NEIDE
Introduzione
L’Eneide è un poema epico latino, che segue le vicende del troiano Enea, subito dopo
la guerra di Troia portata dagli Achei nell’Iliade. Vi sono 12 libri, non conclusi, scritti
in esametri in latino, dove i primi 6 sono del viaggio che Enea fa dalla città caduta, al
Lazio (rimando all’Odissea) e gli ultimi sono di guerra (rimando all’Iliade).
E’ un poema celebrativo che Virgilio, poeta nato del 70 a.C. che aveva vissuto le
guerre civili, appartenente al gruppo di letterati di Mecenate (un nobile che
finanziava le opere di gusto di Ottaviano e di sé), propone per Ottaviano Augusto, il
quale rappresentava al momento la pace, siccome aveva posto fine alle guerre civili,
sconfiggendo Antonio nella battaglia di Azio nel 31.
Virgilio scrive l’Eneide dopo aver scritto le Bucoliche (opera lirica in esametri), e le
Georgiche (poema didascalico), tutto questo seguendo una gerarchia di opere, dove
la più importante e grandiosa sarebbe stata l’ultima, ovvero il poema epico.
L’Eneide è un aemulatio dei poemi di Omero, ciò significa che non copia
direttamente la trama o il modo di scrivere, ma semplicemente ne prende
ispirazione, e ciò lo si può notare come l'Eneide non sia un poema di guerra, in
quanto Virgilio non si allunghi nelle descrizioni della battaglia. Nell’Iliade, inoltre, la
battaglia viene portata dagli Achei, mentre Enea, arrivato in Lazio, si ritrova
coinvolto senza volerlo; nel primo poema di Omero si vede una città cadere, Troia,
mentre in quello latino due città nascere, Cartagine e Roma. Nell’Odissea Ulisse fa
ritorno verso casa sua, mentre Enea parte e lascia la sua vita per trovarne un’altra
migliore, secondo volere degli dei, e con l’approvazione di Ettore (patria) e Creusa,
sua moglie, (la famiglia).
Virgilio scelse i poemi omerici come ispirazione perché considerava le loro forme
d’arte come superiori ai latini, mentre la politica latina sarebbe rimasta imbattuta.
Enea viene paragonato ad Augusto, per la guerra non voluta che compie nel Lazio a
fine poema, e per la pietas che caratterizza l’eroe troiano, il quale, nonostante gli
avvenimenti, non diventa mai un personaggio tragico (a contrario di Didone).
Trama
Libro 1
Nel libro primo Enea salpa dopo aver assistito alla caduta della città di Troia, assieme
ad un gruppo di compagni, e suo padre Anchise e il figlio Ascanio Iulo. Rimangono in
viaggio per circa 7 anni, fino a quando Giunone, adirata che lui sia ancora vivo, lo fa
naufragare (grazie all’aiuto del dio dei venti, Eolo) sulle coste dell’Africa, vicino
Cartagine.
Enea, per volere degli dei, avrebbe dovuto portare i dei Penati (quelli delle tradizioni)
in Lazio, ma Giunone, ancora adirata per la gara del pomo dorato (inizio Iliade,
concorso di bellezza delle tre dee, vince Afrodite), cerca di andare contro le Moire
(dee che tessono il destino, nonostante sia impossibile) sabotando il viaggio del
troiano. Alla fine la madre degli dei abbandonerà questo ideale, lasciandosi
convincere da Giove e scegliendo lei stessa il nome della città che verrà fondata poi
da Enea, Roma.
Il libro si conclude con il semidio che approda sulle coste in modo salvo grazie a
Nettuno, la madre, vestita da cacciatrice lo informa del regno di Cartagine e della sua
regina, mentre Mercurio avverte direttamente il popolo e Didone. Quando i due si
incontrano, lei allestisce un banchetto per i naufraghi ed Enea comincia a raccontare
della sua storia in mare.
Libro 2-3
I libri 2 e 3 prevedono il racconto della caduta di Troia (Iliade) e il viaggio che il
troiano fa in mare (Odissea).
Il secondo inizia con l’inganno del cavallo di Troia, le profezie di Cassandra e di
Laocoonte, della distruzione della città e della fuga col padre Anchise.
Parla inoltre della morte di re Priamo, il quale si vestì l’ultima volta per combattere,
l’immagine ormai ridicola per la sua età, mentre prova a salvare suo figlio Polite, e la
famiglia che gli rimane (alcune figlie ed Ecuba, la moglie); la donna prova a fermarlo
(Andromaca con Ettore) ma lui impugna l’arma arrugginita e sfida Pirro Neottolemo,
figlio di Achille, che fa tremare le donne quando uccide Polite davanti a loro senza
scrupoli (le fa sembrare colombe nella tempesta, canto V di Dante), e alla fine viene
trafitto dalla lancia del giovane, dopo un tentativo patetico di lanciare la sua arma,
senza che questa vada lontano.
A questo episodio sussegue l’apparizione in sogno di Ettore ad Enea, il quale gli dice
che deve prendere gli dei Penati e portarli in un luogo (che verrà rivelato a Creta)
destinato a fiorire in una potente civiltà. Appare in sogno anche la moglie Creusa, la
quale aveva ordinato ad Enea di andarsene poiché sapeva che il marito era destinato
a grantrdi cose, e lo rassicura che può lasciarla andare in pace.
Il terzo libro racconta del viaggio che fa per l'Egeo e parte del Mediterraneo, a come
una misinterpretazione dell'oracolo lo avesse portato a Creta, e come alla fine sia
giunto a Cartagine.
In quel libro vengono raccontate la fine di troia da parte di Ecuba, moglie di re
Priamo, e la morte di Anchise a Drepano.
Libro 4
Il libro 4 riprende il racconto dal banchetto, in cui Venere, determinata a salvare suo
figlio, pensa ad un modo per farlo rimanere là a Cartagine. La dea manda suo figlio
Cupido a prendere il posto di Ascanio Iulo, che era sulla ginocchia di Didone, e nel
mentre Enea parla il dio ora bambino, scocca la freccia che fa innamorare
perdutamente la donna del troiano. La regina, terminato il racconto dell’eroe sente la
passione riemergere e ne parla con la sorella Anna, la quale la rassicura che il voto di
fedeltà che ha fatto a suo marito Sicheo sulla tomba, può essere infranto per due
motivi.
Il primo motivo riguarda il fatto che la donna abbia già rifiutato innumerevoli
pretendenti, tra cui Iarba (il quale verrà in futuro a scoprire del fidanzamento di lei
con Enea attraverso la Fama), poiché ingraditi, ma questo le piaceva e ora il regno
aveva bisogno di una figura maschile. -ragione di Stato.
Il secondo motivo prevedeva che comunque a lei il troiano piacesse, quindi non vi era
nulla di male; viene quindi organizzata una battuta di caccia in onore degli eroi.
Durante la caccia viene scatenata una tempesta da Giunone ed Eolo, Ascanio Iulo
viene portato in salvo da Afrodite stessa in una grotta, mentre Enea e Didone si
trovano sotto lo stesso porticato a pararsi, e scoppia l’amore, seppur con presagi di
morte. Il troiano finirà per rimanere là per diversi mesi, e il loro fidanzamento farà
tanto scalpore, così tanto da giungere a Iarba; ad un certo punto, però, Giove si
risveglia e nota che Enea non sta seguendo i suoi piani di conquistare il Lazio,
pertanto manda Mercurio a ricordare al troiano quale sia il suo vero compito.
Enea comprende e decide di partire, in segreto, e chiama a sé i suoi compagni, non
pensando nemmeno di confrontare la regina, a cui è arrivata la notizia. Lei lo accusa
di essere abominevole, ma lui si scusa dicendo che fosse la pietas a farlo muovere; lei
non batte ciglio e lo accusa di non essere mezzo divino ma figlio di animali, ed in
tutto il suo monologo maledice anche sé stessa per essersi lasciata ingannare, e alla
fine manda la profezia di Cartagine che attaccherà Roma (maledice anche la sua
stirpe, quindi previsione alle Guerre Puniche).
Lei si ritira nelle sue stanze, disperata ed è presa dalla vergogna e dall’orgoglio,
indecisa se sposare uno degli altri pretendenti oppure supplicare Enea di portarla
con sé; alla fine pensa anche di smuovere una flotta contro il troiano, ma la vergogna
vince su di lei e decide di togliersi la vita, con la sorella e la balia che, invano, provano
a fermarla. Continua a maledirlo per tutto il tempo, maledicendo anche la sua stirpe
futura, chiede alla balia di chiamare una maga per bruciare ogni cosa appartenente
ad Enea nel palazzo, ma quando giunge nelle stanze di lui, nota le lenzuola (che
maledice) e la sua spada, su cui ci si fionda in un atto disperato.
Vengono accesi dei fuochi celebrativi in tutta Cartagine, ed il fumo e le fiamme
possono essere visti da lontano, tant’è che Enea comprende che Didone si è uccisa a
causa sua.
Libro 5
Prosegue il viaggio per il Mediterraneo e si giunge in Italia, dove non molto lontano
dalla tomba del padre, Enea chiede di fare giochi e feste; qui colpisce Giunone, che
inganna delle donne troiane, e fa bruciare loro alcune delle navi.
Alla fine l’incendio viene domato a fatica, ed Enea è indeciso se fermarsi e fondare il
regno ad Acesta, ed una parte della truppa comunque si stabilisce là. Giunge, dopo,
dagli inferi grazie ad una sibilla, Anchise per portare Enea nel regno dei morti e
mostrargli il futuro.
Libro 6-7
Enea prosegue il suo viaggio dalla Sicilia, e arriva a cuma, dove incontra la sibilla
Deifobe. La creatura gli preannuncia che ci saranno nuove guerre e che un nuovo
Achille dovrà essere sconfitto. Dopo di questo lo conduce nell’oltretomba
all’Acheronte, il fiume infernale che accoglie le anime in pena dei morti insepolti.
Superato Cerbero, incontrano i Troiani morti in guerra; alcuni sono anime di eroi,
altri anime dei suicidi per amore e, tra loro, Enea trova la regina Didone.
Negli inferi Enea ha un incontro con Didone, e lì, in lacrime, finalmente le chiede
scusa per ciò che ha fatto, e si maledice per averle rovinato la vita ed averla portata
alla morte; il fantasma di lei non si volta mai, ma anzi corre in un bosco fitto dove si
ricongiunge col suo grande amore Sicheo.
Dato che Virgilio credeva che le anime esistessero prima dell’incarnazione, Enea nei
campi Elisi, incontrerà tutta la stirpe romana, tanto è che persino suo padre lo
chiama Romano e non più Troiano. Prova anche ad abbracciare suo padre, ma lo
trapassa poiché questi è un’ombra (Dante nell’antipurgatorio).
Padre e figlio proseguono fino ad arrivare in una zona dove ci sono numerose anime,
e là vengono elencati i personaggi che renderanno Roma grande; Anchise parte da
Romolo, poi rompe la catena cronologica e nomina Cesare ed Augusto (colui che
riporterà Roma ai tempi dell’oro), per poi continuare in ordine. Qua si ferma su
un’anima la quale aura era particolarmente triste, Marcello, il nipote di Augusto che
morirà giovane; quando Enea chiede il perché lui sia così infelice, il padre gli rivela
che gli dei, invidiosi della troppa felicità degli uomini, non avrebbero potuto lasciarlo