Una lotta (1888) e
Belpoggio (1890), firmandosi «E. Samigli», pseudonimo che richiama la parola ebraica schlemihl,
“lo sfortunato” o “il sognatore”, tipologia alla base dei suoi personaggi. Nel 1892 pubblica a sue
segnando l’uso dello pseudonimo Italo Svevo, che manifesta la sua
spese il romanzo Una vita,
duplice matrice culturale italiana e tedesca. Nel 1896 sposa Livia Veneziani, ricevendo il battesimo
ateo. Dopo l’insuccesso di
nel 1897 per motivi religiosi, pur rimanendo sostanzialmente Senilità
(1898), entra nella fabbrica dei suoceri, garantendosi agiatezza economica, ma continua a scrivere
racconti, favole e commedie. Svevo suona il violino, simbolo della sua dimensione creativa e del
legame con la cultura ebraica, e mantiene la propria originalità nel mondo borghese e industriale.
Nel 1906 incontra James Joyce a Trieste, instaurando un rapporto intellettuale che sarà cruciale. La
lettura di Freud, stimolata dai problemi di salute mentale del cognato, influenza le sue opere, come
La coscienza di Zeno (1923), capolavoro che unisce psicanalisi, ironia e critica al borghese e al
capitalismo. Dopo la guerra, Svevo si dedica alla scrittura e alla collaborazione giornalistica,
ottenendo riconoscimento grazie alla mediazione di Joyce presso critici francesi e italiani. La sua
produzione comprende romanzi, racconti, teatro e saggistica: tra le opere teatrali giovanili
ricordiamo Le teorie del conte Alberto e Una commedia inedita; in Un marito (1903) e Terzetto
spezzato (1912) affronta pulsioni psicologiche e triangoli amorosi. Tra i racconti più noti vi sono La
tribù (1897), Lo specifico del dottor Menghi, In Serenella, Cimutti e Marianno. Gli ultimi anni
vedono La rigenerazione (1926-1927) e il romanzo incompiuto Il vegliardo (1928). Svevo è un
autore originale, autodidatta, capace di coniugare cultura mitteleuropea e italiana, fondendo
tradizione e innovazione. Nei suoi romanzi, il personaggio “inetto” emerge come protagonista,
anticipando concetti psicanalitici e rielaborando fonti classiche. La città di Trieste, con il suo vivace
contesto culturale, gioca un ruolo fondamentale nella formazione del suo eclettismo e della sua
visione letteraria. Morì il 13 settembre 1928 in un incidente stradale, lasciando incompiuto il quarto
romanzo.
Italo Svevo e la guerra.
A causa dello scoppio del conflitto, la ditta Veneziani, dove Svevo era rimasto a custodia, viene
chiusa. Questo evento gli concede più tempo libero, permettendogli di tornare irresistibilmente alla
scrittura, concentrandosi sulle sue opere letterarie. Nonostante non venga specificato che Svevo
abbia preso parte direttamente al conflitto come combattente, la guerra influisce sulla sua vita
professionale e personale, liberandolo dai doveri industriali e consentendogli di dedicarsi
pienamente alla letteratura, culminando nella pubblicazione, nel 1923, del suo capolavoro La
coscienza di Zeno. La guerra per Svevo/Zeno è una forza esterna che irrompe nella vita quotidiana,
determinando inquietudine, sensi di colpa e trasformazioni psicologiche, ma non è vissuta come
esperienza bellica diretta. La scrittura diventa il mezzo per comprendere e rappresentare la realtà
tragica del conflitto, dando origine a una «letteratura di guerra dei non combattenti», in cui il
protagonista osserva, riflette e sopravvive moralmente e intellettualmente.
Perché è poco conosciuto il genocidio degli armeni?
Il genocidio degli armeni del 1915 è poco conosciuto perché avvenne durante la Prima guerra
mondiale, e nei testi storici spesso viene solo accennato come un episodio tra molti. La Turchia
nega ufficialmente l’accaduto e censura ogni studio, mentre all’epoca quasi nessuno intervenne
concretamente per difendere gli armeni, eccetto il Papa. La tragedia fu pianificata in modo
ideologico e metodico, causando enormi perdite e difficoltà di memoria storica.
Che cos'è il genocidio degli armeni?
Il genocidio degli armeni fu l’eliminazione pianificata e sistematica dell’intero popolo armeno da
del 1915 all’interno dell’Impero ottomano. Circa 1.500.000
parte dei turchi, avvenuta nell’estate
persone su 2.000.000 morirono tra massacri e deportazioni forzate, mentre altre furono rapite o
islamizzate. Fu il primo genocidio moderno attuato con metodi ideologici e tecnologie
contemporanee, volto a distruggere completamente una minoranza numericamente piccola ma
socialmente, economicamente e culturalmente avanzata rispetto alla maggioranza dell’Impero. Il
genocidio era parte di un progetto dei Giovani Turchi per una “turchizzazione” dell’Impero,
eliminando ogni elemento non conforme alla loro visione etnica e culturale.
Si illustri la vita e le opere di Antonia Arslan.
Antonia Arslan (Padova, 1938) è una scrittrice, saggista e traduttrice italiana di origini armene.
Primogenita di cinque figli, si laurea in archeologia classica e insegna Letteratura italiana moderna
e contemporanea all’Università di Padova. Figura centrale nella sua formazione è il nonno Yerwant
Arslanian, medico fuggito dal genocidio armeno, che italianizzò il cognome in Arslan e le trasmise,
attraverso i suoi racconti, la memoria familiare e le radici armene. La Arslan ha sempre vissuto
l’identità italiana e quella armena come una ricchezza complementare. Accanto alla carriera
accademica, ha svolto un’intensa attività di divulgazione culturale, ricevendo diversi
riconoscimenti, tra cui la cittadinanza onoraria di Torino (2017) e il Premio Montale Fuori di Casa
(2024). I suoi studi iniziali si concentrano sulla narrativa italiana dell’Ottocento e del Novecento:
Invito alla lettura di Buzzati (1974), Dame, droga e galline (1977) e Dame, galline e regine (1998),
opere in cui riscopre la scrittura popolare e il ruolo delle autrici spesso dimenticate. Parallelamente
traduce testi sul genocidio armeno, come le poesie di Daniel Varujan (Il canto del pane e Mari di
grano, 1992) e importanti saggi storici. Il successo internazionale arriva con il romanzo La
masseria delle allodole (2004), che racconta la tragedia subita dalla sua famiglia durante il
genocidio e che è stato tradotto in 23 lingue e adattato al cinema dai fratelli Taviani. Seguono La
strada di Smirne (2009), Ishtar 2 (2010), Il cortile dei girasoli parlanti (2011), Il libro di Mush
(2012), Il rumore delle perle di legno (2015), Lettera a una ragazza in Turchia (2016), La bellezza
sia con te (2018) e Il destino di Aghavnì (2022). Le sue opere, sospese tra memoria storica e ricordo
personale, testimoniano il legame con la cultura armena e la volontà di ridare voce a un popolo
colpito da uno dei più gravi genocidi del Novecento.
Antonia Arslan e la letteratura femminile.
Antonia Arslan ha dedicato una parte importante dei suoi studi alla riscoperta della scrittura
femminile italiana tra Ottocento e Novecento. Con Dame, droga e galline (1977), scritto insieme ai
suoi studenti, ha riportato l’attenzione sul romanzo popolare e sull’impatto che ebbe sulla società,
suscitando l’interesse di critici come Umberto Eco. Successivamente, con Dame, galline e regine
(1998), ha messo in luce la “galassia sommersa” di scrittrici come Neera, Matilde Serao, Ada Negri,
Contessa Lara, Vittoria Aganoor e molte altre, che furono protagoniste della vita culturale italiana
ma poi dimenticate dall’accademia e dall’editoria. L’intento della Arslan non è rivendicare un
femminismo militante, ma reintegrare queste autrici nel contesto letterario del loro tempo,
mostrando come abbiano contribuito alla diffusione del romanzo e all’emancipazione femminile
grazie a una scrittura più accessibile rispetto a quella maschile. Secondo lei, oggi le donne hanno le
stesse possibilità di pubblicazione degli uomini e il compito è sfruttare con responsabilità questa
opportunità.
Di cosa parla la Masseria delle allodole?
La masseria delle allodole (2004) è il primo romanzo di Antonia Arslan e ha segnato una svolta
nella sua attività di studiosa e scrittrice. L’opera porta per la prima volta all’attenzione del pubblico
italiano il dramma del genocidio armeno del 1915, a lungo censurato dall’Impero Ottomano e
rimosso dalla memoria collettiva. La scrittrice intreccia i racconti tramandati nella sua famiglia con
la storia più ampia del popolo armeno: in particolare rielabora le memorie del nonno, medico
affermato in Italia, e quelle dello zio Zareh di Aleppo, che riuscì a salvare alcuni bambini durante le
persecuzioni. Arslan sottolinea che il romanzo non è un memoir, perché lei non è testimone diretta:
è piuttosto una narrazione nata dal patrimonio di storie familiari, custodite e poi rielaborate con lo
memoria “ritrovata”, che restituisce dignità a una vicenda
sguardo della scrittrice. Ne emerge una
storica a lungo taciuta. Il successo dell’opera ha contribuito a far conoscere la tragedia armena
anche fuori dall’ambito accademico e, nel 2007, il romanzo è stato trasposto al cinema dai fratelli
Taviani, che hanno fortemente voluto il film nonostante le difficoltà incontrate a causa della censura
turca. Con questo libro, Antonia Arslan è diventata una voce di riferimento per la diaspora armena,
capace di coniugare letteratura, memoria e responsabilità civile.
Qual è il primo romanzo di Antonia Arslan?
Il primo romanzo di Antonia Arslan è La masseria delle allodole, pubblicato nel 2004 e racconta,
attraverso i ricordi familiari di Antonia Arslan, il genocidio del popolo armeno del 1915 ad opera
dell’Impero Ottomano, intrecciando vicende private e storia collettiva.
Si riportino alcuni eventi storici sulla Seconda Guerra Mondiale.
La Seconda Guerra Mondiale ha radici nel dopoguerra della Prima Guerra Mondiale, caratterizzato
da trattati punitivi e crisi politiche. Con il Trattato di Versailles (1919) la Germania è ritenuta
responsabile della guerra, perde territori, subisce pesanti limitazioni militari e onerosi indennizzi,
l’Impero austro-ungarico
generando forte nazionalismo. Con il Trattato di Saint Germain viene
smembrato, nascono Austria, Ungheria, Cecoslovacchia e Jugoslavia, provocando malcontento in
In Italia, il dopoguerra e la crisi del sistema liberale favoriscono l’ascesa del
Italia. fascismo di
Mussolini, sostenuto da disagi sociali, deficit economico, inflazione e instabilità politica. In
Germania, Hitler prende progressivamente il potere: dal fallito putsch di Monaco (1923) alla
nomina a cancelliere (1933), consolidando il regime nazista con la Gestapo, le leggi razziali, le
leggi sui pieni poteri e le leggi di Norimberga. Negli anni successivi, tra 1936 e 1939, la Germania
attua l’espansione territoriale, conclude l’Asse Roma-Berlino, invade Cecoslovacchia e Polonia,
scatenando la guerra. La gu
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