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CAPITOLO 5: PROPRIETA' E CONTRATTO

1. L'antico regime: il pianeta giuridico delle proprietà. Nell'antico regime, il problema della appropriazione e dell'appartenenza di un bene si risolve all'interno di una dimensione esclusivamente economica, ossia con finalità economiche. In quest'ottica, le attenzioni dell'ordinamento giuridico sono rivolte più alla cosa che al soggetto, essendo la cosa la primordiale entità produttiva.

Teoria e prassi medievale sono dominate dalla tutela della produzione, tesa a valorizzare al massimo il soggetto produttore anche a costo di comprimere i diritti del titolare formale. Il proprietario, quindi, si vedeva affiancato da quel concessionario munito di effettiva economicità: questa prassi diventa nel XII secolo la teoria del dominio diviso, ossia sullo stesso bene possono coesistere un dominio utile e un dominio diretto. Essa sopravvive e viene recepita anche nell'età dello Stato giurisdizionale.

2.

L'età nuova: il pianeta giuridico della proprietà. L'individualismo post-rivoluzionario sottopone il problema della proprietà ad una revisione fondamentale. La proprietà individuale ha una valenza tutta nuova ed è una realtà che va difesa ad ogni costo, sia dagli altri proprietari, sia dal potere politico. La proprietà non è più solo strumento di ricchezza, ma vero e proprio presidio della libertà del soggetto. Essa è divenuta sacra. Anche a livello giuridico arrivano le conseguenze: con la cancellazione del vecchio assetto fondiario, ha anche fine la divisione della proprietà, vista come residuo insopportabile dell'età medievale, e se ne riafferma l'unicità e solitarietà. La nuova proprietà è collocata quale colonna portante della codificazione napoleonica del 1804. Il codice civile, avente valenza costituzionale, vi ruota nella sua sistematicità: se

Il primo libro è dedicato alle persone quali proprietari, il secondo e il terzo si rivolgono alla proprietà e a quegli istituti che ne consentono la circolazione, a partire dal contratto.

3. Il postmoderno e la riscoperta delle proprietà. Come abbiamo visto, la proprietà moderna appare come individuale e altamente potestativa perché dimensione della libertà del singolo. Anche se nasce dal presupposto della proprietà fondiaria, tende all'astrattezza. Nel passaggio sociale ed economico fra 800 e 900, però, emergono forze che incrinano e svuotano il modello codicistico della proprietà. Dietro le grosse lotte sociali e le sempre maggiori pretese del proletariato, lo Stato (in tutta Europa) deve registrare dei cedimenti. Si fa quindi strada una legislazione speciale in cui le suddette istanze sociali hanno recezione e vengono assorbite all'interno dell'ordine giuridico. Esse pongono dei limiti ai poteri del proprietario.

Accanto ai suoi diritti nascono anche dei doveri. La più sensibile dottrina giuridica chiede che si cambi angolo di osservazione moderno: occorre costruire una proprietà partendo non dal soggetto, ma dalla cosa. Con una conseguenza importante, ossia che la cosa non è più entità astratta, ma reale e differenziata: un fondo rustico differisce da uno agrario, una miniera differisce da un lago. Quindi, è impensabile pensare di sottoporre cose diverse tra di loro con un regime unitario di appartenenza. Non si può quindi che arrivare a costruire tante proprietà quanti sono gli statuti diversi delle cose.

Dai contratti al contratto. Anche per questo istituto assistiamo ad una trasformazione storico-giuridica a fine Settecento, a cavallo fra antico e nuovo regime. Nella vecchia età si parlava di contratti per indicare che il libero consenso dei singoli non era di per sé bastevole per produrre effetti giuridici, ma deve canalizzarsi in

alcuni schemi operativi proposti dall'ordinamento: la compravendita, la locazione il deposito, ecc... l'ordine giuridico esercita una sorta di controllo sulle volontà individuali, offrendo schemi operativi prefabbricati. La nuova mentalità moderna valorizza invece la volontà del singolo e la sua proiezione esterna, ossia la proprietà, e valorizza quindi il consenso senza curarsi delle forme preconfezionate. Non ha più rilievo la scelta di questa o quella forma. Ciò non vuol dire che non continuano ad essere offerti ai privati i suddetti tipi di schema contrattuale, ma adesso vi è una categoria generale che riconosce e premia il consenso, IL contratto, contenitore generico che raccoglie tutte le manifestazioni consensuali dei privati, con due soli limiti imposti dallo Stato: la tutela dell'ordine pubblico e del buon costume. 5. Contratti individuali, contratti tipo, contratti collettivi. Come è avvenuto per la proprietà,anche in merito a questo istituto inciderà l'avvento del Novecento, secolo che presenta due fatti nuovi di enorme rilievo.
  1. Alla vecchia società elitaria si va lentamente sostituendo una società di massa, e quindi vacilla il protagonismo di quegli strumenti concepiti come astratti. Non è che il contratto individuale si è messo da parte, ma gli si affiancano strumenti pensati per una massa generica e indefinita di affari e persone: è il caso dei contratti-tipo, consistenti in formulari approvati da associazioni sindacali e di categoria. In queste fattispecie assistiamo ad un cospicuo processo di personalizzazione, così come cospicua è l'attenuazione della spontaneità del consenso.
  2. Il secondo fatto rilevante è la massiccia presenza di organismi collettivi che pretendono di far valere come collettività quegli interessi dei più deboli che a livello individuale erano destinati al massacro sociale ed

economico. Questi organismi (principalmente i sindacati) pretendono di stipulare veri e propri contratti collettivi, strumenti che esprimono la volontà e gli interessi di una categoria prescindendo dal consenso dei singoli appartenenti, anzi vincolandoli.

CAPITOLO 6: LAVORO E IMPRESA

1. Società industriale e silenzio della legge. Per quasi tutto il XIX secolo, lavoro e impresa restano dimensioni programmaticamente separate. Non sono leggi e codici a imporne la separazione, ma l'intera mentalità giuridica del secolo che si presenta più attenta all'astratta proclama del diritto che alla ricerca delle sue funzioni e alla verifica delle modalità di esercizio. Il lavoro diviene quindi per il giurista fenomeno da osservare soltanto attraverso il contratto individuale, che taceva riguardo all'effettività del rapporto e ignorava l'organizzazione entro cui il lavoro si svolgeva.

1.1. Libertà e regole per la società industriale.

La distruzione dei corpi intermedi operata dalla Rivoluzione, è perseguita politicamente per realizzare una contrapposizione tra individui e Stato, tra interessi particolari e interesse generale. Qualsiasi emersione di interessi ultra-individuali si presenta come minaccia per il nuovo assetto costituzionale, un pericoloso ritorno al passato: la libertà è circoscritta e negata ai gruppi, alle associazioni, agli interessi collettivi, al mutuo soccorso. Il solo richiamo alla libertà individuale ricompone l'organizzazione sociale: contrastando i privilegi corporativi, il solo lavoro prospetta un assetto economico caratterizzato da singoli produttori, promuove un'immensa classe di proprietari medi e produttori indipendenti. Incontro di volontà libere, il contratto è al centro di questa organizzazione sociale. Un breve cenno (3 articoli) al contratto individuale assorbe l'intera rappresentazione del lavoro dipendente: si tace.sia possibile stabilire liberamente il salario e le modalità di prestazione del lavoro. Tuttavia, questa libertà non tiene conto del lavoro nell'industria. La legge rimane silente sulla realtà del mondo economico, proponendo questa mancanza come una logica conseguenza di una libertà conquistata che non impone nulla oltre alla sua difesa. Il nuovo sistema normativo dell'Ottocento, oltre a trascurare il lavoro, ignora l'intero processo di produzione. Quando il codice del commercio parla di impresa, si limita a considerarla come un'attività di commercio. L'imprenditore è semplicemente un commerciante dedito allo scambio. L'affermarsi del capitalismo industriale si pone in contrasto con questa visione della società, ma ne trae innegabili vantaggi. Il vuoto normativo determinato dal rinvio alla semplice volontà dei privati fa sì che, dopo il libero contratto,

L'organizzazione e la disciplina delle fabbriche sono affidate alla volontà dell'imprenditore. Il lavoratore deve sottostare a una vera e propria "dittatura contrattuale" riguardo alla prestazione, alla sua durata e al suo scioglimento. La legge pare quindi ricca di asimmetrie che infrangono il presunto equilibrio contrattuale: il codice napoleonico ritiene che le condizioni di lavoro siano provate dalle affermazioni del datore e che le controversie si risolvano facendo riferimento a quanto da lui detto; ancora, il codice penale inasprisce le sanzioni nei confronti di chi si organizza in coalizioni operaie. La scienza giuridica del XIX secolo non si oppone a questo assetto normativo, anzi lo sostiene, rifiutando di contaminare il diritto con valutazioni sociali ed economiche. La legge è quindi un'arma posta nelle mani dei più forti, palese è la sua indifferenza verso i problemi sociali.

Impresa come atto di commercio. La

regolamentazione organica del traffico commerciale fornita cercando di stabilire un equilibrio tra regole speciali e principi guida cui non si intende rinunciare (libertà di mestieri e professioni, unitarietà del soggetto di diritto). Il codice di commercio francese del 1807 stabilisce l'abbandono della figura unica del commerciante (si rifiuta l'idea di un diritto rivolto ad una "classe privilegiata") e collega la disciplina del codice commerciale e la giurisdizione commerciale agli atti di commercio da chiunque compiuti. Il codice accenna soltanto all'impresa e si concentra più che altro sul momento dello scambio, dell'intermediazione, facendo riferimento ad una società popolata da piccoli produttori, non da grandi industrie. Il concetto di impresa emerge in modo complementare rispetto a quello di commercio. Imprenditore è colui che realizza, attraverso uno scambio, una speculazione, interponendosi trai fattori delladere l'uso di tag html per formattare il testo fornito. Ecco come potrebbe apparire il testo formattato:

produzione (in primis il lavoro) e i beni da collocare sul mercato, il loro prezzo. In questo quadro povero di richiami a riguardo, linea di tendenza è quella di estendere l'uso di tag html per formattare il testo fornito.

Dettagli
A.A. 2022-2023
43 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Peppecangemi98 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia del diritto pubblico e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof Pace Giacomo.