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Più tardi ci trovammo in cortile (scendeva la sera) e passeggiando su e giù la Norma mi confidò la
formula con cui ci si confessa. La imparai bene a memoria e a suo tempo la ripetei al prete:
“Atinpuri”.
Agli adulti e ai preti il gioco creduto segreto era notissimo; ma lo chiamavano così. Ogni confessore
aveva il suo stile e le sue preferenze; così si cercava di scegliere questo o quelli a seconda dei
peccati della settimana. Il principale problema pratico erano le penitenze, che potevano variare
considerevolmente. I più vecchi davano consigli agli inesperti: “Stavolta ti conviene da Bocalèti,
verso sera però”. Bocalètì che era don Emanuele, verso sera era più generoso.
Don Antonio era magro e mite, aveva un vocino tremulo ed emanava un’aria di tale innocenza e
compostezza che sinceramente ci dispiaceva di doverlo andare a turbare con le nostre cattiverie.
Però quando ci si andava la confessione riusciva delle più facili.
Si parlava delle disubbidienze, dei ritardi a messa, dei litigi, delle parolacce; si divagava su certi
peccati generici come l’invidia e la vanità, tanto per guadagnar tempo, sempre col pensiero al punto
cruciale. Finalmente do Antonio poneva la Domanda che solo lui a Malo faceva a quel modo: “Hai
mancato – contro la santa Modestia?” era una sua perifrasi personale per gli atinputi; e la formula
delicata permetteva risposte altrettanto delicate, uno scambio di idee tra gentiluomini. E così, senza
usare termini impropri, pulitamente come in un questionario (“Quante volte?” “Nove.” “Da solo o
con altri” “Con altri” “Con altri o con altre?” “Con altre”) ci si trovava ad aver finita la confessione
e assolti e solo tre salveregina da dire. Poi di corsa a godersi qualche ora di innocenza totale con la
deliziosa certezza di fare, se capitasse stasera, una buona morte, entrare nel coro degli angeli.
Anzoléti, con questo nome chiamavano quei nostri compaesanelli infatti, vissuti troppo poco per
non diventare subito angioletti nell’atto stesso di rendere respiro sulla terra.
“ Per chi suonano?”
1 Elementi lessicali tipici dell'italiano regionale e neostandard:
"Pissìn": Variazione dialettale per indicare "pisciare". È un termine regionale che si usa in modo
informale.
“andava in orto”: Variazione dialettale del più corretto “andare nell’ orto”
"cestin": Qui "cestin" è una forma dialettale per "cestino".
"Nas’cio": Un altro esempio di regionalismo, che è una forma dialettale di "nastio", usata per
esprimere disprezzo o richiamo esclamativo, traducibile in italiano standard come "vai via" o
"allontanati".
"Atinpuri": Una versione deformata del termine "atti impuri", un esempio di linguaggio infantile e
dialettale, che si riferisce agli atti di dissolutezza.
"Bocalèti": Nome dialettale per don Emanuele, il prete, che in italiano standard sarebbe
semplicemente "don Emanuele".
"Anzoléti": Forma dialettale per "angioletti", un altro esempio di come la fonologia regionale
modifichi i termini.
2. Elementi sintattici tipici dell'oralità e del neostandard
Frasi come "passò la Norma che andava in orto col cestin di fil di ferro a raccogliere insalata": La
costruzione è colloquiale e informale, molto simile a quella di un racconto orale, con una sequenza
di azioni molto diretta.
"Io mi voltai verso di lei e cominciai a invitarla festevolmente agitando quel che tenevo nella
manina": La sintassi è semplice e immediata, tipica del parlato, con il verbo al passato prossimo che
rende l'azione immediata e vivida.
"Mi disse: 'Pensa che presto farai la comunione!'": Dialogo diretto, senza molte subordinazioni,
tipico del linguaggio orale.
Uso del presente per raccontare azioni passate: L'uso del presente in alcune frasi ("scendeva la
sera", "si parlava", "si divagava") è un altro tratto dell’oralità, dove il narratore tende a usare il
presente per immedesimarsi nella narrazione e coinvolgere di più l'ascoltatore.
3. Conversione del brano in italiano standard
Brano in italiano standard:
Un giorno, mentre ero intento a svolgere le mie necessità fisiologiche sul muretto del letamaio, vidi
passare la signora Norma, che stava recandosi verso l'orto con un cestino di filo di ferro per
raccogliere l'insalata. Mi voltai verso di lei e cominciai a invitarla con allegria, agitando ciò che
tenevo nella mano. Ma la signora Norma si indignò. "Vattene via!" mi disse. "Pensa che presto farai
la comunione!"
Più tardi ci ritrovammo in cortile, mentre la sera cominciava a calare, e passeggiando su e giù la
signora Norma mi confidò la formula con cui ci si confessava. La imparai bene a memoria e,
quando arrivò il momento, la ripetei al prete: "Atinpuri". Gli adulti e i preti conoscevano bene
questo gioco, creduto segreto, che tutti usavano, e lo traducevano con questa breve formula. Ogni
confessore aveva il proprio stile e le proprie preferenze, così si cercava di scegliere questo o quel
prete a seconda dei peccati commessi durante la settimana. Il problema principale erano le
penitenze, che variavano molto. I più esperti davano consigli agli inesperti: "Questa volta ti
conviene andare da Bocaleti, però verso sera". Bocaleti era il soprannome di Don Emanuele, e verso
sera si mostrava più generoso.
Don Antonio era magro e mite, aveva una voce tremolante e dava l'impressione di una tale
innocenza e compostezza che sinceramente ci dispiaceva doverlo disturbare con le nostre cattiverie.
Tuttavia, la confessione con lui risultava sempre più facile. Si parlava di disubbidienze, ritardi a
messa, litigi, parolacce; si divagava su peccati generici come l'invidia o la vanità, per guadagnare