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IN PRINCIPIO ERA LA BUSINESS POLICY
È il 1911 quando Shaw, autore ed editore della rivista System: The magazine of
business, assume l’incarico di sviluppare un corso sulle pratiche della gestione
del business, rivolto ai futuri dirigenti d’azienda. Nasce così l’espressione
“business policy”.
La scelta dell’utilizzo del termine “policy” è dettata dall’osservazione di come
ogni manager abbia delle regole e delle pratiche che lo guidano nel suo lavoro,
che derivano dall’accumulo di conoscenza in anni di esperienza.
Lo scopo originale del corso di Business Policy è quindi, quello di presentare
agli studenti una serie di problemi di gestione d’impresa, analizzarli assieme a
manager di grande esperienza e derivare da queste analisi delle regole di
business da adottare come guida.
LE TRE ERE DELLA BUSINESS POLICY
La business policy attraversa 3 diverse fasi, le quali si susseguono a distanza di
circa un decennio l’una dall’altra:
- 1° era, IL FINANCIAL PLANNING, la Seconda Guerra Mondiale è finita, la
ricostruzione post-bellica in Europa e in Asia guida l’eccesso di domanda in
questo periodo.
Pianificazione degli investimenti, valutazione dei progetti, definizione e
controllo dei budget sono gli argomenti che monopolizzano l’attenzione delle
imprese.
La direzione finanziaria assume un ruolo cruciale nella gestione delle strategie
aziendali, che risultano focalizzate sul mantenimento di un equilibrio
economico e finanziario.
- 2°era, IL LONG RANGE PLANNING, a metà degli anni Cinquanta, si assiste
al boom economico: la produzione industriale cresce e anche domanda e
offerta crescevano ma in modo disorganizzato, perciò bisogna organizzare la
domanda, che spinge l’offerta a fare altrettanto.
L’ambiente si presenta prevedibile, e la chiave del successo di un’azienda era
trovare il giusto adattamento tra potenzialità esterne e interne.
Inoltre cercano di sviluppare metodi per rispondere al cambiamento dei
comportamenti dei clienti e definire nuove strategie competitive.
- 3° era, LO STRATEGIC PLANNING, come tutti i precedenti boom, anche
quello degli anni Cinquanta e Sessanta finirà bruscamente, la causa scatenante
sarà lo shock petrolifero del 1973.
L’OPEC, si rifiuta di spedire petrolio verso le nazioni occidentali che avevano
sostenuto Israele nella guerra, questo rifiuto provoca un incremento di 4 volte
nel prezzo, il mercato azionario crolla del 70%: crisi del sistema bancario.
Gli altri infatti, cercano di trovare diverse ipotesi di futuro possibili, con i
rispettivi piani di azione. Comprendere cosa fare in ogni circostanza e
attrezzarsi per leggere i segnali, in modo da essere in grado di reagire
rapidamente.
DALLA BUSINESS POLICY ALLO STRATEGIC MANAGEMENT
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta si moltiplicheranno le attività
di concettualizzazione teorica. Il bisogno di una base teorica più solida e di
prove empiriche, spinsero gli autori ad appoggiarsi ad altre due discipline,
rappresentate dalle teorie dell’impresa e dalle teorie organizzative.
LE 4 FILOSOFIE DELLO STRATEGIC MANAGEMENT
Dal momento della sua affermazione lo strategic management intraprende un
percorso di evoluzione, la strategia sarà capace di garantire un vantaggio
competitivo, e quindi di generare sviluppo.
4 sono le fasi che verranno attraversate in 30 anni e altrettante saranno le
filosofie di pensiero:
- 1° filosofia, PORTFOLIO OF BUSINESS, a metà degli anni '70, lo strategic
management è stretto allo strategic planning. Il primo paradigma che si
afferma è quello della gestione del portafoglio di business, presenta già dei
tratti di originalità rispetto allo strategic planning, perché la disciplina si muove
nella teoria e nel metodo.
Questa filosofia risulta essere basata su modelli tratti dal paradigma struttura-
condotta-performance, conosciuto anche come paradigma di Bain e Mason: il
principio centrale, è che la performance di un'impresa è una funzione
dell'ambiente industriale in cui compete. Poiché la struttura del settore
determina la gestione, e a sua volta la gestione determina la performance,
allora la gestione può essere ignorata e la performance può essere spiegata
dalla struttura del mercato.
Nello strategic management di questo periodo emergono così 3 filoni principali
di ricerca: i gruppi strategici (gruppi di imprese che si trovano nelle stesse
condizioni e si comportano allo stesso modo in base alla strategia adottata), le
strategie generiche (strategia indipendente dall’impresa e legata al contesto
competitivo esterno) e le barriere all’entrata.
- 2° filosofia, PORTFOLIO OF CONTRACTS, realizzano che un insieme di
aziende separate e indipendenti, può essere più redditizio di un portafoglio di
divisioni operative. Questa riflessione, che si diffonde tra le grandi Corporation,
è alimentata dalla disillusione nei confronti della diversificazione del portafoglio
di business come leva per massimizzare i profitti e minimizzare i rischi.
L'obiettivo è quello di sfruttare tutte le possibilità intermedie tra il possedere e
il non possedere una certa business units, il “vecchio” portafoglio di business
units evolve quindi verso un più articolato “portafoglio di contratti”.
- 3° filosofia, PORTFOLIO OF CAPABILITIES, la prima reazione di “ribellione”
verso la filosofia del portafoglio di business aveva dato origine ad un nuovo
approccio, portafoglio di contratti.
Già a partire dalla metà degli anni 80 però, si diffonde un senso di
insoddisfazione nei confronti di questo approccio allo strategic management. La
crescente influenza dei trend tecnologici, spinge le aziende a rivedere il loro
approccio alla definizione della strategia, perché i precedenti approcci
focalizzati sul portafoglio di business e accordi strategici non sono più in grado
di rispondere alle nuove esigenze competitive.
È con la diffusione del concetto di “competenze distintive” che nasce un nuovo
modo di pensare. L'espressione competenze distintive era stata utilizzata per
descrivere il carattere, la natura, lo spirito di un'organizzazione, con riferimento
a quell’insieme di cose che un'organizzazione fa bene rispetto ai suoi
concorrenti.
Ad esempio per Honda, tutto quello che può essere costruito attorno ad un
buon motore, è un'opportunità di business, perché così facendo l'azienda può
avvantaggiarsi di un’abilità consolidata.
Si diffonde la pratica di determinare la strategia aziendale in funzione di quello
che l'azienda stessa sa fare meglio degli altri, definite con l’espressione
“economie di conoscenza”
Le risorse e le competenze diventano la base della strategia di lungo termine,
in quanto danno una direzione di sviluppo all’azienda e sono allo stesso tempo
la fonte primaria del vantaggio competitivo.
- 4° filosofia, PORTFOLIO OF RELATIONSHIPS, nella seconda metà degli anni
Novanta gli approcci organizzativi assumono un ruolo centrale.
Dal punto di vista della creazione della strategia aziendale, le imprese,
sperimentano la necessità di possedere una vasta gamma di competenze e
risorse e competenze per ottenere un vantaggio competitivo. Nasce così un
modello dei mezzi con cui le imprese riescono ad ottenere le informazioni,
generano conoscenza e accumulano risorse.
La chiave del vantaggio competitivo sta nell’appartenere ad un network che
riesca ad esprimere un potere di mercato e a trovare la giusta posizione, e il
gruppo di attori economici che cooperano per un vantaggio competitivo
diventa la nuova unità di analisi che spiana la strada per la open innovation.
FOCUS NELL’EVOLUZIONE DELLO STRATEGIC MANAGEMENT
Per interpretare il percorso evolutivo dello strategic management, c’è
l'oscillazione del focus della disciplina fra contesto interno ed esterno
all'impresa.
Abbiamo visto come lo strategic management affondi le sue radici nel campo
della business policy, ma gli studiosi trovano, nelle teorie economiche
dell'impresa, la tradizione accademica e il rigore nell’approccio, che mancano
alla business policy. Ecco quindi che si assiste all’ibridazione della business
policy con le teorie dell'impresa e con le teorie organizzative.
Ci sarà la nascita di una nuova disciplina, che prenderà il nome di strategic
management. Dominano la scena i gruppi strategici, strategie generiche,
barriere all'ingresso e alla mobilità. Il focus si posiziona verso l'esterno, dopo
che la business policy utilizzava uno interno.
Con l'affermazione della teoria dei costi transazionali, il contesto interno ed
esterno vengono considerati congiuntamente nella determinazione della
strategia, perché l'oggetto di studio sono le transazioni che si collocano tra
ambiente esterno e interno.
Il focus interno prende di nuovo il sopravvento con l'avvento della resource-
based view: l'oggetto di studio sono le risorse e le competenze che è
un’impresa ha. L'attenzione dei manager è rivolta a identificare, sfruttare e
mantenere quelle abilità particolari che possono dare un vantaggio
competitivo, significativo e duraturo.
A partire dalla seconda metà degli anni '90 cambia il paradigma dominante
nelle teorie d'impresa: gli studiosi di strategia combinano il focus interno,
ispirato dalla resource-based-view, con il focus esterno, considerato
dall’Industrial Organization.
Ibridando la teoria dei costi di transazione, resource-based-view e altre teorie
come la teoria delle reti, i ricercatori dello strategic management sviluppano un
paradigma che ha come oggetto di studio le relazioni, perché attraverso le
relazioni si possono acquisire risorse, competenze e conoscenze non disponibili
all'interno dell'organizzazione.
Inoltre, lo strategic management, inizia a sviluppare un’infrastruttura teorica
propria, basata su concetti originali, come “network di expertise” e “open
innovation”. Si assiste a una sorta di emancipazione della disciplina dalle altre
teorie.
LO STRATEGIC MANAGEMENT OGGI
Oltre ad essere multidimensionale, lo strategic management utilizza un
approccio multidisciplinare che attinge dalle teorie dell’impresa (industrial
organization, resource-based-view, managerialismo, teoria delle reti),
dell’organizzazione (teorie contingenti, teorie fenomenologiche, ecc..) e ibride
economico-organizzative (costi di transazione).