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Estratto del documento

Docente: Professoressa Mariannina Failla

Assistenti: dott. Marco Costantini, dott.ssa

Miriam Aiello

Studente: Christian Vannozzi

Percezione, Appercezione, Riflessione,

Idee e Materia

Come sostanza corporea aggregata e quindi complessa,

formata da varie forme sostanziali di cui una rappresenta la

dominante, che possiamo chiamare anima, o spirito, se

parliamo non solo di esseri viventi ma di esseri umani

dotati di ragione e intelletto, possiamo percepire quello che

abbiamo attorno tramite i sensi esterni. Questi sono i 5

sensi olfatto, gusto, tatto, vista e udito, i quali ci

permettono di entrare in relazione con il mondo circostante

tramite la percezione.

Questa caratteristica ci fa conoscere ciò che abbiamo

attorno fornendoci una conoscenza chiara ma confusa, in

quanto possiamo senza dubbio riconoscere ciò che

percepiamo, ma fermi a questo livello non possiamo sapere

il perché o il come, ovvero la causa di ciò che percepiamo.

La sola conoscenza sensibile, percettiva, ci rende

comunque agenti nel mondo m non in maniera completa.

Per conoscere realmente il mondo che ci circonda si ha

bisogno di un processo superiore che prende il nome di

appercezione, ovvero una sorta di consapevolezza della

nostra percezione ci spinge a una riflessione.

Questa riflessione ci introduce in una consapevolezza di noi

stessi e quindi in uno sviluppo dell’io che si distingue dagli

altri che si percepiscono. Riflettere su questo ci aiuta ad

avere una conoscenza maggiore non solo dal punto di vista

quantitativo ma anche quantitativo, entriamo in questo

modo in contatto con le idee, le quali sono innate in noi e

sono attivate dai sensi. Senza questi infatti sarebbe

impossibile attivare le idee innate che ogni uomo possiede

e a cui serve l’occasione fornitagli dai sensi per ridestarsi e

avviare un processo di ragionamento logico che solo le

anime superiori, chiamate spiriti, possiedono.

Anche gli animali hanno infatti un’anima, ma questa non

riesce a elevarsi in ragionamenti che prendono in

considerazione l’io, il perché delle cause, le conoscenze

matematiche e la consapevolezza del pensare concetti

come l’anima o Dio. Questi hanno, come direbbe Platone,

l’anima concupiscibile ma non quella razionale, di

conseguenza possono senza dubbio percepire e passare da

una percezione all’altra (appetizione). Possono anche avere

idee base di geometria, considerando le forme semplici e le

grandezze, come possono ricordare eventi piacevoli o

spiacevoli, ma le associazioni mentali e i processi logici

tipici dell'intelletto a queste creature vengono negate.

Il filosofo britannico Hobbes direbbe che agli animali manca

la possibilità di costruire i concetti perché non hanno

sviluppato un linguaggio complesso come quello umano, il

quale fornisce i segni grafici per ragionare, costruire e

disfare, ma ridurre tutto alla casualità e ai processi

meccanici sarebbe riduttivo per Leibniz che cerca l’ordine e

la finalità nelle cose. Sarebbe infatti troppo semplice

lasciare tutto al caso e alle leggi che vediamo e subiamo

passivamente, senza interrogarsi sul perché.

Secondo colui che possiamo definire l’Aristotele dell’epoca

moderna, le appercezioni fanno entrare noi stessi in

contatto con il senso comune, ovvero con quelle idee che

non possono derivare dai sensi ma che racchiudono più di

un senso e che sono comuni a tutti, anche a coloro che non

hanno la possibilità di utilizzare i sensi esterni in

autonomia. Questo senso comune, che racchiude le idee di

moto, quiete, figura, grandezza, è un territorio intermedio

tra l’intelletto puro e i sensi, ed è quindi la parte di noi più

vicina al mondo sensibile e di conseguenza più concreta e

meno astratta.

Per associare i sensi esterni al senso comune c’è però

bisogno dell’immaginazione, ovvero una sorta di ponte tra

il nostro intelletto e il mondo che percepiamo. Questo

ausilio crea l’immagina di ciò che ci viene dall’esterno, ed è

un concetto che aveva utilizzato anche il filosofo Hobbes

per spiegare i processi conoscitivi, specificando però che

questa non crea un ponte tra senso comune e sensi

esterni, ovvero tra intelletto con le sue idee innate e ciò

che c’è fuori, bensì riproduce solo meccanicamente ciò che

i nostri sensi impattano.

Il sistema leibniziano punta invece a unire il mondo delle

idee platoniche con il meccanicismo Hobbesiano

scomodando anche l’empirismo aristotelico e soprattutto la

logica aristotelica.

Grazie alle idee del senso comune e al nostro processo di

riflessione, noi possiamo entrare in contatto con il nostro

essere, fino a comprendere che il nostro intelletto è

addirittura uno specchio di quello Divino, in cui sono

comprese tutte le idee innate, la sola differenza è che in

Dio le idee sono chiare e distinte da subito, per noi invece

sono prima oscure, poi chiare ma confuse, se ci fermiamo

alla sola esperienza sensibile, e poi, con l’ausilio del senso

comune e del lume naturale, ovvero la nostra capacità di

ragionamento che permette di capire le ragioni ultime delle

cose, ovvero le cause efficienti e quelle finali. Con questo

processo mentale Leibniz da una prova a posteriori

dell’esistenza di Dio, che completa quella a priori che il

filosofo francese Cartesio aveva ripreso da Sant’Anselmo, e

che riguardava solo l’esistenza dell’Essere perfetto e

infinito per mezzo delle idee innate di infinitezza e

perfezione che noi essere, imperfetti e finiti, potevamo

comprendere e concepire ma non condividere con il

Creatore.

Per percepire, appercepire, e tutto ciò che ne deriva, noi

non possiamo però essere formati da sola materia, perché

la materia è inerte, ed è passiva. Per gli aristotelici questa

aveva bisogno di un’anima per passare da materia a forma,

o da potenza ad atto, per Leibniz la materia senza forma

sostanziale, o entelechia, o anima (spirito negli essere

razionali), è pura astrazione, in quanto non potrebbe

neanche essere percepita dalle forme sostanziali, ovvero

dalle creature organiche. Ciò che non si percepisce

equivale a qualcosa di sconosciuto e quindi

potenzialmente di irreale. Questa materia senza forma

sostanziale o entelechia, viene chiamata da Leibniz materia

prima, alla quale oppone la materia seconda, ovvero quella

aggregata grazie a una forza attiva, entelechia, o anima.

Questa può percepire le cose che la circondano, e tali cose

percepiscono a loro volta il soggetto che le sta percependo

e gli altri.

Differenza fondamentale è quella della verità o del

concetto, che è a posteriori, rispetto all’idea. Queste due

parole non possono essere utilizzate come sinonime, in

quanto una è innata, l’idea, mentre ciò che grazie alla

combinazione delle idee, del ragionamento e dei sensi, e

che si può astrarre in quella che possiamo definire una

verità o un concetto, non può che avvenire a posteriori per

mezzo della riflessione.

Per contrastare le idee empiriste Lockiane, in quanto

l’illustre inglese diceva che tutto proveniva dai sensi e non

Dettagli
A.A. 2022-2023
7 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/06 Storia della filosofia

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher robespierre1979 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi Roma Tre o del prof Failla Mariannina.