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Le regole sull’interpretazione sono previste dall’articolo 12 delle preleggi che è rubricato

come interpretazione della legge ma contiene la disciplina dell’applicazione della legge in

quanto il giudice intererete è chiamato dapprima ad individuare la cosiddetta norma del caso

ossia quella che ritiene idonea a risolvere la controversia concreta per poi applicarla per

risolverla in concreto.

L’articolo 12 delle preleggi prevedendo per primo il criterio letterale da precedenza alla

dimensione oggettiva dell’interpretazione rispetto alla dimensione soggettiva in modo da

garantire la certezza del diritto.

L’attività interpretativa prevede tre elementi fondamentali:

- l’elemento oggettivo ossia la disposizione da interpretare

- L’elemento soggettivo quindi il soggetto deputato all’interpretazione della disposizione

- Gli strumenti per effettuare l’attività interpretativa quindi i criteri interpretativi

In questo senso possiamo considerare l’interpretazione come il ponte tra il fatto e il diritto

ossia lo strumento che consente al diritto di mettere ordine ai fatti necessari per risolvere la

controversia.

• Criterio letterale: secondo questo criterio alle disposizioni non si può dare altro significato

se non quello che deriva dalle stesse parole del testo e dalla connessione delle stesse. Per

questo possiamo dire che per quanto riguarda il criterio letterale il testo della disposizione

costituisce allo stesso tempo il fondamento e il limite dell’interpretazione. Alcuni

definiscono questo tipo di interpretazione un’attività meccanica in quanto qui l’interprete

si deve limitare solamente a riportare il significato che lo stesso testo fornisce; per questo

motivo assume rilevanza l’antico brocardo in claris non fit interpretatio ossia dove la

disposizione è chiara non c’è bisogno di interpretazione

• Criterio storico-teleologico: in questo caso gli strumenti per l’interpretazione sono esterni

al testo della disposizione, infatti uno degli strumenti principali è costituito dai cosiddetti

lavori preparatori ossia documenti discussioni posizioni dei gruppi politici e dei singoli

parlamentari durante il procedimento deliberativo dell’atto. Si parla di criterio storico in

quanto qui si vuole individuare l’intenzione originaria del legislatore quando ha emanato

tale disposizione; si parla invece anche di criterio teleologico in quanto come sappiamo

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accanto alla voluntas legislatoris rileva anche la ratio legis ossia il fine che è possibile

raggiungere attraverso la disposizione.

• Criterio sistematico: il criterio di interpretazione sistematica si basa sulle connessioni che

la disposizione da interpretare ha con le disposizioni dell’ordinamento giuridico. Un

esempio lo possiamo avere per quanto riguarda l’interpretazione delle clausole

contrattuali: secondo l’articolo 1363 del codice civile queste devono essere interpretate le

une per mezzo delle altre per poi applicare a ciascuna il senso che deriva dal complesso

dell’atto.

Come abbiamo avuto modo di vedere il codice civile si concentra più che altro

sull’interpretazione di tipo storico del diritto, ossia un’interpretazione che cristallizza nel

tempo il significato originario della norma infatti esso fa riferimento al criterio letterale o

alla intenzione del legislatore in via sussidiaria. A questa interpretazione storica si

contrappone l’interpretazione evolutiva ossia l’interpretazione che ha l’obiettivo di

attualizzare il significato della norma secondo le evoluzioni che subisce continuamente

l’ordinamento giuridico. A questo proposito rileva la contrapposizione tra originalisti e non

originalisti: i primi vogliono conferire prevalenza al significato originario della norma il

cosiddetto original mining o intent mentre i secondi vogliono far prevalere il significato

attuale della norma.

Interpretazione analogica: l’interpretazione analogica è disciplinata dall’articolo 12 delle

preleggi, il quale stabilisce che nel caso di ipotesi dubbie non possono essere decise con una

precisa disposizione si ricorre alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe.

In questo senso se un particolare caso non è regolato da una specifica disposizione per

regolarlo si può far riferimento alla disposizione che regola un caso simile a quello in

esame. L’analogia quindi è uno strumento per l’intrgrazione dell’ordinamento: detto questo

si potrebbe essere indotti a pensare che l’interprete in questo caso crei una nuova

disposizione normativa e che quindi non svolga semplicemente attività interpretativa ma si

sostituisca al legislatore nel creare una nuova norma. In realtà l'analogia è si uno strumento

di integrazione dell’ordinamento ma non di etero integrazione pensi di auto integrazione nel

senso che non crea una nuova norma ma si limita a individuare una norma già esistente

nell’ordinamento per regolare il caso concreto non regolato. Ecco che l’attività

dell’interprete risulta meramente dichiarativa e non costitutiva.

L’analogia inoltre può essere confusa con l’interpretazione estensiva poichè anche in questo

si fa riferimento ad una norma esistente per regolare casi simili: la differenza sta però nel

fatto che nel caso dell’analogia l’interprete individua dalla disposizione che regola il caso

simile una nuova norma per regolare il caso concreto, mentre per l’interpretazione estensiva

si ha l’estensione normativa della stessa norma che regola il caso simile.

Nel caso in cui non sia possibile regolare il caso concreto con disposizioni che regolano casi

simili o materie analoghe = analogia iuris

L’articolo 14 preleggi prevede il divieto di analogia in materia penale e per le leggi

eccezionali e derogatorie: il primo divieto è giustificato dal principio di legalità in materia

penale, mentre nel secondo caso la corte costituzionale stabilisce che tale divieto è

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derogabile: ossia è possibile l’estensione normativa di disposizioni eccezionali e derogatorie

qualora sussistano ragioni di giustizia materiale.

L’interpretazione della costituzione è diversa dall’interpretazione di qualsiasi altra fonte

normativa sia per la sua collocazione nell’ordinamento giuridico come lex superior rispetto

alle altre fonti normative, sia per il suo contenuto materiale in quanto essa rappresenta la

decisione politica in merito ai valori fondamentali della società, valori che sono espressi

tramite le norme di principio della costituzione.

I principi fondamentali si distinguono dalle semplici regole in quanto sono polifunzionali e

polisemici. Polisemici in quanto il senso dei principi fondamentali non è stabilito in via

definitiva ma cambia a seconda del variare delle esigenze della società poiché come

sappiamo i principi supremi costituiscono un’eccedenza di contenuto, poiché non è possibile

delimitarlo all’interno di una specifica disposizione. Il significato delle norme di principio è

attribuito mediante convenzioni interpretative che vengono stabilite dalla comunità aperta di

interpreti un insieme di soggetti nessuno dei quali ha la prerogativa di poter considerare la

propria interpretazione come l’unica esatta.

Essi sono inoltre polifunzionali:

- normogenetici in quanto costituiscono il fondamento delle altre fonti normative

- Programmatici in quanto stabiliscono gli obiettivi a cui deve tendere la comunità politica

- Fungono anche da criteri interpretativi in quanto come sappiamo le disposizioni

normative devono essere interpretate in modo conforme alla costituzione. Detto questo le

disposizioni che prevedono diritti devono essere interpretate in modo da garantire la

massima espansione delle libertà, mentre le disposizioni che prevedono doveri devono

essere soggette ad un’interpretazione stretta poichè i doveri costituiscono situazioni di

svantaggio per i soggetti a cui si rivolgono, di conseguenza devono essere applicati solo

ai casi espressamente previsti e non ci deve essere un’estensione normativa degli stessi.

Inoltre proprio perchè le norme di principio prevedono un’eccedenza di contenuto rispetto

ad una specifica disposizione, la maggior parte delle volte questi devono essere bilanciati tra

loro in modo da non sacrificare eccessivamente il principio soccombente per la

soddisfazione del principio prevalente. Il bilanciamento viene effettuato prima di tutto dallo

stesso legislatore; tale bilanciamento poi viene sindacato dalla corte costituzionale in quanto

custode della costituzione, si dice infatti che doppia il bilanciamento. Bisogna ricordare che

anche in questo caso il bilanciamento della corte costituzionale non è definitivo in quanto il

significato degli stessi principi non è definitivo.

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Capitolo 7

Come abbiamo detto la costituzione si pone come lex superior rispetto alle altre fonti

normative le quali quindi derivano da essa.

Possiamo classificare le fonti normative che derivano dalla costituzione in:

- fonti di rango costituzionale

- Fonti esterne riconosciute quindi le disposizioni del diritto internazionale ed europeo che

vengono richiamate nel nostro ordinamento mediante norme di rinvio

- Fonti primarie

- Fonti secondarie

- Fatti integrativi delle norme costituzionali: precedenti prassi convenzioni e consuetudini

costituzionali qualora riconosciute

Un altro modo per definire la nostra costituzione è quello di appellarsi al concetto di

rigidità. Convenzionalmente si distingue tra costituzione rigida e flessibile per la presenza di

un procedimento aggravato di revisione costituzionale per quanto riguarda la costituzione

rigida, mentre per quanto riguarda la costituzione flessibile si definisce in questo modo

poichè è modificabile facendo ricorso semplicemente alla legge ordinaria.

In realtà il concetto di rigidità non si fonda sulla presenza di un procedimento aggravato di

revisione costituzionale in quanto le disposizioni costituzionali possono comunque essere

sempre modificate seppur seguendo questo procedimento aggravato. Il procedimento

aggravato serve solamente a distinguere la legge ordinaria dalla legge costituzionale.

La rigidità della costituzione non si può neanche fondare sulla teoria del potere costituente.

Chi considera la costituzione come il prodotto dell’attività del potere costituente non fa altro

che descrivere un fatto storicamente avvenuto. Fondare la rigidità della costituzione sul

potere costituente equivarrebbe a dire che questa non potrà mai essere modificata dal potere

costituito, cosa che come abbiamo visto non accade.

La rigidità in definitiva si basa sul contenuto della costituzione che infatti come abbiamo

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A.A. 2021-2022
51 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/08 Diritto costituzionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher selenecgiuri96 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto Costituzionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Mantovi Andrea.