NELLO SPAZIOTEMPO DEL SISTEMAàSUPERAMENTO DELLE VICISSITUDINI DELLA
NASCITAàPROCESSO STORICO SECONDO RITMI CICLICIà AVVICINAMENTO AGLI ASINTOTIàCRISI
SISTEMICA| Spesso si usa il termine crisi in modo impreciso, indicando così, una qualunque complicanza
sorta nel sistema, ma, di fatto ogni complicanza risolvibile, rimane soltanto un semplice periodo di
complicanza sorta nel sistema. Con ciò possiamo dire che le crisi sono quelle difficoltà che non possono
essere risolte nel quadro dell’insieme ma, solo uscendo dall’intero sistema-storico. Usando un
linguaggio tecnico delle scienze naturali possiamo dire che il sistema biforca, trova cioè che le sue equazioni
di base possono risolversi in due modi diversi. Quindi, il sistema si trova di fronte a due soluzioni
alternative alla crisi, entrambe intrinsecamente possibili. I membri del sistema sono chiamati a decidere
quale dei percorsi alternativi seguire, con ciò si decide quale tipo di nuovo sistema sarà costruito. Dal
momento che il sistema esistente non può più funzionare, scegliere come uscirne significa scegliere il
sistema futuro da costruire inevitabilmente. Capire quale sarà la scelta della collettività dei partecipanti è
impossibile dato che il processo di biforcazione è caotico. In queste situazioni, il sistema tende ad
oscillare. Alla fine, però, propenderà per una direzione. C’è bisogno di tempo per poter concludere il
processo, possiamo definirlo periodo di transizione, i cui esiti sono molto incerti. A un certo punto, il
risultato diventa chiaro e ci si ritrova collocati in un sistema storico differente. Attualmente, il sistema
mondo moderno attraversa una crisi di questo genere. Questo periodo può protrarsi per almeno altri 25-50
anni. Chiaramente, le nostre aspettative di breve termine risultano essere necessariamente assai incerte.
Questa incertezza provoca inquietudine e perfino violenza, dal momento in cui, ogni individuo vuole
proteggere i suoi privilegi e le loro situazioni gerarchiche, ciò può condurre a conflitti sociali molto spiacevoli.
Nel discorso scientifico è molto discusso l’origine della crisi e tutti quei processi che lo hanno provocato. È
plausibile far risalire la genesi di questa crisi sistemica alla rivoluzione mondiale del 1968, che ha
considerevolmente scosso la struttura del sistema-mondo. Questa rivoluzione mondiale segnò la fine di
un lungo periodo di supremazia dell’ideologia liberale disarticolando così, la geocultura che aveva
mantenuto intatte le istituzioni politiche del sistema mondo, scardinando le basi dell’economia-mondo
esponendola allo shock culturale e politico. Lo shock del 1968 non è sufficiente a spiegare una crisi del
sistema, devono esserci stati delle tendenze secolari che stavano raggiungendo gli asintoti. Nella loro
incessante accumulazione di capitale, i capitalisti cercano continuamente di aumentare i prezzi di vendita e
di ridurre i costi di produzione. I produttori però non possono aumentare i prezzi di vendita
arbitrariamente senza limiti, essi sono vincolati da due fattori. Il primo è l’esistenza dei venditori
concorrenti, per questo motivo la creazione di oligopoli è essenziale. Il secondo fattore è la domanda
effettiva basata sulla quantità di denaro di cui ciascun compratore dispone e delle scelte dei consumatori,
ciò significa che il secondo limite riguarda ciò che viene comprato in virtù del potere d’acquisto dei
consumatori. Il livello della domanda effettiva è quindi influenzato innanzitutto dalla distribuzione del reddito.
Questa semplice considerazione pone i capitalisti dinanzi a un dilemma costante e intrinseco. Da un lato,
vogliono il maggior profitto possibile e dunque vogliono diminuire considerevolmente il plusvalore ad altri
destinatari (es. dipendenti). D’altro lato alcuni capitalisti devono acconsentire a una certa ridistribuzione del
plusvalore prodotto, altrimenti diminuirebbe la domanda effettiva. Dato un certo livello della domanda
effettiva, le scelte dei consumatori sono determinate dall’elasticità della domanda. Questo concetto si
riferisce al valore che ogni compratore attribuisce a usi alternativi del suo denaro. Agli occhi del
consumatore, gli acquisti sono tutti uguali: si parte dagli indispensabili a quelli facoltativi. I venditori possono
avere solo un impatto limitato sull’elasticità della domanda, sebben il marketing è pensato per influenzare il
consumatore. La conseguenza finale per i venditori è che questi non possono aumentare il prezzo ai
livelli in cui: i concorrenti possono vendere a prezzi inferiori; i compratori non dispongano del denaro per
acquistare il prodotto; i compratori non siano disposti a destinare un certo ammontare di denaro per un
determinato prodotto. Dato il limite massimo dei pressi, i produttori cercano di optare per decisioni diverse
che riescano a ridurre i costi di produzione, questo processo prende il nome di efficienza di produzione. Per
comprendere cosa stia accadendo al sistema-mondo moderno, bisognerebbe comprendere come si è
verificata una crescente compressione del saggio medio dei profitti su scala mondiale. Ciascun produttore
deve sostenere tre principali costi di produzione: retribuire i dipendenti, acquistare gli input del processo
di produzione e deve pagare le tasse. Possono esservi leggi che stabiliscano il livello medio di salario, ma
sicuramente vi sono dei salari tipici in ogni dato tempo e luogo. Fondamentalmente, il produttore vorrebbe
quasi sempre offrire un ammontare inferiore a quello che i lavoratori dipendenti vorrebbero ricevere. Su
questo argomento produttore e lavoratore negoziano e lottano costantemente e ripetutamente. L’esito di tali
negoziati dipende dalla forza (economica, politica e culturale) delle rispettive parti. I lavoratori dipendenti
possono conquistare un maggior potere contrattuale perché possiedono competenze rare, oppure, possono
diventare più forti organizzandosi in azioni sindacali. Ciò vale non solo per i lavoratori impegnati nella
produzione ma anche per il personale dirigente. Ciò rappresenta solo la componente interna, ma, esiste
anche una componente esterna. La condizione complessiva dell’economia a livello locale e mondiale
determina il livello di disoccupazione e dunque determina anche quanto ognuna delle due parti di ciascuna
unità produttiva sia ansiosa di giungere a un accordo sulla distribuzione. La forza politica, quindi, è una
combinazione di apparato e accordi politici all’interno della struttura statale, di forza dei gruppi sindacali
e della misura in cui i datori di lavoro hanno bisogno di assicurarsi il sostegno della classe dirigente per far
fronte alle rivendicazioni dei lavoratori. Ciò che si intende per forza culturale è il risultato della forza
politica antecedente. In generale, in ogni settore produttivo il potere sindacale tenderà ad aumentare nel
tempo per mezzo dell’organizzazione e dell’istruzione. Ugualmente, i datori di lavoro cercheranno,
tramite anche il potere politico, di ricorrere a misure repressive, le quali, ugualmente presenteranno dei
costi (si può: tasse più alte, retribuzioni più alte per i quadri, necessità di assumere e pagare personale
addetto alla repressione. Se si guarda ai processi di produzioni più remunerativi, le imprese non vogliono
più sprecare tempo di produzione a causa del malcontento dei lavoratori. Di conseguenza, in tali imprese
i costi di remunerazione aumentano, tuttavia, prima o poi queste stesse unità produttive si troveranno a
fronteggiare una crescente concorrenza, con ciò, saranno obbligati a frenare gli aumenti del presso e
ricevere minori saggi di profitto. L’unico rimedio significativo alla strisciante crescita dei costi di retribuzione è
il runaways factories. Si tratta, semplicemente, di delocalizzare i processi di produzione o una parte di
essi in luoghi in cui i livelli di salari sono legalmente e tradizionalmente minori. Qui, ai lavoratori bastano
salari nettamente minori. Naturalmente vi sono delle controindicazioni. Innanzitutto, i costi di trasferimento.
Questo è peggiorato dalla maggiore distanza tra processo di produzione e luogo della vendita, della debolezza
delle infrastrutture, e, chiaramente dal maggior livello di corruzione. Il compromesso tra costi di retribuzioni e
costi di trasferimento ha un andamento ciclico. I costi della transizione tendono ad assumere l’aspetto in
cui ha maggior attenzione in periodi di espansione politica (fase-A Kondratiev) mentre i costi di
retribuzione in periodi di stagnazione (fase-B Kondratiev). Bisogna però chiedersi anche perché esistano
luoghi in cui sono possibili salari inferiori. La ragione potrebbe rimandare alla dimensione della popolazione
non-urbana. Ciò significa che, in un dato paese o regione, una rilevane se non maggiore parte della
popolazione è, parzialmente o ampiamente, estranea all’economia salariale. Per queste persone, la
possibilità di un lavoro salariato nelle aree urbane rappresenta un significativo aumento del reddito
dell’aggregato domestico. In quelle regioni i paesi sono più bassi non solo per l’assenza di manodopera
specializzata, ma anche per i quadri (coloro che non sono né imprenditori o datori di lavoro ma neanche
appartengono alla sfera più bassa). Nell zone periferiche, i prezzi sono più bassi, le condizioni di vita meno
favorevoli, dunque, i salari dei quadri sono inferiori rispetto agli standard delle aree centrali. Il problema è che
le rispettive forze politiche dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti non sono immutabili nel tempo ma si
evolvono. Dunque, se all’inizio i lavoratori dipendenti hanno difficoltà a immettersi nel tessuto sociale
cittadino, ciò non sarà per sempre ed essi supereranno questa loro ignoranza; perciò, nel tempo avranno
preso coscienza del livello basso di redistribuzione. Così i lavoratori si organizzeranno e inizieranno a
rivendicare remunerazioni più alte. Le imprese, in questo caso possono riappellarsi alla runaway
factories. Tuttavia, col tempo, sono notevolmente ridotte le regioni in cui è possibile realizzare questa
soluzione. Perlopiù grazie alla delocalizzazione, il mondo è stato deruralizzato. Quando non vi saranno più
regioni nelle quali le fabbriche potranno fuggire, non vi sarà più modo di ridurre in modo significativo i
costi di ridistribuzione. Quello della costante crescita non è il solo problema che i produttori cercano di
risolvere.
Il secondo è il costo degli input, intendendo sia i macchinari che le materie prime. Il produttore acquista
sul mercato e paga le materie prime al prezzo dovuto. Ma vi sono tre costi nascosti che i produttori non
sostengono necessariamente. Questi sono i costi dello smaltimento dei rifiuti, i costi di rinnovamento
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