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STORIA DELLA LINGUA ITALIANA
La lingua italiana è oggi la lingua ufficiale della Repubblica Italiana, come dichiara
l’articolo 6 della Costituzione e la legge sulla protezione delle minoranze linguistiche (n. 482 del 15
dicembre 1999). Tuttavia, l’italiano, oltre che in Italia, è parlato anche nello Stato del Vaticano,
nella Repubblica di San Marino, in alcuni Cantoni della Svizzera, tanto da essere una delle lingue
ufficiali della Confederazione Elvetica. L’italiano è una lingua romanza e, per ragioni storiche e
geografiche, è la lingua romanza meno divergente dal latino.
È necessario ricordare che la lingua italiana risulta essere il frutto di un lungo processo di
trasformazioni, che inizia alla fine della caduta dell’Impero Romano, nel quinto secolo, per poi
passare attraverso la fase della diffusione del volgare fiorentino nel Trecento e la diffusione
dell’italiano moderno dal Cinquecento in poi. È doveroso ricordare che la lingua italiana per secoli
è stata più una lingua scritta e letteraria identificabile con il fiorentino colto che una lingua parlata o
popolare. Di conseguenza, si può affermare che l’unità linguistica degli italiani sarebbe stata
raggiunta soltanto durante il secondo dopoguerra, quando l’istruzione iniziò a coinvolgere la
maggioranza delle nuove generazioni e quando l’opera del cinema si associò a quella delle reti
televisive.
Sviluppo della lingua dalle sue origini
La lingua italiana si è evoluta secondo un processo molto lungo e graduale, che iniziò alla
fine della caduta dell’Impero Romano. Fino ad allora, il latino fu diffuso e imposto come lingua
condivisa. In seguito alla caduta dell’Impero, le forme locali della lingua ebbero un ruolo
importante. Per qualche secolo e specialmente durante il Medioevo, la lingua dominante nel
linguaggio culturale era il latino, usato nelle università, nelle procedure ecclesiastiche e in tutti gli
atti ufficiali.
Con le invasioni barbariche e l’insediamento di diverse popolazioni germaniche nella
penisola, ci fu l’ingresso nelle lingue italiche di qualche centinaio di parole germaniche. Tuttavia, la
presenza dei barbari pare non abbia lasciato delle tracce linguistiche dirette, poiché le loro lingue
scomparvero entro il Mille, lasciando pochissime testimonianze scritte. Infatti, solo poco prima del
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Mille, comparvero dei documenti in cui era presente una lingua parlata che sembra qualcosa di
diverso dal latino. In questo periodo, la maggioranza delle popolazioni italiche parlava
probabilmente un proprio un volgare, diverso dal latino classico. Tuttavia, il latino veniva
comunque usato da una minoranza di persone istruite, principalmente appartenenti al mondo
ecclesiastico, che se ne servivano anche come lingua di conversazione.
Molti studiosi sono concordi nel far risalire l’atto di nascita della lingua italiana nel 960, con
il Placito capuano, un verbale notarile su pergamena, scritto in volgare. Tuttavia, ci sono stati nel
corso dei secoli vari tentativi di scrittura in volgare. Si pensi, ad esempio, all’importanza di Galileo
Galilei per l’uso del volgare nella divulgazione scientifica o all’importanza di Francesco d’Assisi,
che compose il suo Cantico delle creature in volgare. In generale, si può affermare che dell’inizio
del XIII secolo, gran parte della letteratura iniziò ad essere composta in volgare. Nel XIII secolo i
maggiori promotori furono i Poeti Siciliani, seguiti dai toscani, in particolare Dante Alighieri,
Giovanni Boccaccio e Francesco Petrarca.
La fondazione dell’italiano moderno
La poesia di Dante Alighieri e di Francesco Petrarca e la prosa di Giovanni Boccaccio
dettarono la regola dell’intera produzione letteraria da quel momento in poi: l’uso del volgare. In
questo periodo, solo piccole minoranze si esprimevano in latino. Di conseguenza, si può afferma
che da un punto di vista storico, il Dialetto Toscano, alto e colto, può essere considerato la base
dell’italiano moderno.
Il successo del toscano letterario si deve soprattutto a partire dall’opera di alcuni scrittori
rinascimentali, che erano d’accordo sulla necessità di una lingua scritta unica. A tal riguardo,
c’erano però posizioni differenti: quella più conservativa di Bembo, e quella più innovativa di
Castiglione.
In particolare, è grazie a Pietro Bembo che il fiorentino di Petrarca e Boccaccio nel
Cinquecento diventò il modello linguistico più importante per i letterati italiani. A fine Cinquecento
c’era, dunque, un modello comune per la lingua scritta, che era coincidente in buona sostanza con
l’italiano moderno. La situazione riguardante la lingua che si creò in questo periodo rimase stabile
per circa tre secoli: l’italiano unitario per l’uso scritto e le parlate locali, dette “dialetti”, per la
comunicazione quotidiana. 3
Tuttavia, quando parliamo di fondazione dell’italiano moderno, è necessario considerare
degli aspetti storico-sociali che hanno caratterizzato da sempre l’Italia e, di conseguenza, la sua
lingua. Infatti, prima dell’Unità d’Italia nel 1861, per secoli il Paese era diviso in diversi stati
diversi e quando l’Italia fu riunita il toscano diventò la lingua ufficiale. Secondo Tullio De Mauro al
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momento dell’unificazione solo il 2,5% degli italiani poteva essere definito “italofono” ; invece
secondo Arrigo Castellani, il 10% della popolazione era in grado di parlare italiano, di cui la
maggior parte era rappresentata da toscani (“italofoni per diritto di nascita”), mentre 435.000
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avevano appreso la lingua grazie allo studio scolastico (“italofoni per cultura”) .
Il dibattito risorgimentale sull’esigenza di adottare una lingua comune per l’Italia che stava
nascendo come nazione, ebbe come protagonisti personalità come Carlo Cattaneo, Francesco De
Sanctis e Alessandro Manzoni. Tra questi, fu Manzoni ad elevare il fiorentino a modello nazionale
linguistico, pubblicando nel 1842 I promessi sposi.
Tuttavia, bisogna considerare che i tassi di analfabetismo erano molti alti e sono stati molto
alti, soprattutto nelle regioni rurali, almeno fino al 1950. Con l’unificazione politica l’italiano
cominciò a diffondersi anche come lingua parlata, anche se i dialetti continuarono ad essere parlati
come lingua colloquiale per secoli.
La diffusione dell’italiano standard
Nel 1950 meno del 20% della popolazione italiana parlava un italiano corretto e fluente nella
vita di tutti i giorni e i tassi di analfabetismo erano molto alti. Infatti, i dialetti furono utilizzati come
lingua parlata per secoli e chiunque fosse in grado di comunicare in italiano, molto spesso lo faceva
usando aspetti grammaticali e fonetici influenzati dai dialetti regionali.
Tuttavia, nel 1948 la Costituzione Italiana fornì a tutti il diritto all’educazione scolastica di
base. Tale diritto allo studio, purtroppo, in alcuni casi non era completamente garantito, ma fu
comunque un passo per ridurre i tassi di analfabetismo. Infatti, molti studiosi sono d’accordo
nell’affermare che l’unità linguistica degli italiani si raggiunse soltanto durante il secondo
dopoguerra, quando l’istruzione iniziò a coinvolgere la maggioranza delle nuove generazioni.
1 Cfr. De Mauro T., (2017), Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Edizioni Laterza.
2 Cfr. Castellani A., (2000), Grammatica storica della lingua italiana, Bologna, Il Mulino.
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Un altro evento che ebbe una grande importanza nel processo di unificazione della lingua fu
l’introduzione della televisione. Negli anni del boom economico, tra il 1958 e il 1962, la televisione
era un modo per riunire le persone, ma anche e soprattutto per trasmettere programmi culturali e
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modelli linguistici . Di conseguenza, la crescita economica e le migliori condizioni di vita, unite
alla diffusione dell’educazione e ai programmi in TV, contribuirono notevolmente alla diffusione
dell’italiano standard.
3 Tra il 1960 e il 1968 la RAI trasmetteva uno show, presentato dal professore Alberto Manzi, “Non è mai troppo tardi”,
grazie al quale molte persone analfabeti o parzialmente analfabeti, impararono a leggere e scrivere. Secondo le stime,
circa un milione e mezzo di italiani in questo periodo ottenne il certificato di educazione primaria.
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