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Raffaello. La lancia spezzata era segno dell’irrevocabilità del legame; qui assume
anche il carattere di una castità che sta per essere perduta, come dimostra il fatto
che la lancia punti verso il pube della sposa. Alle spalle della protagonista è appeso
un dipinto nel dipinto, che la ritrae quasi identica, ma in un paesaggio naturale, e
senza le figure di contorno. In basso a destra compare una figura verdastra che
sembra asciugarsi le lacrime. Ha quattro seni, il ventre gonfio della maternità,
genitali maschili e piedi palmati: un idolo della fertilità, probabilmente ispirato a
statuette votive che Ernst poteva avere visto durante un viaggio in Estremo Oriente
nel 1924. L’androgino è simbolo dell’unità tra maschio e femmina. Il dolore per la
colpa che la moralità borghese annette alla sessualità è qui trasfigurato, mutato
nell’inquietudine di dovere cercare una difficile alleanza con l’altro sesso dopo avere
perduto l’unità e l’autosufficienza originaria. Anche in virtù dei possibili contenuti
esoterici connessi alla figura della sposa, l’opera è stata accostata al Grande Vetro
di Duchamp.
● Tradizione e sperimentalismo
Nell’opera si alternano parti a frottage su corteccia (i capelli), dove l’artista
sperimenta una tecnica ancora estremamente rara in pittura, e parti stese con un
pennello morbido e tratti sottili e uniformi, applicando un procedimento pittorico
tradizionale.
Meret Oppenheim
1) Oggetto (la colazione in pelliccia)
autore: Meret Oppenheim
titolo: Oggetto (La colazione in pelliccia)
data: 1936
tecnica: Tazza, piattino e cucchiaio foderati in pelliccia
dimensioni: diametro 23,7 cm
luogo: New York, Museum of Modern Art
● Libere associazioni.
Seguendo un processo tipico dell’inconscio, molti artisti hanno iniziato a lavorare
secondo il metodo delle libere associazioni, portando a connubi improbabili tra cose
lontane tra loro, ma avvicinate dalla risonanza mentale che hanno in noi.
In Oggetto (La colazione in pelliccia) del 1936, Meret Oppenheim (1913-1985) crea
una tazzina rivestita di pelliccia, nella quale ovviamente è impossibile bere,
contraddicendo uno dei miti della vita borghese, il servizio da caffè. Resta l’idea del
calore che la tazza accoglie e trattiene, ma associato in questo caso a un indumento
da indossare e non a un liquido da bere. La sensazione che ne emerge è di
cortocircuito mentale e di fastidio fisico, poiché immaginare di bere da una superficie
pelosa è dissonante. L’oggetto perde la sua semplicità referenziale e si fa
ambivalente: è repellente, se associato al gusto, ma al tempo stesso attraente, se
associato al tatto, e con sottese allusioni sessuali.
Salvador Dalì
1) La persistenza della memoria
autore: Salvador Dalí
titolo: La persistenza della memoria
data: 1931
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 24x33 cm
luogo: New York, Museum of Modern Art
La persistenza della memoria (1931) mostra un nuovo paesaggio desolato:
probabilmente è Port Lligat, il tratto di costa spagnola dove Dalí scelse di abitare con
Gala dal 1930. La spiaggia e il mare calmo all’orizzonte, però, sono solo un
miraggio: la linea dell’orizzonte alzata all’eccesso ci trattiene in una dimensione più
interna. In questo spazio misterioso l’artista esibisce orologi molli, quasi “liquidi”,
sulla cui consistenza sembra insistere, con un’esplicita allusione a pulsioni di natura
libidica e sessuale; allo stesso tempo i quadranti che si sciolgono sembrano alludere
alla dilatazione del tempo – una sorta di varco temporale – e anche alla sua
impotenza. Uno di essi poggia sull’autoritratto afflosciato, mentre alcune formiche ne
attaccano un altro: l’azione disturbante di insetti o effetti di degenerazione organica,
come putrefazione, liquefazione, corrosione, sono elementi ricorrenti nei dipinti
dell’artista; lo stesso Dalí, con gli amici Buñuel e García Lorca, definiva “putrefactos”,
cioè ‘putrefatti, in disfacimento’, i borghesi contro cui si scagliavano. “Le lancette
dell’orologio – avrebbe scritto l’artista a García Lorca nel 1928 – incominciano ad
avere un valore reale nel momento in cui smettono di indicare le ore dell’orologio e,
perdendo il loro ritmo circolare e la loro missione arbitraria cui la nostra intelligenza
le ha sottomesse (indicare le ore), evadono da quell’orologio per andare a muoversi
nel luogo che corrisponderà al sesso delle briciole di pane”.
Joan Mirò
1) Terra arata
autore: Joan Miró
titolo: Terra arata
data: 1923-1924
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 66x92,7 cm
luogo: New York, Solomon R. Guggenheim Museum
L’eredità dalla prima fase cosiddetta “particolarista”, caratterizzata da una precisione
calligrafica, è evidente nel dipinto Terra arata (1923-1924) che già risente
dell’accostamento al clima surrealista francese, reso esplicito nel coevo Il cacciatore
(o Paesaggio catalano). Nel primo quadro Miró torna sul tema della sua terra di
Catalogna, di cui difendeva l’identità politica e culturale, dipingendo il paesaggio
attorno alla fattoria della famiglia a Montroig. Miró produce un catalogo del
paesaggio catalano e, allo stesso tempo, della gioia di vivere le proprie radici. La
narrazione procede per schemi appoggiandosi a simboli e forme. Dal basso a
sinistra il motivo ondulato evoca i campi arati, su cui si innestano (in uno spazio privo
di profondità, dove ciascun elemento è soprattutto forma geometrica piatta e
semplificata) una pianta grassa che sembra animata e le bandiere simbolo dei Paesi
dove si svolse la vita dell’artista: la Francia, la Spagna, la Catalogna.
2) Il cacciatore (o Paesaggio catalano)
autore: Joan Miró
titolo: Il cacciatore (o Paesaggio catalano)
data: 1923-1924
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 65x100 cm
luogo: New York, Museum of Modern Art
Nel passaggio a Il cacciatore (o Paesaggio catalano) del 1923-1924 riconosciamo
alcuni soggetti del quadro precedente, ma resi attraverso un segno ormai
pienamente surrealista. Il fondo è realizzato con due fasce cromatiche piatte, a
descrivere un’area che pullula di forme animali o antropomorfe, strutture
geometriche, forme astratte, oggetti animati: la pianta grassa e gesticolante si è
trasformata nella figura del cacciatore, con la testa a triangolo, un orecchio dilatato e
la pipa fumante; di fronte a noi il pesce è ora una grande sardina coi baffi, mentre
sulla destra fluttuano le misteriose lettere “sard”; le bandiere continuano a sventolare
trascinandosi dietro oggetti incomprensibili, tra cui anche una scala che diverrà
motivo costante nei dipinti di Miró. L’effetto generale è di innocente, vitale allegria,
una cifra costante di Miró che si differenzia così dalle inquietudini di altri Surrealisti.
Nel 1924 l’artista aderisce al Surrealismo firmando il primo Manifesto: “da quel
momento – scrisse Breton – la sua produzione testimonia una libertà mai superata”.
3) Da la nascita del mondo ai Blu
Pur sperimentando prevalentemente una giustapposizione fitta e apparentemente
caotica di forme che pullulano nello spazio (spesso definita “stenografia”), fin dal
1925 Miró concepì anche grandi dipinti in cui poche zone di colore, come organismi
vitali, vagano in uno spazio sconfinato.
● Un nuovo inizio (La nascita del mondo)
autore: Joan Miró
titolo: La nascita del mondo
data: 1925
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 250,8x200 cm
luogo: New York, Museum of Modern Art
La nascita del mondo (1925) è anche la nascita di questa nuova visione pittorica: lo
sfondo diventa uno spazio primordiale in cui le forme sono inserite con precisione, i
due cerchi fluttuanti, posti in diagonale, si equilibrano nei toni del bianco e del rosso,
cui fanno da contrappunto sagome nere e appuntite. Geometria e casualità, calcolo
e indeterminatezza si combinano nel dipinto. In questa, come in altre opere, Miró
associa la visione della creazione artistica a quella della creazione dell’universo. Il
colore del fondo è in parte a pennello, in parte sgocciolato, in parte sparso con uno
straccio: è l’avvio di un cammino che spingerà Miró, verso tecniche e forme non
convenzionali.
● La serie dei blu (Blu I, Blu II, Blu III)
autore: Joan Miró
titolo: Blu I, Blu II, Blu III
data: 1961
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 270x355 cm / 268x349 cm Blu III
luogo: Parigi, Centre Pompidou
Circa quaranta anni dopo l’artista lavorò a una serie di tre quadri dedicati al colore
blu (1961). Tele immense, veri e propri oceani di pittura, dove rare forme curve e
allungate galleggiano instabili, come note musicali. Il blu, definito il “colore del
sogno” da Miró, evoca uno spazio immateriale, infinito, e dunque, al tempo stesso,
onirico e spirituale, come già in Kandinskij. Miró elimina ogni linea di contorno,
facendo venir meno, così, anche ogni nozione di confine o di limite, e instaura un
rapporto intrigante tra il fondo e le macchie di colore.
René Magritte
1) Prospettiva I: D’après Madame Récamier
autore:René Magritte
titolo: Prospettiva I: D’après Madame Récamier di David
data: 1951
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 60,5x80,5 cm
luogo: Ottawa, National Gallery of Canada.
Al tema della morte, e in generale alla transitorietà di ogni gioia e di ogni bellezza,
rinvia la serie Prospettive (inizio degli anni Cinquanta), dove Magritte riprende celebri
dipinti della tradizione pittorica francese sostituendo le protagoniste con delle bare.
In Prospettiva I: D’après Madame Récamier di David, ispirato al celebre Madame
Récamier dell’artista neoclassico, la composizione e gli oggetti sono identici al
dipinto originale, ma della giovane aggraziata e leggiadra morbidamente stesa sul
divano non rimane che il ricordo, suggerito dal lenzuolo bianco su cui ora poggia
solida e ironica la bara.
2) L’impero delle luci
autore: René Magritte
titolo: L’impero delle luci
data: 1954
tecnica: Olio su tela
dimensioni: 146x114 cm
luogo: Bruxelles, Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique
● Far urlare gli oggetti familiari
L’intenzione dichiarata da Magritte era quella di “far urlare il più possibile gli oggetti
familiari”, secondo una strategia precisa di alterazione delle immagini che mirava a
sconvolgere l&rsquo