Numero matricola: 720530
Che cosa è la “SOCIOLOGIA DEL CINEMA”?
La sociologia del cinema è un ambito specifico della sociologia visuale che studia il
cinema non solo come forma artistica o linguaggio espressivo, ma soprattutto come
fenomeno sociale complesso, capace di riflettere, riprodurre e allo stesso tempo
influenzare la realtà sociale. In questa prospettiva, il film viene considerato sia come
testo visivo sia come prodotto culturale, inserito in un determinato contesto storico,
economico e ideologico capace di influenzare il pensiero delle persone anche
perché in passato gli aspetti economici,culturali e sociali di un paese venivano
conosciuti dagli altri paesi attraverso il cinema. Dal punto di vista teorico, la
sociologia del cinema si fonda sull’idea che le immagini cinematografiche non siano
mai neutre ma sono costruite socialmente e veicolano rappresentazioni del mondo
che contribuiscono alla formazione dell’immaginario collettivo. Il cinema, infatti,
seleziona, organizza e mette in scena la realtà, offrendo modelli di comportamento,
sistemi di valori, ruoli sociali e visioni del potere. In questo senso, i film possono
essere analizzati come documenti sociali, capaci di rivelare le tensioni, le
contraddizioni e le ideologie dominanti di una società in un dato momento storico,
quindi è essenziale per cogliere aspetti di una società che non sono
immediatamente visibili. Un primo ambito di analisi riguarda il rapporto tra cinema e
contesto sociale. La sociologia del cinema studia come le trasformazioni
economiche, politiche e culturali influenzino i contenuti e le forme cinematografiche.
Autori come Kracauer che ha inaugurato la sociologia del cinema con un testo sul
cinema tedesco dal nome "il cinema tedesco dal gabinetto del dottor Caligari a
Hitler",hanno mostrato come il cinema possa funzionare come una sorta di
“specchio” della società, rivelando, anche in modo inconscio, paure, desideri e
orientamenti collettivi. Per esempio, nei film analizzati da Kracauer, individuò quei
tratti psicologici dominanti della piccola borghesia, osservò che c'erano personaggi
autoritari in numerose opere, questo perchè la germania temeva l'autorità ma
aspirava ad essa, Kracauer pone le basi per un nuovo approccio metodologico al
cinema, sviluppò una teoria secondo il quale il cinema è fedele specchio della
società stessa, cosa su cui si discuterà molto. Analogamente, Morin ha sottolineato
il ruolo del cinema nella costruzione del mito moderno e nella produzione di figure
simboliche che incidono profondamente sulla vita quotidiana. Un secondo ambito
centrale è quello della rappresentazione sociale. La sociologia del cinema analizza
come vengono rappresentati nei film temi quali classe sociale, genere, etnia,
famiglia, devianza, lavoro, identità e potere. Queste rappresentazioni non si limitano
a descrivere la realtà, ma collaborano a normalizzare determinati punti di vista e a
rafforzare o mettere in discussione stereotipi e disuguaglianze sociali. In questo
contesto, il cinema è uno strumento potente di costruzione simbolica della realtà
sociale. Un terzo aspetto di analisi riguarda il cinema come industria culturale.
Seguendo la prospettiva critica della Scuola di Francoforte, specialmente Adorno e
Horkheimer, la sociologia del cinema studia il film come prodotto inserita nei
meccanismi del capitalismo avanzato che ha subito una metamorfosi da capitalismo
Industriale a capitalismo finanziario. La produzione cinematografica è condizionata
da logiche economiche, strategie di mercato e rapporti di potere che influenzano sia i
contenuti sia le modalità di distribuzione e consumo. In epoca contemporanea,
questa analisi si estende anche alle piattaforme digitali e allo streaming, che
modificano radicalmente le pratiche di fruizione e il rapporto tra pubblico e immagini.
Un successivo aspetto fondamentale è lo studio del pubblico e della ricezione. La
sociologia del cinema non considera gli spettatori come soggetti passivi, ma come
attori sociali che interpretano i film in modo differenziato, in base alla propria
posizione sociale, al capitale culturale e all’esperienza personale. In questo senso, il
contributo di Bourdieu è centrale per comprendere come il gusto cinematografico
sia socialmente strutturato e come il consumo di cinema partecipi ai processi di
distinzione sociale.
Che cosa è la Sociologia visuale? Quando nasce, per cosa può essere utile?
Le radici della sociologia visuale possono essere fatte risalire al periodo successivo
alla Rivoluzione industriale tra XVIII e XIX secolo, quando la modernità introduce
nuovi mezzi di comunicazione di massa come stampa, fotografia, cinema e radio.
Tuttavia, agli albori della sociologia accademica, le immagini vengono spesso
escluse dalla ricerca scientifica perché considerate soggettive, manipolabili e non
misurabili con strumenti statistici. Un contributo fondamentale arriva dalla Scuola di
Francoforte, fondata nel 1923, che inaugura una riflessione critica sui media e sulla
cultura di massa. In questo contesto si colloca anche la nascita della sociologia del
cinema, con l’opera di Kracauer (From Caligari to Hitler, 1947), considerata la prima
vera ricerca di sociologia del cinema. La sociologia visuale è un ambito disciplinare
della sociologia che studia i fenomeni sociali attraverso la dimensione visiva,
considerando le immagini sia come oggetti di analisi sia come strumenti di ricerca.
Essa parte dal presupposto che la realtà sociale non venga conosciuta e costruita
esclusivamente attraverso il linguaggio verbale , ma anche tramite immagini,
pratiche visive e dispositivi di visualizzazione che strutturano la vita quotidiana. Per
rispondere in modo più preciso alla domanda “che cos’è la sociologia visuale”,
bisogna richiamare la cornice teorica proposta da Grady, che individua tre aspetti
fondamentali: 1) Seeing: la vista è il senso privilegiato attraverso cui l’essere umano
conosce e interagisce con il mondo sociale.
2) Communicating with icons: il primato della vista si traduce nell’uso delle immagini
come mezzo di comunicazione, intenzionale o meno; qui la sociologia lavora sulle
immagini.
3)Doing sociology visually: riguarda il cuore metodologico della disciplina, cioè il fare
ricerca con le immagini, utilizzandole nella raccolta e nell’analisi dei dati. La
sociologia visuale assume particolare rilevanza nell’epoca della post-modernità, in
cui come sostiene Mitchell con la sua teoria dell’immagine il fenomeno visuale ha
progressivamente sopravanzato quello testuale. Sebbene l’essere umano abbia da
sempre attribuito alle immagini una funzione comunicativa, l’avvento delle tecnologie
moderne (fotografia, cinema, televisione, digitale) ha profondamente modificato il
rapporto tra immagine e realtà. In particolare, entra in crisi il legame diretto tra
immagine e referente reale, mettendo in discussione i concetti semiotici di icona e
indice. Emergono così le nozioni di realtà mediata e di visione come interpretazione:
vedere non significa più semplicemente constatare ciò che esiste, ma interpretare
una rappresentazione. Nell’“era della simulazione”, la costruzione sociale della realtà
da parte dei mass media non avviene solo per selezione, ma anche per creazione e
invenzione, minando l’assunto positivista “io vedo quindi esiste”. Come sottolinea
Mirzoeff, nella società dell’immagine gli individui costruiscono identità e significati a
partire da dimensioni visuali ambigue, instabili e spesso contraddittorie. Questo ha
reso necessario uno spostamento verso i visual cultural studies, che pongono al
centro la visione nella vita quotidiana e si interrogano non solo su cosa siano le
immagini, ma su cosa fanno le persone con le immagini. Si lavora alle immagini con
il concetto di visualizzazione. Visualizzare significa rendere visibile, ma anche
affermare un punto di vista, decidere cosa mostrare e cosa nascondere, rivelando un
legame profondo tra vedere e controllare. La sociologia visuale, presenta una
duplice natura. Da un lato, è un approccio conoscitivo e metodologico, che utilizza le
immagini nel processo di raccolta dei dati. In questo caso si parla di lavoro con le
immagini. Le fotografie o i video possono essere prodotti dal ricercatore o dai
soggetti stessi oppure usati come stimolo per ottenere informazioni ad es. le foto-
stimolo. In questa prospettiva, la sociologia visuale è considerata un concezione
forte, poiché consente di cogliere dimensioni soggettive, emotive e pre-riflessive
dell’esperienza sociale difficilmente accessibili con strumenti esclusivamente verbali.
Questa trova applicazione sia all’interno della sociologia (famiglia, lavoro, devianza)
sia in discipline affini come antropologia e psicologia. Dall’altro lato, la sociologia
visuale è anche una disciplina autonoma di analisi, che lavora sulle immagini già
esistenti. Qui l’attenzione si concentra: sui processi di visualizzazione, cioè su come
le immagini producono differenze, veicolano ideologie e costruiscono realtà in
specifici contesti storici e sociali;
sulle pratiche sociali basate sulla comunicazione visiva, analizzando l’impatto delle
tecnologie visuali sulle relazioni sociali, sull’attribuzione di significati e sulla
costruzione identitaria. In questo secondo caso, il lavoro sulle immagini è definito
come concezione debole, perché più esposto a sconfinamenti interdisciplinari.
Tuttavia, il dato iconico non può essere interpretato arbitrariamente la sua
connotazione deve emergere da un confronto intersoggettivo e dalla ricostruzione
del contesto di produzione e circolazione dell’immagine.
Che cosa si intende per “cinema di sicurezza nazionale”?
Il cinema di sicurezza nazionale è un concetto analitico che indica un insieme di
produzioni cinematografiche strettamente legate all’apparato di sicurezza, difesa e
politica militare di uno Stato, in particolare degli Stati Uniti. Dal punto di vista della
sociologia visuale, esso rappresenta un caso emblematico di come le immagini
cinematografiche possano diventare strumenti centrali nella costruzione del
consenso, attraverso meccanismi di propaganda più o meno esplicita. Il cinema di
sicurezza nazionale ha origine dalla necessità di costruire consenso attorno alla
guerra e alle politiche di sicurezza. I primi film giocano sull’aspetto fondamentale che
è quando le immagini diventano familiari, ripetute e riconoscibili, tendono ad
avvicinarsi al reale e a essere percepite come una rappresentazione naturale della
realtà. In questo senso, il cinema non si limita a raccontare la guerra o la
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