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Il ruolo dello stile di vita e del BDNF nella neurodegenerazione

Per ottenere questo risultato, si è visto come l'intervento farmacologico sia ancora complicato, mentre il lavorare sulla modificazione dello stile di vita del paziente porterebbe all'effetto desiderato.

Lo stile di vita, rappresentato dagli stimoli comportamentali e ambientali, è in grado di modificare i livelli di BDNF, in funzione al fatto che questi siano positivi (attività fisica, potenziamento cognitivo, dieta, ecc.) o negativi (sedentarietà, obesità, ecc.) (Bruno Lima Giacobbo, 2018).

4.1.2 Ruolo del BDNF nella neurodegenerazione e neurogenesi nel paziente parkinsoniano

Viste le loro possibili implicazioni in ambito terapeutico, le neurotrofine sono state ampiamente studiate nell'ambito delle malattie neurodegenerative. Alterazioni della loro funzione o dei loro recettori infatti, sembrano essere coinvolte nel processo di neurodegenerazione.

Si è dimostrato come le neurotrofine prevengano la morte cellulare e ne supportino la

proliferazione e maturazione nei neuroni colpiti da PD. Studi su modelli animali di PD stanno mostrando come l'amministrazione di fattori neurotrofici prevenga la neurodegenerazione nelle fasi iniziali ed intermedie, arrivando ad avere effetti anche nelle fasi più avanzate. Le neurotrofine attivano la via della chinasi IP3K e Akt, andando così a inibire i processi che stimolano la morte neuronale. (Ewelina Palasz, 2020) È stato infatti dimostrato come una diminuzione dei livelli di BDNF possa contribuire alla sovra-espressione di una proteina solubile α-sinucleina, che sembrerebbe avere il compito di modulare il trasporto di dopamina e acetilcolina. In condizioni patologiche, questa proteina porta alla formazione di aggregati proteici insolubili, che prendono il nome di corpi di Lewy, i quali sono segni caratteristici del PD. Sempre gli stessi studi rivelano come bassi livelli di BDNF portino ad un'inibizione della sintesi di dopamina (DA), che come già visto,

Il BDNF ha un ruolo centrale nel quadro clinico del PD. (Ewelina Palasz, 2020)

Un'altra funzione del BDNF è quella di controllare l'espressione della tirosina idrossilasi (TH), un enzima normalmente ridotto nei pazienti parkinsoniani, la quale ha il compito di catalizzare la prima reazione che permette la sintesi di L-dopa, partendo dalla L-tirosina. (Bergen, 2020)

Studi sui topi hanno poi dimostrato che la soppressione del gene che codifica il BDNF, provoca la perdita di neuroni dopaminergetici, confermando così il ruolo nella protezione da lesioni e neurodegenerazione.

L'effetto neuroprotettivo del BDNF è dovuto all'attivazione di alcuni recettori (TrkB, MAPK, ERK1, ERK2, IP3K e Akt), i quali hanno molte funzioni, tra cui il disincentivo all'apoptosi, la diminuzione dello stress ossidativo e del danno di eccitotossicità causato dal glutammato e l'ossido nitrico. (Ewelina Palasz, 2020)

Tabella 2: Principali effetti causati dalle variazioni

di BDNF nel paziente parkinsoniano 18 Regolazione dell'espressione del BDNF 4.2 Regolazione dell'espressione del BDNF tramite 4.2.1 iniezione diretta e terapia genica Le neurotrofine hanno una breve emivita, una scarsa biodisponibilità e una capacità marginale di superare la barriera ematoencefalica; questo le rende dei possibili candidati per la somministrazione per via esogena e la stimolazione tramite terapia genica. La ricerca si è mossa in questa direzione, ma sia studi sui modelli animali, che quelli sull'uomo, non hanno portato ai risultati sperati. Negli animali si è visto come la somministrazione di BDNF abbia migliorato la sopravvivenza dei neuroni dopaminergici solo se somministrato prima dell'induzione del PD, o come al massimo, determini un leggero miglioramento nella capacità di trasmissione della dopamina. Negli umani invece, la somministrazione per via esogena ha dato risultati non soddisfacenti, probabilmente a causa di una.

forte degradazione enzimatica e un veloce accumulo in tessuti indesiderati. Per quanto riguarda la terapia genica invece, non sono ancora stati svolti studi clinici, e proprio per questo non è ancora possibile dimostrarne l'efficacia.

Regolazione dell'espressione del BDNF tramite attività fisica e gli effetti ad esso associati

Gli studi sulla stimolazione esogena non hanno portato a risultati soddisfacenti, ma per quanto riguarda la stimolazione endogena tramite attività fisica, il discorso sembrerebbe essere ben diverso. Come già visto l'AF gioca un ruolo centrale nel trattamento del Parkinson, riuscendo a portare a una significativa riduzione della sintomatologia. Osservando le potenzialità del BDNF, e vedendo le sue strette correlazioni con l'esercizio fisico, la ricerca si è mossa per riuscire a quantificare e comprendere i meccanismi che ne stanno alla base.

Si è innanzitutto capito come l'AF possa

stimolare la produzione di BDNF in particolari aree del cervello, tra cui mesencefalo, striato e corteccia. Studi su modelli animali hanno mostrato come una maggior espressione di BDNF a seguito di AF abbia effetti positivi sul sistema dopaminergico. Tra questi troviamo l'incremento della TH, l'aumento delle concentrazioni di dopamina e dei metaboliti legati alla sua produzione: acido omonanillico (HVA) e acido diidrossifenilacetico (DOPAC). La sovra-espressione del BDNF inoltre, iperstimola il recettore TrkB, determinando l'inibizione del gene GSK-3 la cui soppressione favorirà una maggiore sopravvivenza cellulare. Contrariamente un'inibizione del recettore TrkB, sembrerebbe revocare gli effetti benefici visti associati all'AF. (Ewelina Palasz, 2020).

Schema 1: Effetti positivi del BDNF su alcuni protagonisti del benessere cerebrale

4.3 Attività fisica e produzione di BDNF

4.3.1 Attività fisica e produzione di BDNF nel soggetto sano

È dunque visto come il movimento possa favorire la produzione di BDNF. Ora la domanda che sorge spontanea è se un'attività fisica generica, è in grado di aumentare la concentrazione di BDNF ematico, o se per far sì che ciò avvenga, ci sia bisogno che questa abbia delle caratteristiche specifiche. La letteratura scientifica ha determinato che, per il raggiungimento di questo obiettivo, sia l'attività di endurance (CON), sia l'high intensity interval training (HIIT), risulterebbero idonei allo scopo. Un articolo pubblicato sul "journal of applied physiology" ha messo a confronto questi due tipi di allenamento, cercando di fare chiarezza in merito. Alla fine dello svolgimento dei test, è emerso come sia CON, che HIIT, abbiano determinato un aumento delle concentrazioni di BDNF.
Confronto della cinetica del brain-derived neurotrophic factor (BDNF) prima, durante e dopo l'esercizio HIIT e CON
Figura 5: Confronto della cinetica del brain-derived neurotrophic factor (BDNF) prima, durante e dopo l'esercizio HIIT e CON
Da: (Cinthia Maria)

Saucedo Marquez, 2015) 21L'aumento dei livelli sierici di BDNF è stato costante per tutta la durata dell'esercizio, raggiungendo il picco massimo all'istante finale dello stesso.Il valore massimo ha poi cominciato a calare, tornando ai livelli fisiologici pre-allenamento, dopo 20' dall'interruzione dell'attività.Nonostante CON e HIIT abbiano permesso il raggiungimento dell'effetto sperato, il lavoro HIIT si è dimostrato più efficace, riuscendo a determinare una variazione percentuale maggiore rispetto a CON. (Cinthia Maria(Δ%)Saucedo Marquez, 2015)

Figura 6:Differenza di variazione percentuale del BDNF tra protocollo CON e HIITDa: (Cinthia Maria Saucedo Marquez, 2015) 224.3.1.1 Possibili cause che spiegano la maggior efficacia del protocollo HIITLe motivazioni che determinano una maggior efficacia del protocollo HIIT rispetto a quello CON non sono ancora del tutto chiare, ma alcuni studi hanno provato a capire quali

possono essere i fattori e/o meccanismi implicati in questo risultato. E' stata cercata una relazione tra BDNF e i livelli di lattato nel sangue, ma nonostante questo si sia dimostrato in alcuni casi, i risultati non sono sempre concordi in questo. Un'altra ipotesi è stata fatta basandosi sui livelli di cortisolo, o ormone dello stress, la cui espressione è correlata a concentrazioni più basse di BDNF. In entrambi i protocolli si è visto un aumento del cortisolo, andando così a escludere ogni tipo di correlazione diretta con l'aumento del BDNF. Risultati più promettenti sono stati dati dalla scoperta dell'esistenza di una correlazione tra la produzione di BDNF e il punteggio della scala Borg durante l'esercizio. Il protocollo HIIT ha riportato punteggi più alti nella scala di Borg, facendo ipotizzare come un maggior grado di affaticamento muscolare, determini l'attivazione di un percorso biochimico in grado di

Aumentare l'espressione di BDNF a livello cerebrale. Un altro fattore che si è dimostrato positivo per l'espressione del BDNF è la condizione di ipossia. Il protocollo HIIT determina un aumento di concentrazione di due enzimi, la chinasi e la fosfatasi, i quali intervengono nell'attivazione delle cascate di segnalazione AMPK e MAPK, le quali determineranno l'aumento di PGC1. PGC1 è un co-attivatore di trascrizione che aumenta l'espressione della proteina FNDC5, la quale regola positivamente i livelli di BDNF nel cervello. Altra correlazione è stata trovata a seguito del riscontro di maggiori concentrazioni di perossido di idrogeno (H2O2) e fattore di necrosi tumorale alfa (TNF-α), le quali tendono ad aumentare nel cervello a seguito di HIIT. Anche H2O2 e TNF-α sono determinanti dell'espressione di BDNF. Riassumendo, se pur non siano ancora chiari i meccanismi che determinano una maggior efficacia del protocollo HIIT rispetto a quello CON,

si è visto come ci siano alcuni fattori caratteristici dell’alta attivazione muscolare (scala di Borg), dell’alta intensità (lattato e ipossia), nonché a un esercizio complessivo più breve, che è in grado di generare livelli di stress ossidativo per tempi ottimali, garantendo un aumento di H O e2 2TNF-. (Cinthia Maria Saucedo Marquez, 2015) 4.3.2 Attività fisica e produzione di BDNF nel paziente parkinsoniano Da quanto visto fino ad ora, si evince come un protocollo HIIT risulti più efficace, rispetto a un protocollo CON, nel paziente sano. E’ interessante capire se fosse possibile ottenere lo stesso tipo di risposta nel paziente parkinsoniano. Questo permetterebbe di riuscire a sfruttare l’effetto neuroprotettivo del BDNF sul cervello patologico. Purtroppo studi sp
Dettagli
A.A. 2019-2020
34 pagine
SSD Scienze biologiche BIO/18 Genetica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gabriele.pagani1997 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Genetica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Brescia o del prof Radeghieri Annalisa.