la modalità con la quale questa popolazione cucina i propri nemici,
egli afferma che essi adagiavano il corpo precedentemente tagliato in pezzi sopra ad una
graticola,facendo quindi arrostire le membra, senza testa, la quale viene invece privata
dello scalpo, e successivamente bollita per poter essere utilizzata come trofeo dall'uccisore
del nemico. É altresì peculiare che non è un singolo a mangiare la carne del nemico, ma
che sia un evento della tribù, che consta secondo Jean de Léry numeri alti di persone
tanto da arrivare a tre o quattro mila partecipanti. Perché dunque se è una vendetta
personale partecipa un così gran numero di individui? La risposta è assai semplice. E'
infatti una metodologia per umiliare ulteriormente quest'ultimo ( essendo smembrato dalla
tribù) e di assimilare lo stesso.Il cannibalismo non è però l'unico attributo che il teologo
ritrova all'interno della cultura dei Tupinamba, viene effettivamente preso in considerazione
anche il rapporto che vi è tra i genitori e il figlio, arrivando a sostenere che il padre ,
14
7 J. De Léry, Histoire d'un voyage fait en la terre du Brésil, Bibliothèque romande.Lausanne, 1972
8 Idem
contrariamente a quanto accadeva nel suo paese, partecipasse al parto della moglie:
E vidi io stesso il padre che dopo aver ricevuto il bambino nelle sue braccia gli annodò dapprima il piccolo
budello all'ombelico e poi lo tagliò direttamente coi denti. Quindi facendo sempre le funzioni della levatrice,
mentre le nostre tirano il naso ai bimbi neonati per farli divenire più belli, lui al contrario schiacciò ed appiatti
9
il naso ,cosa che si pratica anche per tutti gli altri bambini perché li trovano più carini quando sono camusi.
La situazione a cui partecipò l'ugonotto Léry, lo meravigliò, soprattutto perché spesso in
Europa era la levatrice ad assumere tale compito e (specie nelle famiglie benestanti) dopo
il parto spesso e volentieri non era nemmeno la madre a prendersi cura del figlio, bensì
una terza persona ovvero la balia. Riguardo il baliatico, Léry parla molto criticamente,
ponendo come esempio le donne Tupinamba:
Per quanto riguarda il nutrimento sarà composto di qualche farina masticata, e altre vivande molto
tenere,oltre il latte della madre. Quest'ultima inoltre non rimane più di un giorno o due a letto, poi prende il
suo bambino e se lo mette al collo, in una sciarpa di cotone , fatta apposta per questo, e così se ne andrà ai
campi o a qualche altra occupazione[...] La maggior parte[ delle nostre signore,invece] sono così delicate
che, senza avere alcun male che impedisca loro di nutrire i propri figli, sono tanto inumane da mandarli
lontano non appena se ne sono sgravate[..] Se ci sono delle sdolcinate che pensano che io faccia loro un
torto paragonandole a quelle donne selvagge, il cui modo di vita campagnolo – diranno loro – non ha niente
a che vedere coi loro corpi teneri e delicati, mi accontenterò , per addolcire quest' amarezza,di rinviarle alla
scuola delle bestie brute. Queste – anche gli uccelletti – impartiranno la seguente lezione: spetta ad ogni
10
specie aver cura, cercare di darsi da fare per allevare la propria prole.
Questo dimostra che a differenza di Magalhaens egli mostra non solo i lati negativi della
loro cultura, ma altresì anche i lati positivi, dai quali secondo l'autore anche noi potremmo
imparare. Non nega la pratica antropofagica,che in ogni caso,viene descritta come un
dettaglio intrinseco alla loro cultura e che non viene attuato per necessità, bensì come
culmine di una vendetta ritualizzata. E' quindi possibile affermare che nonostante tutto il
teologo non abbia una visione così oscura e negativa della gente abitante in quella zona
del Brasile. 15
9 J. De Léry, Histoire d'un voyage fait en la terre du Brésil,1578, ed. P.Gaffarel,Paris1880,vol II
10 J. De Léry, Histoire d'un voyage fait en la terre du Brésil,1578, ed. P.Gaffarel,Paris1880,vol II
Capitolo 4:
Bartolomé Las Casas.
Las casas è un uomo piuttosto ecclettico, conosciuto sia come politico,che come storico...è
in realtà famoso come “ il protettore degli indiani”. Nato nel 1474, la sua opera che ora
analizzerò è la “ Brevisima relacion de la destruccion de las indias”. Come il titolo espone
essa non è né un romanzo, né un saggio, né un epistolario, bensì la raccolta di brevi
relazioni, che riguardano le indie dove per indie s'intendono le americhe. Bartholomé non
parla esplicitamente dei Tupinamba, ma di vari gruppi aborigeni delle indie che spesso
risultano quasi ingenue nei confronti dei portoghesi o spagnoli che arrivano sul suo
americano.
«Un cattivo Cristiano prendendo per forza una donzella, per peccar con essa, aggredì
la madre per levargliela; egli caccia mano ad un pugnale, o spada, e tagli una mano alla
madre; e perché la donzella non volle acconsentire, la uccise a pugnalate. » 11
17
de Las Casas, Brevissima relazione della distruzione delle Indie,Edizioni Cultura della
11Bartolomé
Pace,Fiesole (FI),1991;
Las Casas, denuncia con questa relazione, la crudeltà applicata dai cristiani ( col quale
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
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