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Allora in verità un terrore nuovo si insinuava nei petti atterriti a tutti, e dicono che Laocoonte
meritando(lo) aveva pagato il delitto, (egli) che aveva offeso colla lancia la quercia (il cavallo) sacra e
aveva scagliato nel dorso l’asta scellerata. Gridano insieme che il simulacro si deve condurre alle sedi e la
potenza della dea si deve supplicare. Abbattiamo (una parte) di muro e apriamo la cinta della città. Tutti
(si) accingono al lavoro e mettono sotto ai piedi dei rulli scorrevoli e adattiamo al collo delle corde si
stoppa. La macchina fatale ascende le mura gravida di armi. All’intorno i fanciulli e le fanciulle non
sposate cantano (inni) sacri e godono di toccare la fine colle mani. Quella s’avanza ed entra minacciosa
nel mezzo della città. Oh patria, Oh Ilio dimora di dei e (voi) mura dei Dardanidi inclite per la guerra!
Quattro volte si fermò sul limitare stesso della porta e quattro volte le armi produssero un suono nel
ventre: persistiamo tuttavia senza pensarvi e ciechi nella (nostra) pazzia e sistemiamo nella rocca sacra il
mostro infausto.
Allora anche Cassandra apre ai destini futuri la bocca non mai creduta dai Teucri pel volere d’un dio: noi
miseri, pei quali quel giorno doveva essere l’ultimo, adorniamo i templi degli dei di ghirlande festive per
(l’intera) città. Il cielo frattanto compie (col suo giro) e la notte s’alza con impeto dall’Oceano
avvolgendolo colla (sua) grande ombra e la terra e il cielo e gli inganni dei Mirmidoni; i Troiani sparsi per
le mura sono silenziosi, un sonno duro occupa le stanche membra.
E già la falange greca moveva sulle navi fornite (di armi) da Tenedo per il silenzio amico della luna tacita
avviandosi a spiagge (ben) conosciute, quando la nave regia aveva innalzato delle fiamme e Sinone
protetto dai fati avversi degli dei apre di nascosto gli sportelli e (libera) i Greci racchiuse nel ventre di
legno. Il cavallo spalancato restituisce quei (guerrieri) all’aria (aperta) e lieti si traggono fuori dalla cava
quercia i duci Tessandro e Stenelo e il feroce Ulisse calando per una fune mandata giù, e Acamante e
toante e il Pelide Neottolemo e Macaone più eminente e Menelao ed Epeo stesso artefice dell’inganno.
Invadono la città sepolta nel sonno e nel vino; le sentinelle sono sopraffatte e per le porte aperte
accolgono tutti i compagni e giungono (con se stessi) le schiere consapevoli. Era l’ora in cui comincia il
primo sonno per gli stanchi mortali e s’insinua graditissimo (in noi) per dono degli dei: (e) tra il sonno
ecco Ettore mestissimo sembrò a me esser presente dinanzi agli occhi e versare molto pianto, e insozzato
di polvere sanguinosa e trapassato (avendo) le briglie attraverso i piedi tumefatti come trascinato una
volta dalla biga (di Achille). Ahimè! In che stato era, quanto mutato da quello Ettore, che ritornò dopo aver
indossato le armi di Achille o dopo aver scagliato contro le poppe dei Greci i fuochi Frigi, avendo la barba
squallida e i capelli attaccati (a causa) del sangue e quelle ferite, che ricevette assai numerose intorno
alle patrie mura!
Io stesso sembravo piangendo per primo rivolgere la parola a (quell’)uomo e pronunciare mesti accenti:
<<Oh luce della Dardania, o speranza sicurissima dei Teucri, quali indugi sì gravi (ti) trattennero? Oh
Ettore da quali regioni vieni (tanto) atteso? Come vediamo te (noi) stanchi, dopo molti funerali dei tuoi,
dopo diversi travagli e degli uomini e della città. Quale cagione indegna deturpò il (tuo) volto sereno? O
perché io vedo queste ferite?>>
Quegli nulla (risponde), né bada a me che gli chiedo cose inutili, ma traendo gravemente dal fondo (del)
petto dei gemiti disse: <<Ahi fuggi o nato da una dea, e strappa te da queste fiamme. Il nemico occupa le
mura, Troia precipita dall’eccelsa altezza. Abbastanza (fu) dato dalla patria e a Priamo: se Pergamo avesse
potuto esser difesa da una mano (mortale) sarebbe stata difesa già da questa (mia). Troia affida a te le
cose sacre e i suoi penati: predi questi (come) compagni dei (tuoi) destini, cerca per essi delle mura, che
erigerai grandi infine dopo aver vagato sul mare. >> Così dice e colle (proprie) mani trae fuori dai segreti
penetrali le bende e (l’effigie della) potente Vestea e il fuoco eterno.
Frattanto le mura sono messe sossopra in diverse parti dal pianto e gli strepiti, quantunque la casa di
Anchise (mio) padre fosse appartata lontana e riparata da alberi, diventano chiari più e più e l’orrendo
(strepito) delle armi s’appressa. Mi scuoto dal sonno e supero salendo la cima del più alto tetto e mi fermo
con le orecchie tese: come quando la fiamma cade tra le biade, i venti infuriando, o un torrente rapido per
le acqua montane devasta i campi, abbatte i lieti seminati e le fatiche dei buoi e trascina le selve a
precipizio; il pastore ignaro (della causa) si stupisce percependo il rumore dalla cima alta di una rupe.
Allora invero la veracità (del sogno) (fu) manifesta e le insidie dei Greci si rivelano chiare. Già la vasta
casa di Deifobo andò in rovina vincendo(la) Vulcano, già (quella di) Ucalegonte vicinissimo arde, l’ampio
(tratto) del mare Sigeo risplende di fuoco. Si leva e uno strepito di uomini e un clangore di trombe. Fuori di
me prendo le armi; né (v’era) sufficiente raziocinio dell’armarmi, ma l’animo è smanioso di raccogliere
una schiera per combattere e correre verso la rocca con i compagni; il furore e l’ira trascinano la (mia)
mente e (mi) sovviene che (è) bello morire in armi.
Ecco pertanto Panto sfuggito ai dardi dei Greci, Panto figlio di Otris, sacerdote della rocca e di Apollo, egli
stesso trae (seco) con le (sue) mani gli (oggetti) sacri e i vinti dei e il piccolo nipote e fuori di sé viene di
corsa alla (mia) casa: <<In che posto (è) il pericolo maggiore oh Panto? Che rocca teniamo?>> Appena
aveva detto questo, che mi rispose gemendo tali cose: <<E’ giunto l’estremo giorno e l’ora fatale della
Dardania. Esistemmo (noi) troiani, esistette Ilio e la grande gloria dei Teucri: Giove crudele ha concesso
tutto ad Argo; i Greci scorazzano nella città incendiata. Il cavallo altissimo ergendosi nel mezzo delle mura
manda fuori armati e Sinone il vincitore semina incendi insolente. Gli altri son presso le porte aperte a due
battenti (tante) migliaia quante (non) ne vennero mai dalla grande Micene; altri hanno occupato luoghi
stretti delle vie con le armi protese; una siepe di armi colla punta corrusca sta sguainata, pronta (a dar)
morte; a mala pena le guardie delle porte per prime tentano di combattere e resistono in una tumultuosa
lotta.>>
Per tali delitti dell’Otride e per volere degli dei son tratto dalle fiamme e tra le armi; dove (mi) chiama la
triste Erinni, lo strepito e il clamore che s’eleva alle stelle. Rifeo e Epito assai grande nelle armi
aggiungonsi (come) compagni trovati per (il chiaro) di luna e si uniscono al nostro fianco e Ipani e
Dimante e il giovane Corebo figlio di Migdone: era venuto per caso a Troia in quei giorni acceso di un
insano amore per Caasandra e (volendo diventare) genero portava aiuto a Priamo e ai Frgi, infelice, che
non aveva ascoltato le raccomandazioni dell’ispirata sposa.
Quando vidi costoro raccolti esser pieni d’ardire in battaglia, comincio nonostante questo: <<Oh giovani,
petti valorosissimi inutilmente, se desiderio risoluto è in voi di osare la prova estrema, voi che vedete
quale sorte sia alle (nostre) cose: tutti gli dei, pei quali questo impero stava saldo, se n’andarono
abbandonati i penetrali e gli altari; e voi recate soccorso ad una città incendiata: moriamo e scagliamoci
nel mezzo delle armi. Una sola salvezza (c’è) per i vinti: (non) sperare nessuna salvezza.>>
Così il furore fu aggiunti negli animi dei giovani. Indi, come lupi rapaci tra un’atra nebbia che un’insana
rabbia del ventre ha spinto fuori alla cieca e i (cui) lupicini abbandonati aspettano colle fauci secche,
(così) andiamo attraverso i dardi, attraverso i nemici a morte non dubbia e teniamo la strada,nel mezzo
della città; l’oscura notte (ci) avvolge con la cava (sua) ombra. Chi potrebbe rappresentare parlando la
strage di quella notte, chi le morti o potrebbe eguagliare le sofferenze con le lacrime? La città antica che
aveva dominato per molti anni rovina; corpi senza vita sono distesi in gran numero qua e là e per le
strade e per le case e le soglie sacre (dei templi) degli dei. Né i soli troiani scontavano le pene col sangue;
talora il valore ritorna anche nel petto ai vinti e i Greci sebbene vincitori cadono. Ovunque lutto atroce,
ovunque spavento e innumerevoli spettacoli di morte.
Per primo Androgeo si fa incontro a noi accompagnandolo una grande schiera di Greci, credendo(ci)
squadre amiche, inconsapevole,e per primo (ci) parla con detti amichevoli: <<Oh uomini affrettatevi.
Infatti quale lentezza così tarda (vi) fa indugiare? Altri depredano e saccheggiano Pergamo incendiata; voi
venite ora appena dalle altre navi?>>
Disse e subito (né infatti gli eran date risposte abbastanza rassicuranti) comprese di essere capitato in
mezzo ai nemici. Rimase stupito e ritrasse indietro il piede con la voce. Come (colui) che appoggiandosi a
terra ha pestato tra i rovi spinosi d’improvviso un serpente e tremante fugge indietro prestamente da
(quello) che solleva la (sua) ira e ingrossa il collo ceruleo: non diversamente Androgeo cercava
d’andarsene spaventato di vedere (noi).
(Li) assaliamo e circondiamo colle armi serrate e abbattiamo qua e là (quelli) ignari del luogo e presi dalla
paura; la fortuna è favorevole alla (nostra) prima fatica. E allora Corebo esultante pel successo e pel
coraggio disse: <<Oh compagni, procediamo per dove la prima fortuna ci indica la strada della salvezza e
per dove si mostra favorevole; cambiamo gli scudi e adattiamo noi stessi le insegne dei Greci. Inganno o
valore, chi richiederà (queste cose) in un nemico? Essi stessi ci daranno le armi. Avendo così parlato
indossa quindi l’elmo chiomato di Androgeo e l’insegna onorevole dello scudo e s’accomoda al fianco la
spada Argiva.
Questo fa Rifeo, questo lo stesso Dimante e tutta la gioventù con entusiasmo; ognuno si arma della
spoglie recenti. Andiamo mescolati ai Greci (avendo) la divinità non dalla nostra e azzuffandoci
attacchiamo molte battaglie durante la notte buia, mandiamo all’Orco molti dei greci. Altri scappano alle
navi e s’avviano di corsa alla spiaggia sicura, parte della turpe paura s’arrampicano di nuovo sul grande
cavallo e si nascondono nel noto ventre. Oimè per niente è lecito che alcuno si fidi (avendo) gli dei
contrari!
Ecco la vergine (figlia) di Priamo Cassandra che trascinata colle chiome sciolte dal tempio e dai penetrali
di Minerva tenendo invano al cielo gli ardenti oc