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Quindi la controparte giura il falso, facendo una dichiarazione a sé favorevole ed io perdo la causa,
che cosa posso fare? Esiste un mezzo d’impugnazione nel nostro ordinamento che sembrerebbe
venirci incontro in questo caso, poiché esiste la revocazione che è un mezzo d’impugnazione
ordinario e straordinario. Esso è intanto determinato per motivi indicati dal legislatore, e alcuni di
questi motivi sono di revocazione ordinaria, cioè l’impugnazione si può proporre fino al passaggio
in giudicato della sentenza; ed altri motivi (la maggior parte di essi) sono di revocazione c.d.
straordinaria perché l’impugnazione è proponibile anche dopo il passaggio in giudicato della
sentenza proprio per contrastare il giudicato che è caduto sulla sentenza.
Uno di questi motivi di revocazione straorinaria è quello dedicato alla falsità di prove, quindi prove
riconosciute o dichiarate false dice l’art 395 cpc. Quindi sembrerebbe caderci a pennello, invece no!
Perché tra le prove riconosciute o dichiarate false non si annovera il falso giuramento; quindi il
falso giuramento non legittima la revocazione della sentenza emessa sulla base di quel giuramento
stesso. Quindi ancorché noi ci trovassimo di fronte ad un accertamento in sede penale (perché il
falso giuramento è ovviamente un reato e quindi è accertabile in sede penale) della falsità del
giuramento non possiamo domandarci la revocazione della sentenza civile, ma l’unica cosa che
possiamo fare è chiedere un risarcimento dei danni.
Quindi come si dice: “prima il danno e poi la beffa”! perché prima ha giurato il falso, e dopo di chè
se voglio essere risarcito (è l’unica cosa che posso fare cioè il risarcimento del danno) devo iniziare
un altro processo civile per chiedere il risarcimento dei danni. Nel frattempo magari ho fatto la
causa penale per accertare il falso giuramento!! Quindi è per me un istituto dannoso e senza senso,
anche perché tutto questo ha un certo costo.
A questo punto ci avviamo verso la fase decisoria del processo di primo grado, però oggi dobbiamo
affrontare un passaggio intermedio molto importante. In linea generalissima oggi diciamo che,
completata l’attività istruttoria il giudice invita le parti a precisare le conclusioni e rimette in
decisione. Che significa? Rimette la causa al collegio se la causa è di spettanza del collegio, o
riserva in decisione per se (se è una causa di giudice unico, come accade nella maggior parte dei
casi).
Però c’è un altro passaggio intermedio che dobbiamo affrontare, cioè prima di arrivare alla
decisione definitiva della causa che in qualche modo appartiene comunque all’ambito della
decisione; mi riferisco in particolare all’applicazione dell’art 188 e187 cpc .
L’art 188 dispone ”il giudice istruttore provvede all’assunzione dei mezzi di prova e, esaurita
l’istruzione, rimette le parti al collegio per la decisione a norma dell’art seguente”. Questa è la
regola generale di cui abbiamo appena parlato.
Nell’art 187 si affronta un problema molto importante, che è quello della risoluzione di questioni.
Quando abbiamo studiato le eccezioni del convenuto (nonché le eccezioni che l’attore può proporre
verso la domanda riconvenzionale del convenuto), abbiamo detto più volte che sollevare
un’eccezione significa introdurre un fatto (che normalmente si configura come un fatto
modificativo, impeditivo estintivo rispetto al fatto costitutivo introdotto dalla controparte) nel
processo, e si dice normalmente che quel fatto nella misura in cui risulti controverso nel processo
dà luogo ad una questione.
Che succede quando si verifica tale ipotesi (molto frequente)? E quindi come si connette la
disciplina della risoluzione di questioni con l’assetto della fase decisoria del processo, in particolare
del processo di primo grado? L’art 187 fornisce una scansione di ipotesi che si collegano
direttamente sia con la fase decisoria tout cour e quindi con l’ipotesi più semplice che è quella
descritta nel 188 “cioè conclusa la fase istruttore il giudice invita le parti a formulare e conclusioni
e rimette la causa la collegio”, e sia quelle ipotesi nelle quali il giudice accede ad un frazionamento
della decisione che è cosa diversa dal frazionamento di cui abbiamo già parlato studiando il
litisconsorzio facoltativo e ipotesi di connessione che generano la separazione delle cause.
Se ricordate, abbiamo studiato che, di fronte al cumulo oggettivo quando l’iter progressivo delle
varie domande assume ritmi diversi il giudice può disporre su istanza di parte la separazione di
queste cause, decidere quelle che sono mature per la decisione e portare aventi l’istruttoria sulle
altre. Non è questo quello cui mi riferisco, perché in quei casi noi parliamo di domande o cause,
qua invece noi parliamo di questioni cioè parliamo di questioni, cioè elementi introdotti nel
processo attraverso eccezioni di parte che pur tuttavia pur non essendo domande, non rispondendo
neppure a quel criterio di cui all’art 34 della pregiudizialità per cui il fatto può essere introdotto nel
processo sotto forma di eccezione, ma poi per legge o per esplicita domanda di parte diventa una
domanda pregiudiziale. No, non siamo di fronte a nulla di tutto questo.
Qui siamo di fronte intanto a delle eccezioni di parte, cioè a delle questioni che esistono vivono nel
processo perché la parte le ha introdotte attraverso un’eccezione e su quelle questioni il giudice è
indotto a formulare una decisione che sia separata rispetto alla sentenza che definisce il giudizio.
La prima ipotesi prospettata dall’art 187 è quella più semplice, è quella che si connette con le
norme di carattere più generale.
1°c 187 cpc “il giudice istruttore se ritiene che la causa sia matura per la decisione di merito
1
senza bisogno di assunzione di mezzi di prova, rimette le parti davanti al collegio”.
Qui l’ipotesi che si prospetta è ancora più semplice, perché dice senza bisogno di assumere mezzi di
prova. Non perché ci sia qualche caso in cui non ci sia bisogno di prove, ma perché siamo di fronte
ad un’ipotesi piena nella quale sia l’attore che il convenuto hanno prodotto una prova documentale
già negli atti introduttivi (nell’atto di citazione, nella comparsa di risposta) esauriente e si tratta
solo di confrontarle e vedere quale sia prevalente dal punto di vista del contenuto e del risultato.
A quel punto il giudice non ha bisogno di assumere altri mezzi di prove (è una causa puramente
documentale), e quindi può disporre la rimessione in decisione. Questa è l’ipotesi più semplice.
A noi interessano oggi i commi successivi. 2°c “può rimettere e parti al collegio affinchè sia
decisa separatamente una questione di merito avente carattere preliminare, solo quando la
decisione di essa può definire il giudizio”. Qui invece ci sono scritte un sacco di cose.
Che significa? Noi abbiamo di fronte una questione preliminare di merito, questa è qualcosa cui
abbiamo accennato quando abbiamo fatto l’art 34 cpc per contrapporci alla pregiudiziale di merito
(che è la questione di cui si parla nell’art 34 cpc idonea a trasformarsi in causa pregiudiziale).
Riprendo il discorso, in quel caso siamo di fronte (soprattutto nell’ipotesi della pregiudizialità in
senso tecnico) ad una questione che presenta un assoluto grado di autonomia (dal punto di vista
oggettivo) rispetto alla domanda principale, in ragione del quale quella questione, potrebbe
diventare oggetto di autonoma domanda.
l’es. che abbiamo fatto in quell’occasione era accertamento della paternità in risposta alla domanda
di corresponsione di una prestazione alimentare, se noi lo poniamo in via incidentale: Tizio
domanda a Caio gli alimenti per suo figlio dicendo che è il figlio naturale, Caio che contesta il
rapporto di paternità e contemporaneamente ne richiede l’accertamento.
È chiaro che quella questione pregiudiziale che si trasforma senz’altro in causa pregiudiziale
secondo le modalità dell’art 34, potrebbe essere oggetto di autonoma domanda perché io posso
agire in separato giudizio per domandare la dichiarazione giudiziale di paternità su un certo
soggetto.
1 Posto che qui ogni volta che troviamo scritto “rimette le parti davanti al collegio” significa rimette le parti in
decisione naturalmente, perché è anche giudice unico insieme al collegio.
Le differenze sostanziali tra la questione pregiudiziale e la questione preliminare (anch’essa di
merito) di cui parla il 2°c dell’art 187 sta nel fatto che la questione del 187 non è preliminare solo
per un vezzo del legislatore perché prima la chiama pregiudiziale e poi la chiama preliminare,
perché dal punto di vista dell’iter di risoluzione sia l’una che l’altra sono un logico antecedente
della decisione finale, cioè si debbono risolvere e poi arrivare alla decisione finale, ma la
differenza profonda sta nel fatto che questo tipo di questione è una questione non dotata di
autonomia rispetto alla domanda principale ma appartiene all’oggetto della domanda principale. È
interdipendente con l’oggetto della domanda principale e in conseguenza non potrebbe mai
costituire oggetto di autonoma domanda.
L’es che si adduce normalmente è la prescrizione del diritto. La prescrizione del diritto vantato
dall’attore nei confronti del convenuto, non può essere fatto oggetto di autonoma domanda. Io posso
solo eccepire la prescrizione nel momento in cui il diritto viene vantato nei miei confronti ma non
posso proporre un’autonoma domanda per sentir dire dal giudice che il diritto di Tizio nei miei
confronti si è prescritto e così mi lascia libero.
Quindi la non autonomia rispetto all’oggetto della domanda principale implica, principalmente che,
quella questione può essere solo introdotta nel processo instaurato nella domanda principale
attraverso l’eccezione, ma non può costituire oggetto di autonoma domanda.
Inoltre deve avere un altro requisito, cioè la questione così sollevata nel processo dev’essere idonea
a definire il giudizio. Che significa? Che, dall’accoglimento o dal rigetto di quella questione,
dipende la definizione del giudizio.
Così, sempre nell’es della prescrizione, Tizio chiede a Caio il pagamento di una certa somma, Caio
eccepisce che quel credito si è prescritto. È chiaro che la decisione sulla prescrizione può consistere
in