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2 LA GESTIONE DELLA CONOSCENZA: UN CONCETTO DA DEFINIRE -----------------------------------14

1 Introduzione

Per caratterizzare l’epoca attuale si parla spesso di information age (Brown e Duguid, 2001), l’era in cui la capacità delle

organizzazioni di sopravvivere e di essere competitive sul mercato è determinata dalla loro abilità nella gestione delle

informazioni. È questa necessità secondo gli ‘infoentusiasti’ , che porterà le organizzazioni a modificare i loro assetti e le

relazioni sia interne sia esterne. È stata decretata la morte del Fordismo e con esso quella della struttura burocratica e

funzionale . I moniti sono tanti ed arrivano di continuo: per vincere bisogna diventare flessibili, piatti.

Forse la capacità di gestire informazioni in questo quadro non è sufficiente a garantire la sopravvivenza o addirittura il

successo di un’organizzazione: non basta più essere in grado di acquisire le informazioni e cosa ancora più complessa

selezionarle, quello che conta è saperle utilizzare nel migliore dei modi, trasformarle in conoscenza.

L’informazione non è una risorsa scarsa, né manca la possibilità di entrarne in possesso, quello che non è sempre presente

è la capacità di saperla sfruttare. È per questo motivo che alcuni autori (Drucker, 1998; Von Grogh, 1998) sostengono

come la risorsa chiave per competere sia diventata la conoscenza, unica vera fonte di vantaggio per le organizzazioni.

La conoscenza diviene l’unica risposta possibile per gestire la complessità che caratterizza l’economia mondiale. Già nel

1996 l’OCSE stimava che il 50% del PIL dei più grandi paesi membri era knowledge-based.

La grande trasformazione che sembra ormai avere da tempo invaso l’economia globale si basa sullo spostamento da

un’economia di tipo materiale, da una produzione industriale a quella che Rullani (2004) definisce la fabbrica

dell’immateriale: «l’unica fabbrica che cresce continuamente in termini di occupati, valore e rilevanza economica, è la

fabbrica dell’immateriale». Secondo Pilotti (2004) la relazione tra globalizzazione e conoscenza è molto stretta: «Ma la

dimensione più macroscopicamente rilevante di questo vasto e – per molti versi – irreversibile processo planetario è che

la globalizzazione è stata alimentata da un fenomeno non nuovo ma la cui intensità e velocità è certamente nuova e

impensabile solo 20 anni fa: il processo di globalizzazione o transnazionalizzazione delle conoscenze utilizzate per

produrre, comunicare, consumare e imparare. Una imponente massa di conoscenze viene “collassata” attraverso

l’unificazione di potenti mezzi di comunicazione e la loro convergenza, accrescendo mobilità e disponibilità planetaria a

costi contenuti e di cui Internet stessa è contemporaneamente conseguenza e causa».

Secondo Rullani (2004) la connessione tra la conoscenza e la globalizzazione è da ricercarsi nella dimensione sociale. Le

aziende adottano sempre più scelte strategiche di tipo relazionale, muovendosi verso una logica di rete: «la generazione

di valore non si può più osservare a livello di impresa, ma bisogna assumere come nuovo campo di osservazione la filiera

cognitiva e il suo sistema complesso di relazioni tra imprese diverse, e complementari». In questa vera e propria

rivoluzione economica il ruolo del settore terziario dell’economia e dei cosiddetti knowledge worker, sta modificando le

relazioni di forza tra i diversi attori economici e sociali.

Da questo punto di vista potrebbe essere interessante riflettere su come il settore dei servizi sia collegato a logiche di

natura assolutamente industriale, di stampo fordista.

È chiaro che, ad esempio, i grandi operatori di call-centre non sono altro che centri di servizi e in quanto tali da

comprendere nell’economia post-fordista dell’immateriale. I suoi addetti, però, nella maggior parte dei casi non sono

altro che un esempio classico di fordismo.

L’immaterialità del servizio non implica in maniera diretta una relazione tra economia della conoscenza ed economia

immateriale.

Sulla base del fatto che il terziario sta diventando il nuovo pilastro dell’economia, forse è necessario fare una riflessione

ulteriore sulla knowledge-economy. I decentramenti produttivi hi-tech verso regioni quali India, Brasile o Cina (Melotti,

Panizza e Parenti, 2004) non sono altro che tentativi di abbassare i costi dei soliti knowledge worker, che oramai svolgono

sempre più attività ripetitive e routinarie.

Può allora sorgere un dubbio sull’effettivo ruolo della conoscenza all’interno del mercato dell’immateriale. In molti casi,

infatti, si può parlare di fabbriche della conoscenza, utilizzando un termine che rimanda immediatamente a logiche di tipo

fordista. Questo non sminuisce, però, il ruolo della conoscenza, che anzi, acquista sempre più valore e crea sempre più

barriere e distanze. Si è di fronte, infatti, ad una duplice tendenza: da una parte, coloro i quali gestiscono conoscenza

diminuiscono sempre di più e dall’altra aumenta una massa indifferenziata di lavoratori di massa (Rifkin, 2000).

In un contesto così caratterizzato, è utile, riflettere sul fatto che le aziende pongono sempre più attenzione a modelli di

gestione della conoscenza, che facilitino percorsi di condivisione e di creazione all’interno delle stesse aziende. Come

talvolta succede (si guardi ai fenomeni come il business process reengineering oppure il total quality management), però,

la diffusione di un fenomeno manageriale non coincide con la garanzia del suo successo. Il fallimento dei progetti di

knowledge management (Storey e Barnett, 2000) pone la necessità di domandarsi quanto questo sia risolutivo per il

successo di un’azienda e soprattutto fino a che punto questa fiducia sulla conoscenza sia meritata. Che cosa fornisce

certezza sul ruolo della conoscenza nelle organizzazioni? Quali sono i motivi che inducono ad avere questa fiducia? Quali

sicurezze spingono gli attori del sistema economico a ricercare la conoscenza, e soprattutto gli strumenti atti a gestirla?

Una risposta comune si trova nell’esigenza di affrontare la complessità e la dinamicità dell’ambiente.

Secondo Camussone (2000, pag. 33) un mercato è complesso se sono presenti:

• una forte competitività, ossia una forte concorrenza, e l’azienda non goda di posizioni dominanti;

• una domanda dinamica, sia in termini di volumi che di caratteristiche del prodotto;

• un prodotto sofisticato, cioè basato su tecnologie innovative.

Secondo Rifkin (2000) la dinamicità è data da un fenomeno di contrazione dei processi e dall’abbreviazione del ciclo di vita

dei prodotti in un mercato in cui arrivare primi significa imporre un prezzo più elevato e godere di margini di profitto più

elevati: «le economie di velocità stanno sostituendo le economie di scala» (Toffler e Toffler, 1994).

Come fare per gestire questi livelli di complessità? Una possibile risposta è proprio quella di sfruttare le potenzialità della

conoscenza come meccanismo per rendere leggibile l’ambiente. È per questo motivo che ci si ‘rifugia’ nella conoscenza,

nella speranza di trovare delle valide opportunità: in questo senso si parla di knowledge-based economy.

Emerge, in conclusione, un quadro piuttosto variegato sul tema. La conoscenza sembra possa rappresentare un modo per

tentare di trovare soluzioni ad un aumento della complessità, e per questo diventa oggetto di studio e moda manageriale.

Allo stesso tempo in ragione del suo valore, si può sospettare di tentativi di limitarne la diffusione, per difendere posizioni

dominanti conquistate nel passato. La conoscenza, in questo senso, diventa una fonte di potere, una sorta di barriera

all’ingresso, e i detentori, consapevoli del proprio vantaggio competitivo, fanno di tutto per evitare che si possa

condividere. Quello che è stato descritto come il passaggio dall’information age alla knowledge age, segna in realtà uno

spostamento di focus. Il passaggio dall’informazione alla conoscenza può essere inquadrato all’interno del più ampio

dibattito, tuttora aperto, incentrato sui tre concetti di dato, informazione e conoscenza. Come afferma Davenport (1999)

la strada da percorrere è ancora lunga: «it’s unfortunate, but we have focused too much on mastering transaction data

and not enough on turning it into information and knowledge».

In questa lezione si presentano alcune considerazioni chiave sul concetto di conoscenza.

I concetti di dato, informazione e conoscenza, pur avendo fortissime relazioni sono considerati come tre diverse entità. In

teoria questa riflessione potrebbe sembrare banale: è intuitivo pensare che questi termini si riferiscono a tre concetti

differenti, il problema, però, sorge quando si tenta di definirne gli ambiti, i significati. La questione non è semplicemente

linguistica, ma ha delle ripercussioni importanti da un punto di vista teorico, operativo e quindi manageriale.

Secondo Kock Jr et al. (1997) i dati sono il veicolo attraverso il quale l’informazione e la conoscenza sono trasmessi,

rappresentano un linguaggio per comunicare.

Il dato diviene così l’elemento neutro oggettivo che ha bisogno dell’intervento di un processo di elaborazione, di

interpretazione per divenire informazione. Un esempio di dato può essere il contenuto di un floppy disk. Come afferma

Sorensen (2004): «Strictly speaking, data is the only thing that will be stored in computers. However, we have through

many years been seasoned to believe that the computers deal with information. This is because data more often than not

will be produced, stored, manipulated and retrieved in a social context». I concetti di informazione e conoscenza, secondo

Kock Jr et al. (1997), si riferiscono alla possibilità, rispettivamente di descrivere e fare delle previsioni su un determinato

fenomeno. I due concetti sono associati alla variabile temporale: l’informazione diviene un elemento connesso al passato

e la conoscenza al futuro.

Seguendo questa logica (Kock Jr et al., 1997) un’affermazione del tipo: «the aluminium smelter’s temperature has been

set at 300 degrees Celsius» è informazione, mentre un’altra del tipo «if the aluminium smelter’s temperature is set at

1,000 degrees Celsius, then all the aluminium the smelter will be smelted in 30 minutes» è conoscenza.

La variabile tempo utilizzata per confrontare e marcare le differenze tra il concetto di conoscenza e quello di informazione

diventa importante anche per delineare l’approccio alla conoscenza. Il riferim

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A.A. 2025-2026
274 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/10 Organizzazione aziendale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher gherezzino di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Organizzazione aziendale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Universita telematica "Pegaso" di Napoli o del prof Sorrentino Marco.