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L’effimero in architettura
L’architettura effimera fa riferimento a quella parte della personale ricerca sullo spazio urbano,
sullo spazio pubblico, che sta al limite tra arte e architettura e con modalità di intervento che
L’individuo ha la possibilità di interagire attivamente con lo
appartengono alla sfera del transitorio. L’approccio presuppone di “creare spazi senza
spazio che abita e che può modificare.
necessariamente costruirli”, almeno non secondo la dimensione permanente, propria della
progettazione architettonica vera e propria, ma in una più transitoria, tramite l'allestimento di una
vera e propria scenografia effimera dello spazio che mostra soluzioni possibili. L'intenzione
di lavorare sulla creazione di scenari possibili, sui codici delle emozioni, sulle relazioni delle
sensazioni, della comunicazione, del comportamento al fine di rendere l'individuo utilizzatore e
creatore attivo dello spazio che sta abitando. Effimero è un processo di trasformazione dello
spazio relazionale che si sviluppa in tempi brevi il cui l'obiettivo é quello, nel senso più generale del
termine, di mostrare. Effimero, quindi, come esperienza emotiva, che ci fa intravedere la
rappresentazione di un mondo come potrebbe essere, svelandone significati nascosti, potenzialità da
sfruttare e proponendo nuovi usi non previsti. Il tutto come l'allestimento di una scenografia, in cui
lo stesso spazio urbano fa da sfondo. L'allestimento di scenografie effimere, progetti della memoria,
progetti sulla conoscenza, diventano quindi strumenti di lettura ed al tempo stesso momenti
di riappropriazione dei luoghi. Tutto ciò in architettura accade fin dai tempi più antichi, quando si
cercò d’incorporare movimento all’interno degli edifici e non solo.
il concetto di mutabilità del
Nell’epoca barocca, fu nel campo della scenografia teatrale, che si ebbero i primi esempi di
quindi di un’architettura labile, provvisoria,
architettura effimera, di breve durata. Le prime strutture
effimere riguardavano apparati realizzati in occasione di feste e celebrazioni. Gli artefici di tutto ciò
si proponevano l’obbiettivo di stupire gli spettatori con delle realizzazioni che somigliassero quanto
più possibile alla realtà, in modo da ingannare ed illudere coloro che le osservavano.
Molti furono gli architetti famosi che si cimentarono nella realizzazione di tali opere, sperimentando
diverse tecniche che consentiranno loro, di ideare delle vere e proprie architetture. Gianlorenzo
Bernini sarà il primo ad intuire la continuità psicologica tra lo spazio illusorio della scena e lo
spazio reale e a cercare degli effetti che coinvolgessero direttamente lo spettatore. Nelle scenografie
del Bernini viene superata la concezione dello spazio assoluto della prospettiva centrale e si
sviluppa uno spazio relativo dove le prospettive si moltiplicano e le cose si trasformano a vista.
L’illusione pittorica e l’effimero apparato scenico acquistano il significato di una metafora
spirituale. Ancora con Leonardo la prospettiva indica una rappresentazione degli oggetti secondo i
principi scientifici dell’ottica. Per esempio, la Galleria Prospettica, commissionata al Borromini dal
cardinale Spada, aveva come obiettivo l’ampliamento illusorio degli spazi: il corto budello doveva
apparire come lo splendido passaggio tra due giardini, uno reale, ancora oggi esistente, e uno finto
al di là della stessa galleria. Chi vi si fosse avventurato avrebbe scoperto l’inganno e colto la
metafora morale implicita nello scherzo prospettico.
L’apparato effimero, così come viene concepito, diventa un quadro in movimento, ovvero una scena
in espansione. E se la scenografia, dal Rinascimento al Barocco affronta il problema di portare la
dell’effimero è la città che
città sul palcoscenico, nel campo muta sotto la costruzione di finte
architetture.
Fin dal Rinascimento l’urbanistica a Roma è strettamente connessa con l’arte scenografica e lo
spettacolo in un rapporto di reciprocità, d’interazione tra nuovo e antico che portava a una nuova