V
Vedi il lume, vedi la vampa. Vedi le (prime) scintille, (e poi) vedi la
fiammata/divampare il fuoco (nel camino).
Tu frulli dal vetro alla fratta. 30 Tu frulli dalla finestra al cespuglio. Ecco
16
Ecco un tizzo soffia, una stiampa (che) un tizzone crepita, un ceppo già
scroscia/scoppietta, una corteccia già
già croscia, una scorza già scatta. salta via/si stacca (dal tronco). (Ed) ecco
l’allegra fiammata
(che) scoppietta nella
Ecco nella grigia casetta casetta grigia…
l’allegra fiammata scoppietta…
trr trr trr terit tirit… 35
VI
Fuori, in terra, frusciano foglie
Nell’Alpe lontana
cadute.
Invenzione lessicale di Pascoli, da “scricchiolio”. Lo scricchiolettio qui perché l’insieme della legna
10 è «segreto»
accatastata produce piccoli rumori di assestamento che solo lo scricciolo può udire, mentre va a caccia di «larve».
11 Grossi pezzi di legna da ardere.
Sta per “si screpola”; per “si incrina” al v. 6).
12 uso intransitivo assoluto invece che riflessivo (come già «incrina»
13 Lo scricciolo vola frullando, ovvero producendo il tipico suono del suo volo: il frullo. Il frullo è il rumore prodotto
dalle ali degli uccelli che si alzano in volo. Dal vetro della finestra lo scricciolo può osservare la scena che segue.
14 Di uso letterario.
15 Voce toscana. Qui si parla dei legnetti utili per accendere il fuoco. La «stipa» è un arbusto che, una volta secco, è usato
per dar vita alla fiamma; così la «grecchia» che - come spiega Pascoli - è «una specie di stipa più piccola, che fiorisce
d’autunno». voce toscana per “schiappa”: legna già tagliata e pronta per il fuoco. La
16 Pezzo di legno da ardere; «stiampa» qui
(per “scroscia”),
«croscia» cioè emette quel suo tipico fruscio che accompagna il crepitio della fiamma. 3
ce n’è un mucchio grande che accoglie Nell’alta
17
la verde tua palla di lana . Fuori, sul suolo, le foglie cadute frusciano.
montagna ce n’è un grande mucchio che accoglie il
Nido verde tra foglie morte, 40 tuo lanoso nido verde. Nido verde tra foglie morte
forte… (=secche) che fanno, ad un soffio (di vento) più
che fanno, ad un soffio più forte…
trr trr trr terit tirit… e pubblicato l’anno seguente, nel 1905, prima su “Il
Questo componimento fu scritto nel 1904
Giornale d’Italia” e poi nella terza edizione dei Canti di Castelvecchio; appartiene alle cosiddette
«canzoni uccelline» (ovvero le poesie incentrate sui gesti e sui versi di uccelli) e viene a quel tempo
considerato dal Pascoli un capolavoro. Protagonista indiscusso di questo lavoro poetico è - sulla scorta
lo scricciolo, chiamato anche “uccellino del
dei trattati di ornitologia che il poeta amava studiare -
freddo” in quanto, secondo la tradizione popolare, il suo canto annuncerebbe il freddo dell’inverno;
passeraceo particolarmente gradito all’autore
si tratta di uno scattante perché piccolo ma dotato di
gran voce e perché avvezzo ai rigidi climi invernali, nei quali si muove con moltissima esperienza
aggirandosi tra città e paesaggi e svolazzando con curiosità sopra le cataste di legna e fascine. Il suo
verso, qui riprodotto fedelmente come onomatopea grazie ad un sistematico studio del lavoro
18
ornitologico di Alberto Bacchi della Lega , preannuncia il tempo invernale e sembra la voce del
paesaggio stesso, intirizzito e avvolto da un gelo che rompe e spezza ogni cosa a suon di scricchiolii
e di scoppi. Le strofe della poesia sono incentrate sul rapporto che si instaura tra lo scricciolo e la
natura invernale che lo circonda, in una simbiosi sonora nella cui suggestione il verso del volatile e i
dell’uccello si sente ben oltre
suoni del paesaggio sono sintonizzati sulla stessa nota. Il richiamo
l’onomatopea che chiude ciascuna strofa, ma è strategicamente intessuto nelle cellule foniche delle
parole che compongono il testo.
Pascoli ama la natura in tutte le sue forme, ma senza dubbio il suo animale preferito - quello che
è l’uccello. Come mai? Di sicuro perché gli uccelli hanno
ricorre maggiormente nelle sue poesie -
delle caratteristiche sociali molti simili a quelle degli uomini (si pensi ai pinguini, che amano la stessa
compagna per tutta la vita, o in generale a tutti i volatili che, nonostante la migrazione stagionale, poi
tornano sempre al loro vecchio nido - che è la loro casa), ma anche e soprattutto perché gli uccelli
svolgono un ruolo “sacro” nella poesia pascoliana: quello di animali parlanti. Gli uccelli sono gli
unici esseri a cui viene data la voce, a cui è concessa la possibilità di comunicare con una lingua
oracolare e decodificabile (non a tutti è dato di comprenderla, però), che in se stessa è misteriosa. Il
canto degli uccelli, dunque, è un linguaggio, e questo linguaggio può essere udito solo da chi riesce
ad abbandonarsi all’istinto proprio del fanciullino: Pascoli ne è in grado; decifra il linguaggio degli
uccelli, lo rende non solo suono, ma pensiero, e lo utilizza per rompere il muro del silenzio e uscire
da una dimensione di incomunicabilità. Gli uccelli sono i veri interlocutori, i veri confidenti della
voce del poeta.
17 Si allude al fatto che lo scricciolo costruisce un nido a forma di palla e che è verde perché fatto di muschio. Riporta lo
sgricciolo […] fa per suo nido una grande palla di morbido mustio, la quale nasconde in
stesso Pascoli: «lo un mucchio
di foglie secche». Si capisce allora perché quel nido sia «di lana», in quanto morbido e caldo, e perché resti verde, essendo
composto di muschio, in contrasto di colore con le foglie morte.
18 Bibliografo e scrittore italiano. I suoi due volumi ornitologici (Caccie e costumi degli uccelli silvani e Manuale del
L’uccellino del freddo
cacciatore dell'uccelletto) furono oggetto di studio da parte di Pascoli. trova la sua fonte proprio -
come segnala lo stesso poeta nelle note alla terza edizione dei Canti di Castelvecchio - in un «vispo libretto di A. Bacchi
della Lega, Caccie e costumi degli uccelli silvani», da cui è tratto anche, «con una lievissima modificazione, il verso arido
dello scricciolo: trr trr trr terit tirit». 4
un’altra
In questa lirica, però, appare - seppure soltanto come fugace comparsa - anche creatura del
mondo animale: un grillo che con le sue ali vibranti, dice il poeta, ha insegnato allo scricciolo il suo
«breve trillo»; il grillo appartiene al microscopico mondo degli insetti, quel mondo che solo uno
sguardo attento (nonché un orecchio fino) riesce a notare o percepire; questo universo è molto amato
da Pascoli in particolare per i suoi suoni: la voce del grillo, quindi, è fondamentale. Da notare bene:
per il poeta tutti gli esseri viventi godono di pari dignità e vanno quindi tenuti sullo stesso piano.
Si intravede, solo di sfuggita, una vecchia che spezza la legna per il fuoco; le figure umane non
compaiono mai in Pascoli, se non come ombre sfumate quasi inesistenti, solo nominate o immaginate;
il vero protagonista non è l’uomo, ma la natura.
A livello metrico e ritmico, si presenta al lettore un componimento formato da sei sestine di novenari,
secondo lo schema rimico ABABCC (rime alternate nei primi quattro versi, baciate negli ultimi due);
ogni sestina è chiusa da un ritornello onomatopeico fisso che richiama il canto dello scricciolo.
Il novenario è un verso che ricorda il ritmo di una ninna nanna, di una cantilena: lo troviamo, ad
esempio, anche nella lirica Il sonnellino, che ha la cadenza di una nenia.
L’ultimo novenario di ogni strofa, come pure ogni ritornello onomatopeico fisso, termina con tre
puntini di sospensione; l’effetto è quello di “sospendere” il verso, senza dargli una fine netta (come
un punto); ciò dà l’idea di un suono che continua e si propaga oltre la fine del verso
invece farebbe
stesso. Nelle prime due sestine, il primo verso è troncato in due da un punto che separa la
constatazione dell’effettivo avvento dell’inverno («Viene il freddo.» e «Viene il verno.») dalla
descrizione dell’attività vitale dello scricciolo («Giri per dirlo» e «Nella tua voce»). La presenza
dell’enjambement (come nei vv.36-37) spezza i versi introducendo un respiro tra una sponda e l’altra
del testo, creando una pausa ritmica che non coincide con una pausa logica.
Lo scricciolo è un uccellino grazioso dalla forma tonda e paffuta; è lungo 10 cm, ha il dorso bruno
con bordi neri e il ventre più chiaro; la coda, piccola, è bruno-rossiccia e gli serve per bilanciare il
petto (che è molto basso, perciò lo scricciolo tiene spesso la coda sollevata). È agile, dinamico e
scattante; è estremamente curioso e vola di cespuglio in cespuglio, dove è solito vivere. Infatti, questo
piccolo passeriforme ama le zone fresche ed ombrose vicino ad alberi e cespugli. Non è
particolarmente intimorito dagli umani, tanto che lo si può trovare, in inverno, vicino ai centri abitati.
Si nutre di insetti, vermi e bacche.
Il piccolo uccellino del freddo annuncia l’arrivo dell’inverno svolazzando tra un cespuglio e l’altro
mentre emette il suo verso; vola su un tetto, poi svolazza davanti alla finestra di una casa, poi va verso
la boscaglia mentre il suono della natura invernale si propaga attorno a lui. Il suo verso è quello del
«verno» stesso. La poesia è costruita secondo una successione di strofe ognuna delle quali presenta
una situazione legata alla fredda stagione, situazione in cui lo scricciolo - con la sua voce stridula e
con la sua mobilità accelerata - è perennemente presente e al centro della scena.
L’immagine che scaturisce da questa lirica e prende forma nella nostra mente costituisce un vero e
“quadro
proprio invernale” che coinvolge tutti i sensi - ennesima prova del talento pascoliano - e
il lettore/uditore in un’atmosfera
immerge brinosa, secca, che raggela la pelle tanto intenso è il
che colpisce l’immaginazione dello spettatore,
messaggio (o meglio: la suggestione poetica) il quale
trema per il freddo e sente il suono asciutto dei rami che si spezzano, poi lo scoppiettio del legno che
arde, il calore della fiamma che si contrappone al gelo, il conforto della casa che cerca di mantenere
“c’è e non c’è”;
caldo il suo microcosmo. Appare una vecchia, ennesima comparsa umana che alla
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