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CAPITOLO XVII – Antidogmatismo e “filosofia delle lingue”
Posizioni estreme: la polemica illuminista contro il conservatorismo filofiorentino
Fin dal 700 osserviamo una stanca riproposta delle note posizioni relative al primato di Firenze e della lingua toscana:
• Annotazioni di Salvini in cui vengono ribaditi i due vantaggi dei fiorentini, ovvero essere possessori di una lingua
sia per studio, ma prima ancora per diritto di nascita: si continua a rivendicare il primato di Firenze;
• Mannini.
Vediamo che questa situazione genera molta insofferenza e questo lo vediamo per esempio nella Rinunzia avanti notaio
al Vocabolario della Crusca di Alessandro Verri. Questo più che un trattato teorico è un pamphlet in cui si denuncia lo
spazio eccessivo le questioni retoriche e formali avevano avuto nella cultura italiana a discapito di tutti quegli elementi
che, invece, favorivano e permettevano il progresso e quindi una totale svalutazione del dibattito linguistico.
Un’altra rinunzia molto importante è quella di Denina ai Piemontesi, lui asseconda la politica napoleonica, ma mostra
anche la volontà di voler tagliare i ponti con una cultura malata di retorica e di formalismo, i cui difetti sembravano
irrimediabili.
La modernità di vedute: del Saggio sulla filosofia delle lingue di Cesarotti
Il libro più “europeo” della filosofia linguistica dell’illuminismo è il Saggio sulla filosofia delle lingue di Cesarotti,
trattato che viene scritto in un contesto particolare, ovvero, mentre stava tornando in vigore il purismo per cui in molti
lo considerarono troppo aperto ai forestierismi e troppo poco rigido nella difesa dell’italiano. Una delle caratteristiche
principali del trattato è la chiarezza; esso si apre con una serie di enunciazioni teoriche divise in 8 punti:
1. Tutte le lingue nascono e derivano, all’inizio della loro storia sono barbare, ma vediamo che questo concetto non
ha senso nel raffronto tra le lingue, perché in questo contesto tutte le lingue servono bene all’uso della nazione che
ne parla;
2. Nessuna lingua è pura perché tutte nascono dalla composizione di vari elementi, convinzione che lo porta in una
posizione di opposizione con la crusca;
3. Le lingue nascono da una combinazione casuale e non da un progetto iniziale;
4. Nessuna lingua nasce da un ordine prestabilito o da un’autorità, ogni lingua vive e si sviluppa tramite il
consenso dei parlanti: è, dunque, la maggioranza a governare la lingua. Abbiamo quindi la socialità come base della
comunità linguistica, ma ciò che vuole fare lui è anche salvaguardare il ruolo dell’indipendenza degli scrittori, per
cui si prospetta una netta distinzione tra lingua scritta e lingua parlata: gli scrittori sono posti in primo piano, ma ai
grammatici che rappresentano una rigida autorità normativa non spetta alcun potere a priori;
5. Nessuna lingua è perfetta, tutte le lingue possono migliorare;
6. Nessuna lingua è ricca abbastanza da non aver bisogno di nuove ricchezze: si oppone a quelle che erano le
concezioni dei puristi con l’intento di farne cadere le premesse;
7. Nessuna lingua è inalterabile, per ciò non si può pensare di fermare lo sviluppo dell’italiano;
8. Nessuna lingua è parlata in maniera uniforme nella nazione: principio importante per il concetto di varietà
linguistica e dell’autonoma dimensione del parlato.
A questo punto si sofferma sulla distinzione tra lingua scritta e lingua parlata:
o Lingua scritta: secondo lui ha maggiore dignità in quanto è lo strumento con cui operano i dotti. I fondamenti del
suo pensiero relativi alla lingua scritta sono che:
1. Non dipende dal popolo, ma nemmeno dagli scrittori approvati;
2. La lingua non può essere fissata nei modelli di un determinato secolo;
3. La lingua non dipende dal tribunale dei grammatici.
Nella terza parte del saggio, che si lega molto bene con la questione della lingua, traduce in suggerimenti pratici le tesi
da lui esposte proponendo una normativa illuminata da contrapporre a quella della crusca, ma priva degli eccessi del
Caffè. I punti fondamentali sono che:
• Riconosce il valore dell’uso quando accomuna scrittori e popolo, ma quando c’è discordanza bisogna seguire la
miglior ragion sufficiente che non coincide sempre con la maggioranza degli esempi attestati o con le auctoritates
antiche;
• Termini nuovi si possono introdurre per analogia su quelli già esistenti per derivazione o per composizione;
• I dialetti sono subalterni alla lingua toscana e possono essere un’altra possibile fonte nell’introduzione di parole
nella lingua.
Per quanto riguarda i prestiti afferma che possono essere usate parole straniere, ma che ci deve essere fatto con molta
cautela, è molto cauto sull’argomento probabilmente per evitare dissensi troppo aspri. Avvia il discorso dei prestiti dalle
parole latine per poi passare ai grecismi. Su questi ultimi pensa che bisognerebbe ridurne il numero al fine di una
maggiore chiarezza. Muove da qui per parlare poi dei forestierismi provenienti dalle lingue moderne, questi secondo
lui, una volta entrati nell’italiano, possono legittimare nuovi neologismi e nuove traduzioni.
A queste aperte posizioni si collegano anche quelle che riguardano il genio della lingua vediamo che lui afferma di voler
andare aldilà di Codillac, lui propone un duplice concetto di genio:
1. Genio grammaticale: la struttura logico – grammaticale delle lingue che è inalterabile;
2. Genio retorico: riguarda l’espressività e lo stile e non la grammatica fondamentale;
Bipartizione che permette di distinguere ciò che deve essere difeso come inalterabile nella lingua e ciò che può mutare
in relazione all’evoluzione dei tempi e del progresso.
La proposta del “Consiglio nazionale” della lingua
La IV parte del trattato di Cesarotti propone soluzioni per la questione della lingua, lui è convinto che tutti i dialetti una
volta purgati da idiotismi plebei possano contribuire all’arricchimento dell’italiano, idea che ha una sua origine nel
DVE, quindi anche lui si lascia ispirare dalla teoria cortigiana. Inoltre affronta anche il problema del ritrovamento della
lessicografia.
Poiché la lingua è della nazione lui propose di istituire un consiglio nazionale della lingua al posto della crusca con sede
a Firenze di cui avrebbero fatto parte personaggi di più regioni, allargamento del lessico non solo per via libresca ma
anche con ricorso di chi esercitava professioni specifiche, non solo in Toscana ma in tutte le regioni d’Italia. Inoltre si
sarebbe dovuto compilare un vocabolario in 2 forme:
Un’edizione più ampia a scopi scientifici e di studio: vocabolario etimologico, storico, filologico, comparativo;
o Un’edizione più ridotta per l’uso comune con scopo pratico e divulgativo, sarebbe stato compilato in ordine
o alfabetico ai fini di un’ampia consultazione, avrebbe contenuto termini artistici e scientifici purgato da arcaismi;
Lingua primitiva e significato delle “radici”
La seconda parte del Saggio si occupa della genesi del linguaggio, lui sostiene che ci fosse stata una lingua primitiva e
si chiede quanta parte di questa lingua primitiva potesse essere recuperata attraverso il confronto con le lingue già
esistenti. Questo tentativo di recupero è alla base del trattato della formazione meccanica delle lingue nel quale si
affermava che la radice delle parole potesse rivelare qualcosa del referente.
Esempio: radice f rivela fluidità, come in flumen, mentre la radice st fissità come in stare.
Questa teoria può sembrare arbitraria ma il suo interesse nasce dal fatto che le radici di una lingua non sono casuali, ma
sono portatrici di un significato remoto, analogo a tutte le lingue ed ereditato da una lingua primitiva.
Cesarotti distingue poi tra:
• Termini – cifre: parole che sono frutto di una convenzione o che nascono da un moto naturale degli organi fonatori.
Non hanno un legame motivato tra parola e oggetto;
• Termini – figure: parole in cui riconosco la relazione motivata tra suono e oggetto. Racchiudono in sé una speciale
forza espressiva vantaggiosa sul piano estetico.
Cesarotti cerca, quindi, di fondare una sorta di estetica naturale della parola che ci serva per capire meglio le idee di
coloro che vengono definiti come anticipatori.
CAPITOLO XVIII – Ritorno alla tradizione e tentativi di rinnovamento (puristi, classicisti e romantici)
Il francese lingua “nemica”
Il periodo napoleonico è caratterizzato da una forte espansione del francese grazie anche alla forte politica autoritaria.
Il francese, però, era guardato con antipatia da chi si opponeva al progresso napoleonico e all’imperialismo della sua
politica->l’italiano, per ciò viene vista come una bandiera contro l’ideologia rivoluzionaria, era un modo per farsi forti
delle tradizioni nazionali. In questo clima possiamo inquadrare il purismo, il denominatore comune di tutte le forme di
purismo 800esco è da identificare in due caratteri tipici:
1. Antipatia per l’influenza del francese sull’italiano;
2. Il ricorso a modelli linguistici del passato.
Il purismo
I veri puristi si caratterizzarono per la loro rigida chiusura di fronte ad ogni novità. Le pagine puriste di Carlo Gozzi ne
sono un esempio. Ma il vero rappresentante del purismo è il sacerdote veronese Antonio Cesari, il quale tra il 1806 e il
1811 pubblicò una riedizione del Vocabolario della Crusca, la cosiddetta Crusca Veronese. Risale al 1808 l’opera teorica
più importante di Cesari, la Dissertazione Sopra Lo Stato Presente Della Lingua Italiana. Nella Dissertazione le dottrine
puriste trovarono una sistemazione teorica destinata a grande fortuna. Il sistema di Cesari può essere assunto in maniera
esemplare per definire il purismo, per riconoscere in che cosa esso si differenzi dal classicismo, quale sia il suo spessore
culturale e infine quali furono le motivazioni di chi vi aderì. Esso trovò consensi specialmente tra i pedagoghi e gli
educatori. Antonio Cesari fu il più rigoroso sostenitore della necessità di rifarsi integralmente al “Secolo D’Oro”
dell’italiano, il ‘300. Dopo quel secolo la lingua a suo giudizio era andata via perdendo la propria bellezza. Cesari aveva
una visione pessimistica della storia della lingua e della letteratura come se alle magnifiche origini succedesse via via
un peggioramento. Il ‘500 venne giudicato dai puristi e da Cesari una fase di decadenza linguistica.
Classicismo e purismo
Per confrontare classicismo, 500 ,e purismo, 300, possiamo osservare dli scritti di Leopardi, classicista: vediamo che
anche grazie alla crestomazia italiana si sviluppa una grande ammirazione per la prosa del 500 e si pens