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La tutela dei beni culturali
Fin dal 1802, con il chirografo Chiaramonti le cose dell'art. 10 comma 1 e 2 sono state sempre considerate beni culturali anche senza la verifica dell'interesse e il proprietario del bene aveva l'obbligo di presentare all'amministrazione un elenco descrittivo delle cose di interesse artistico o culturale in generale. Questo aspetto perdurò fino al 1909 con la legge n. 364, la quale stabiliva che nei casi dubbi era la Soprintendenza a stabilire se l'oggetto d'arte avesse o no l'interesse culturale previsto dalla legge.
Attualmente il Codice Urbani all'art. 10 dice che le cose appartenenti al comma 1 e 2 sono sottoposte a tutela sempre se sono di autore non vivente e non risalgono a meno di 70 anni e sono soggetti alla verifica di interesse culturale stabilita dall'art. 12. I proprietari sono dunque stimolati a promuovere il procedimento di verifica, di durata 120 giorni dal ricevimento della richiesta, per poter emancipare le proprie proprietà dall'art.
10 e poterne godere a pieno senza restrizioni perché beni culturali. Se i beni appartengono allo Stato, alla Regione o ad altri enti pubblici territoriali e la verifica di interesse ha dato esito negativo, quei beni oltre a non essere più culturali possono anche essere sdemanializzati qualora non rientrino in altre categorie di demanio accidentale. Dunque la verifica serve per accertare e confermare una tutela che comunque sarebbe soggetta ai beni rientranti nell'art. 10 comma 1 e 2, al contrario di quanto accade per i beni descritti al comma 3. All'esito del provvedimento può essere fatto ricorso amministrativo per motivi di legittimità e di merito. - Le conseguenze della verifica dell'interesse culturale La verifica di interesse culturale si attua sui beni all'art. 10 comma 1 e 2 e il provvedimento restrittivo viene stabilito dall'art. 12 del Codice Urbani. La verifica serve per accertare una tutela che sussisterebbe nonostante lastessa poiché interessai beni dello Stato o di altri enti pubblici territoriali, delle persone giuridiche private senza scopo di lucro e degli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti (Art. 10 comma 1e 2). La verifica può avere esito negativo e positivo; nel primo caso il bene non è più sottoposto a tutela e nel caso sia di appartenenza statale o di altri enti pubblici territoriali viene sdemanializzato, a patto che non rientri in altre categorie del demanio accidentale. Nel caso di esito positivo i beni soggetti a verifica diventano automaticamente beni culturali e saranno sottoposti alle norme di tutela previste dal Codice Urbani. Se un bene diventa ufficialmente culturale ha bisogno di tutele per lo spostamento fisico in territorio nazionale, per il trasferimento di proprietà (che sia gratuito, tramite vendita o per eredità) e autorizzazioni previe rilasciate dalla Soprintendenza prima di poter operare in campo di restauro, manutenzione
La protezione del bene stesso. Dunque il proprietario del bene in questione la cui verifica di interesse culturale ha dato esito positivo è soggetto ad un provvedimento restrittivo che altera la libertà di proprietà privata sul bene come stabilito dall'art. 12 del codice dei beni culturali in virtù della tutela del bene stesso.
I beni archeologici. Ricerche e ritrovamenti di beni culturali. Ai sensi dell'articolo 88 del Codice Urbani l'attività di ricerca delle cose all'art. 10 su tutto il territorio nazionale è monopolio dello Stato italiano, ma quest'ultimo può permettere la ricerca a enti privati o pubblici tramite una concessione di durata 3 anni, prolungabili su richiesta. Già lo Stato della Chiesa aveva introdotto un'autorizzazione allo scavo per tutelare i reperti e beni archeologici ancora nel sottosuolo; questo aspetto fu mantenuto e introdotto nella legislazione italiana con la legge 364 del
1909, ma questa legge attualmente è stata leggermente modificata con il codice dei beniculturali. Concessione e autorizzazione non sono la medesima cosa, la prima concede al privato di fare qualcosa che in potenza non può eseguire; la seconda invece autorizza ad eseguire un'attività che però in potenza il cittadino già può fare (vendita, edificabilità). Dunque l'attività di scavo è concessa dal Ministero ad un ente pubblico o privato e non senza requisiti. I requisiti richiesti non sono stabiliti dal Codice Urbani, ma in via amministrativa il Ministero richiede il curriculum del direttore di scavi per valutare che sia una persona qualificata, per studi o per esperienza, per scavare e riportare alla luce i reperti senza danneggiarli. La concessione può essere data anche al proprietario del terreno su cui verranno effettuati gli scavi, ma nel caso in cui il proprietario del terreno non coincida con il possessore.
della concessione, è prevista per il primo un'indennità per l'occupazione temporanea del terreno che può essere in denaro o in beni archeologici ritrovati se non interessano allo Stato come previsto dall'articolo 88 del Codice Urbani. Dall'occupazione temporanea del terreno si può passare all'esproprio perenne nel caso in cui il bene archeologico ritrovato non possa essere spostato (bene immobile) o il proprietario del terreno non dia il consenso per lo scavo, in queste situazioni l'indennità al proprietario del bene sarà maggiore. Ai sensi dell'art. 89 un'indennità è prevista anche nel caso in cui lo Stato voglia sostituirsi al concessionario poiché gli scavi si rivelano essere di particolare interesse, quindi viene rimborsata la spesa al concessionario di quanto speso fino a quel momento dei lavori. Se la cifra corrisposta dal Ministero non è corretta secondo il ricercatore.sostituito, quest'ultimo può richiedere l'uscita di un perito impari stabilito dal tribunale che stabilisca una cifra più adeguata. Lo Stato può sostituirsi al concessionario anche quando questi non rispettano le prescrizioni impartitegli al rilascio della concessione per la tutela del bene e le modalità di scavo. Per questa circostanza alla revoca della concessione di scavo non è prevista alcuna indennità, al contrario il concessionario è passibile di multa o carcere, sanzioni determinate dall'art. 175 del Codice Urbani con una cornice edittale a seconda della gravità del reato. La disciplina dei ritrovamenti archeologici è da rintracciarsi a prima del 1865 quando la scoperta era interamente lasciata al proprietario del terreno su cui era stata ritrovata oppure a metà con chi aveva ritrovato il bene se non coincideva con il proprietario terriero. Dal 1902 ci fu una deroga che stabiliva che i beniarcheologici ritrovati da parte di stranieri sarebbero stati affidati allo Stato italiano, mentre solo ¼ di beni ritrovati da italiani sarebbe stato affidato allo Stato. Attualmente il Codice Urbani ricalca in parte la legge 364 del 1909 che determina un pagamento, in denaro o in beni, di ¼ del valore complessivo dellascoperta al concessionario, al proprietario del terreno su cui sono stati effettuati gli scavi e al ritrovatore fortuito che abbia rispettato i termini all’art. 90. Se il possessore del terreno è anche colui che detiene la concessione il premio in denaro o in beni ritrovati è pari a ½ del valore totale, come stabilito dall’art. 92. Al momento in Italia vigente una circolare che specifica che il premio verrà concesso solo agli scopritori fortuiti poiché per la concessione viene rilasciata solamente se colui che la vuole ottenere decide di rinunciare al premio e paga di tasca propria il premio al proprietario del terreno,
Qualora non coincidessero, se questo si rifiuta di dare il consenso agli scavi senza premio.
Norme internazionali e norme interne sugli scavi archeologici e sui rinvenimenti, illeciti e sanzioni
Le norme internazionali e le norme interne sugli scavi archeologici per molti aspetti coincidono. Si fa riferimento alla Convenzione de La Valletta stipulata a Malta nel 1992, una convenzione internazionale trattante di beni culturali. Questo trattato internazionale inviolabile fu fatto per gli stati che non avevano nella loro legislazione una tutela sugli scavi archeologici e sui prodotti degli scavi e per evitare ricerche clandestine non qualificate che potevano danneggiare i reperti. L'Italia aveva già una legge che prevedeva una concessione da concedere su richiesta ad individui qualificati, ovvero la legge 364 del 1909 successivamente sostituita con il Codice Urbani del 2004 che tutt'ora regola questa attività ovviamente in linea con quanto stabilito nella Convenzione de La Valletta.
Quest’ultima obbliga gli stati firmatari a eseguire una procedura di concessione come già detto, a tutelare la sicurezza degli scavi e dei reperti; gli stati inoltre devono impegnarsi a fare in modo che gli scavi siano eseguiti da persone competenti per esperienza o per studi, sempre a garantire la salvaguardia del sito archeologico e di quanto contiene. La concessione ha una durata di 3 anni, al termine di questi si può richiedere una proroga, senza la quale non si può continuare a scavare a pena di sanzioni ai sensi dell’articolo 175 del codice dei beni culturali. Queste vengono impartite a coloro che non hanno la concessione, eseguono ricerche con la concessione scaduta e a coloro che non rispettano le norme e le prescrizioni sulle modalità di scavo imposte al momento del rilascio della concessione. Nella circostanza in cui il concessionario si impossessi o rivendaillecitamente i reperti ritrovati è prevista una pena in denaro e la reclusione.
fino a 6 anni, pena riducibile nel caso in cui il reo fornisca importanti informazioni sulla vendita illecita o restituisca la refurtiva. - Il ritrovamento di beni fortuiti Per quanto riguarda il ritrovamento di beni fortuiti l'art. 90 del Codice Urbani stabilisce che lo scopritore fortuito deve denunciare il ritrovamento entro e non oltre le 24h successive alle autorità competenti come i Carabinieri, il Sindaco o il Soprintendente. Il rinvenitore fortuito per essere tale non deve avere una concessione per lo scavo di ricerca archeologica; inoltre deve prendersi cura del bene archeologico fino all'arrivo delle autorità e non rimuoverlo dal luogo di ritrovamento a meno che lo spostamento non ne tuteli la salvaguardia. In caso di inottemperanza delle norme all'art. 90 il scopritore fortuito sarà punibile come stabilito dall'art. 175 del codice dei beni culturali. Un ritrovatore fortuito può anche essere un privato che esegue opere edili nellaLa sua proprietà e per caso si imbatte in un reperto archeologico. La procedura che deve seguire fa riferimento all'art. 9.