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Traduzione del Carme 64 del Liber di Catullo Pag. 1
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Estratto del documento

Atene piuttosto che tali defunti della Cecropia, fossero portati a Creta non ancora defunti, così servendosi

d'una leggera nave e di venti miti venne dal magnanimo Minosse ed ai palazzi superbi, 85 ma nello stesso

tempo lo osservò con occhio bramoso la regale vergine, che il casto lettuccio della madre spirando soavi

odori nutriva in morbido abbraccio, come i fiumi d'Eurota proteggono i mirti o l'aria primaverile produce

svariati colori, 90 non abbassò da lui gli occhi ardenti prima che profondamente con tutto il corpo prendesse

fuoco e bruciasse tutta nel profondo delle viscere. Ahimè, miseramente agitando i furori nel cuore impazzito,

sacro fanciullo, che mescoli gioie agli affanni degli uomini, 95 e tu che governi i Golgi e l'Idalio frondoso, su

quei flutti gettaste una fanciulla accesa nel cuore, sempre sospirante sull'ospite biondo! Quante paure soffri

lei nel languido cuore! Quanto spesso impallidì più dello splendore dell'oro, 100 quando Teseo desiderando

sfidare il crudele mostro o affrontava la morte o i premi dell'onore! Tuttavia promettendo invano non ingrate

offertucce agli dei fece voti col tacito labbruccio. Ma come sulla sommità del Tauro un turbine invincibile

105 contorcendone il vigore col soffio sradica una quercia che scuote le braccia o un pino portatore di coni

dalla corteccia sudante, (ella sconvolta dalle radici cade prona lontano, rompendo qualunque cosa che

incontra per vasto tratto,) così Teseo atterrò la belva, domatone il corpo, 110 che invano sbatteva le corna ai

vani venti. Poi salvo con grande onore rigirò il piede guidando con un filo sottile le orme errabonde, perché il

vagare inestricabile non lo ingannasse mentre usciva dai meandri labirintici del palazzo. 115 Ma perché io

dovrei ricordare di più, uscito dall'inizio del canto, come la figlia lasciando il volto del genitore, l'abbraccio

della sorella, ed infine della madre, che, misera, contenta per la figlia, perduta, preferì a tutti questi il dolce

amore di Teseo: 120 o come portata da zattera fino agli spumosi lidi di Dia o come il coniuge partendo con

cuore immemore lasciò lei vinta negli occhi dal sonno? Spesso, raccontano, lei impazzendo nel cuore ardente

espresse dal profondo del petto espressioni dal forte suono, 125 e poi triste saliva sui monti scoscesi, donde

tendesse lo sguardo sulle vaste correnti del mare, e correre contro le nemiche onde del tremulo mare alzando

i morbidi veli delle gambe nude, e mesta pronunciò queste cose con estremi lamenti, 130 scuotendo con

l'umida bocca freddi singulti: "Così dunque toltami, perfido, dagli altari paterni, perfido, mi lasciasti sul lido

deserto, Teseo? Così dunque partendo, disprezzata la volontà degli dei, immemore, ah! Porti in patria

spergiuri maledetti? 135 Nessuna cosa poté piegare la volontà della mente crudele? Nessuna clemenza ti fu

d'aiuto, che volesse compassionare il crudele petto di noi? Ma un tempo non mi desti queste promesse con

blanda voce, non invitavi a sperar questo alla misera, 140 ma piacevoli nozze, ma ottimi imenei. Tutto queste

promesse vane, che i venti ora disperdono all’aria. Ora nessuna donna creda più ad un uomo che giura,

Nessuna speri che i discorsi dell'uomo siano leali; Ad essi mentre il cuore bramoso desidera ottenere

qualcosa 145 non temono di giurare nulla, nulla evitano di promettere: ma appena la voglia del bramoso

istinto fu saziata, per nulla curano di temere le parole, per nulla gli spergiuri. Certo io ti strappai quando eri

volto al turbine della morte, e decisi di perdere un fratello piuttosto, 150 che mancare a te falso nell’estremo

pericolo. Per questo mi darò da sbranare alle fiere e preda agli uccelli, né morta sarò coperta da terra

gettatami. Quale leonessa mai ti generò sotto deserta rupe, quale mare ti sputò generato da spumanti onde,

155 quale Sirti, quale Scilla avida, quale vasta Cariddi, tu che ridoni tali premi al posto della dolce vita? Se

non ti stavano a cuore le nostre nozze, perché odiavi i crudeli ordini dell'antico padre, tuttavia avresti potuto

condurmi alle vostre dimore, 160 che ti servissi da schiava con piacevole fatica, accarezzando la candidi

orme con limpide acque, o coprendo il tuo letto di purpurea coperta. Ma di che mi lamento invano con l'aure

ignare, straniata dal male, che aiutate da nessuna sensibilità 165 non possono né ascoltare messaggi né

rispondere parole? Egli però si trova quasi in mezzo alle onde, e nessun mortale appare tra le deserte alghe.

Così la crudele sorte calpestando(mi) troppo nel momento estremo impedisce ad orecchie i nostri lamenti.

170 Giove onnipotente, ah, se dapprima le navi cecropie non avessero toccato i lidi di Cnosso, e portando

terribili tributi all'indomito toro, il perfido navigante non avesse legato la fune a Creta, e qui il malvagio

ospite, celando sotto il dolce aspetto 175 piani crudeli, non avesse riposato nei nostri palazzi! Dove mi

porterò? Distrutta, su quale speranza mi appoggio? Andrò sui monti idei? Ma l'acqua furiosa del mare con

ampio gorgo, separando, (ci) divide. O sperare l'aiuto del padre? Io stessa lo lasciai, 180 seguendo un

giovane macchiato da sangue fraterno! O consolarmi proprio col leale amore d'un marito? Che però fugge

incurvando i pieghevoli remi sull'onda? Inoltre l'isola deserta non è abitata da nessuna casa, non s'apre una

uscita, cingendo le onde del mare. 185 Nessun piano di fuga, nessuna speranza: tutto muto, tutto è deserto,

tutto dichiara morte. Tuttavia gli occhi non mi languiranno di morte prima, né i sensi si staccheranno dal

corpo stanco prima, che, tradita, chieda agli dei una giusta pena 190 e preghi la lealtà dei celesti nell'ora

estrema. Perciò castigando le azioni degli uomini con pena vendicatrice, (voi) Eumenidi, la cui fronte cinta di

capelli con serpi porta le ire del cuore che freme, qui, qui venite, udite i miei lamenti, 195 che io , ahi misera,

sono costretta a gridare dal profondo delle viscere, povera, ardente, cieca di pazzo furore. M poiché questi

lamenti veri nascono dal fondo del cuore, Voi non vogliate permettere che il nostro lutto svanisca, ma con

quel sentimento ( con cui) Teseo mi lasciò sola, 200 con tale sentimento, o dee, funesti se ed i suoi." Dopo

che con mesto petto espresse queste parole, ansiosa esigendo una pena per i fatti crudeli, il signore dei celesti

dall’ invincibile volontà annuì, al suo cenno tremarono la terra ed i terribili 205 mari ed il mondo scosse le

stelle lucenti. Lo stesso Teseo con la mente cieca avvolta dalla caligine dal cuore dimentico lasciò perdere

tutto, quanto prima teneva con mente costante, né alzando i dolci segnali per il mesto genitore 210 salvo si

recò a visitare il porto Eretteo. Raccontano che una volta, mentre Egeo affidava ai venti il figlio che lasciava

le mura della dea, abbracciatolo consegnò al giovane tali ordini: "Figlio unico per me più bello di una lunga

vita, 215 figlio, io che son costretto ad abbandonarti ad eventi incerti, restituite nella estrema fine tra poco

alla mia vecchiaia, dal momento che la sorte ed il tuo fervido coraggio ti strappa a me contrario, i cui

languidi occhi non ancora sono sazi della cara figura del figlio, 220 non io gioioso ti manderò con cuore

festante, né ti permetterò di portare le insegne della buona fortuna, ma prima esprimerò col cuore i molti

lamenti, sporcando la canizie di terra e di polvere versata, poi appenderò all'errante albero le vele grezze, 225

come dirà i nostri lutti ed i fuochi della nostra mente la vela oscurata da ruggine iberica. Che se te lo

concederà l'abitatrice della sacra Itone, che annuì a difendere la nostra stirpe e le sedi di Eretteo, che tu

cosparga la destra del sangue del toro, 230 allora farai sì che ti valgano questi ordini fatti per te in un cuore

memore, né alcun tempo cancelli; appena gli occhi vedranno le nostre colline, le antenne depongano la veste

funesta, le funi attorcigliate alzino candide vele, 235 perché quanto prima vedendo sappia con lieto cuore le

gioie, quando il tempo felice ti farà reduce." Questi ordini abbandonarono Teseo che prima li teneva con

mente costante come le nubi cacciate dal soffio dei venti (abbandonarono) l'aerea cima del nevoso monte.

240 Ma il padre, come cercava l'orizzonte dalla cima della rocca, consumando gli ansiosi occhi in continui

pianti, appena osservò le tele della vela grezza, si buttò a precipizio dall'alto degli scogli, credendo Teseo

perduto da crudele destino. 245 Così il fiero Teseo entrato nei tetti della casa con la funesta morte paterna,

ricevette un dolore tale e quale a quello che, con mente immemore, aveva arrecato alla Minoide. Ella mesta

guardando la nave allontanarsi, ferita meditava in cuore molteplici affanni. 250 Ma da un'altra parte il florido

Iacco volteggiava con una schiera di Satiri e coi Sileni di Nisa, cercando te, Arianna, e spinto dal tuo amore.

Con lui le Baccanti veloci qua e là furoreggiavano con cuore impazzito gridando "euhoe, euhoe" e piegando

le teste. 255 Parte di esse squassavano i tirsi dalla punta coperta, parte agitavano membra d'un giovenco

dilaniato, parte si cingevano di attorcigliati serpenti, parte celebravano segrete orge nei cavi cesti, orge che

invano desiderano sentire i profani; 260 altre battevano i timpani con le lunghe palme, o ottenevano dal

bronzo rotondo sottili tintinnii; a molte i corni soffiavano rochi rimbombi e barbari flauti stridevano di

terribile suono. La coperta magnificamente decorata di tali figure 265 abbracciandolo velava il letto con il

suo manto. Dopo che la gioventù tessala osservando bramosamente fu saziata, cominciò a dar luogo ai riti

divini. Allora, come Zefiro rabbuffante il placido mare col soffio mattutino eccita le facili onde, 270

sorgendo l'Aurora sulle soglie del sole errante, ed esse prima lentamente spinte dal leggero soffio e

leggermente risuonano di un colpo di riso, poi crescendo il vento sempre più s'accrescono, e nuotando

rifulgono lontano di luce purpurea: 275 così allora lasciando i tetti regali del vestibolo ognuno rientrava qua

e là con passo errante a casa. Dopo la loro partenza dal vertice del Pelio per primo venne Chirone portando

doni silvestri: tutti quelli che producono le piane, quelli che la terra tessala dagli alti monti crea, quei fiori

che presso le onde del fiume l'aria feconda del tiepido Favonio produce, questi egli portò intrecciati in

coroncine svariate, e la casa permeata da questo piacevole odore rise. Subito si presenta Peneo, lasciando la

verdeggiante Tempe, 285 Tempe, che selve sovrastanti cingono in alto, così che le ninfe del Peneo la

celebrassero con danze doriche, non a mani vuote: infatti egli portò alti faggi dalle radici e lunghi allori dal

tronco diritto, non senza lo svettante platano e la sin

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A.A. 2010-2011
4 pagine
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SSD Scienze antichità, filologico-letterarie e storico-artistiche L-FIL-LET/04 Lingua e letteratura latina

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vpearl di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Lingua e letteratura latina e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Sassari o del prof Bruzzone Antonella.