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Cinema, però, non offre una soluzione e non mette mai in discussione il sistema di cui sta
illustrando le dinamiche.
La macchina da presa comincia, così, ad uscire dagli studi, com’era successo, anche se per motivi di
sopravvivenza del cinema stesso, con il Neorealismo italiano, e si immerge nella realtà e nella
gente, cogliendo i segnali d’inquietudine e disperazione che affiorano nei quartieri di periferia.
Il cinema diviene, quindi, testimone della solitudine e dell'emarginazione, dei piccoli fallimenti
quotidiani, della fatica del tirare avanti, della desolante monotonia di aride e nevrotiche esistenze
piccolo-borghesi.
A differenza della Nouvelle Vague francese, il Free cinema è rivoluzionario solo sul piano dei
contenuti, non della forma: per essere capito da un pubblico più vasto, decide di rimanere coerente
con il linguaggio tradizionale, non apportando riflessioni, se non in qualche misura con Lester e
Richardson, sul piano linguistico e visivo.
L’importanza è, dunque, data alle tematiche, alla contestazione e alla rabbia dei contenuti piuttosto
che all’evoluzione formale, riscontrabile nelle cinematografie europee contemporanee: anzi, molto
spesso le opere del Free Cinema sono spettacolarmente ben costruite, fotografate con correttezza e
con un magistrale bianco e nero. Risentono, inoltre, di un'impostazione teatrale, per l’influenza
derivata dai contemporanei young angry men, con i quali condividono la crisi che proprio in quel
periodo è conosciuta dall'impero inglese, ovvero la fine del mito della Gran Bretagna come una
grande potenza.
Questi film esprimono in maniera perfetta le tensioni e le contraddizioni dell’Inghilterra degli anni
Cinquanta. La visione protestante, su cui le tradizioni inglesi erano impostate, prevedeva la
costruzione di un self made man, che costituiva una sorta di contenitore ideologico sul quale si
basavano la forza e la consapevolezza delle persone. Il cinema si propone di mostrare come, in
realtà, ci fosse un enorme scarto tra quest’idea e le reali condizioni di possibilità di farsi strada
nella società inglese.
I protagonisti dei film sono, quindi, dei loser, degli antidivi per eccellenza: si ribellano contro la
sterilità spirituale del loro contesto sociale e culturale, sviluppando drammi in cui l'individuo si
ritrova sempre in fuga, alla ricerca di un miglioramento e di una possibilità di riscatto, per poi in
realtà tornare alla condizione di partenza.
Alcuni dei titoli più importanti appartenenti al Free Cinema otterranno anche, a differenza dei film
del Neorealismo, un discreto successo commerciale; qualche esempio è costituito da A Taste of
Honey (1961), The Loneliness of the Long-Distance Runner (1962) di Tony Richardson, This
Sporting Life (1963) di Lindsay Anderson e Saturday Night and Sunday Morning (1961) di Karel
Reisz, forse l'opera più rappresentativa del movimento.
Tale è il successo internazionale dei film di questa corrente, che molti registi che in essa si
riconoscono, sono reclutati alla fine degli anni Sessanta a Hollywood.
Qui, però, forse perché lontani dal clima da cui era scaturito il Free cinema, finiscono per perdere
l'ispirazione.
Joseph Losey
Joseph Losey nasce nel 1909 nel Wisconsin. Comincia ad occuparsi di teatro fin dall’adolescenza,
quando, a sedici anni, recita con i Darmouth Players, la compagnia della sua università, dove stava
compiendo gli studi di medicina. Il giovane segue così da vicino l’attività della compagnia teatrale
che diventa allievo di regia; questa passione lo induce a lasciare il college nel 1929 e ad iscriversi
per l’estate al Summer Professionale Repertory Theater.
Losey cerca di completare i suoi studi ad Harvard, ma finisce per abbandonarli definitivamente e
trasferirsi a New York, dove recensisce libri e spettacoli per vari giornali.
Nel 1931, il futuro regista parte alla volta dell’Europa, per studiare approfonditamente il teatro
tedesco. Non arriva però subito in Germania, a causa dell’isolamento politico di cui soffre lo stato, e
si ferma così a Londra, dove trova lavoro come direttore di scena di una commedia di Jeffrey Dell,
Payment Deferred. Sarà proprio con questa produzione che tornerà a New York, per lavorare al
Radio City Music Hall sempre come direttore di scena. Losey ha, dunque, scelto definitivamente la
carriera teatrale e, deciso ad apprendere veramente il suo mestiere, riparte per l’Europa nel1935,
visitando anche la Svezia, la Finlandia e l’URSS, in cui segue le prove degli spettacoli di vari registi
teatrali sovietici. Rimane in particolare affascinato da Oklopkov, che opera in sale disponibili a
cambiare in base alle necessità specifiche delle singole pièce.
Losey partecipa, inoltre, al progetto del “Living Newspaper”, lanciato dal presidente Roosevelt nel
1936, nel tentativo di fornire lavoro ai teatranti durante la crisi. Si trattava di un teatro popolare
allestito dalla Works Progress Administration, a prezzi popolari, sovvenzionato dal governo
federale, che consisteva in una serie di discussioni e reportage di attualità, mescolando al teatro
vero e proprio proiezioni cinematografiche, elementi di circo, music-hall e balletto. Il giovane
regista si lancia in questa programmazione, poiché sostiene che questi spettacoli siano di natura
brechtiana, autore per il quale nutre una grandissima stima.
Alle numerose esperienze teatrali, segue poi una produzione abbastanza significativa di
cortometraggi educativi: Losey comincia ad avvicinarsi alla macchina da presa, attraverso il
documentario artistico. Nel 1945 gira un cortometraggio di venti minuti, A Gun in His Hand, e da
questo punto farà della carriera cinematografica la propria attività principale, senza comunque mai
perdere di vista il teatro e subendone di sicuro l’influenza. L’esperienza di Losey in campo teatrale,
infatti, è decisiva nel suo modo di operare nella settima arte, non solo per i numerosi adattamenti
di testi nati per il palcoscenico, ma per l’importanza che il regista ha sempre attribuito alla parola
scritta, dedicando ampio spazio e attenzione alla sceneggiatura.
Alla luce di ciò, risulta molto comprensibile la forte collaborazione del regista con il giovane
sceneggiatore Harold Pinter, il quale aveva colpito la critica con l’impostazione nei suoi testi di
situazioni spesso poco chiare e senza risvolti e per il ritmo teso, con cui coinvolge continuamente lo
spettatore, tenendo viva la sua curiosità senza, però, mai appagarla totalmente. La collaborazione
tra Losey e Pinter comincia dunque proprio con Il servo, tratto da un romanzo di Robin Maugham.
Alcuni titoli dei suoi successi sono Eva, Per il re per la patria, L’incidente, Messaggero d’amore,
Galileo e Don Giovanni, dall’omonima opera di Mozart.
Losey muore a Londra, lontano dalla patria naturale ma vicino a quella artistica, il 22 giugno 1984.
Il servo “Il servo racconta la storia di una sottile inversione di ruoli
all’interno di una classe tra un gentleman e un gentleman’s
gentleman.” [1]
È con queste parole che lo stesso Joseph Losey definisce l’opera che inaugura la propria
collaborazione artistica con Harold Pinter. Il film esce nel 1963, ottenendo un enorme successo, e
ha come protagonisti James Fox, nel ruolo di Tony, e Dick Bogarte, nel ruolo di Barrett.
È un film piuttosto inquietante, perché non dà risposte o soluzioni rispetto alla trama, segue le
dinamiche di un giallo ma non rientra decisamente nel genere. Il perno della vicenda è una forte
ambiguità di fondo, riscontrabile nei personaggi, nella casa, nei dialoghi. Losey mira all’orrore
dello spettatore, sperando che allo stesso tempo provi pietà per i personaggi che hanno tutti dei
momenti di reale e pura umanità.
Il contesto de Il servo fa riferimento al modo di vivere tradizionale della società inglese, in
particolare alla situazione dell’aristocrazia negli anni Sessanta, in cui non è più così comune che un
giovane gentiluomo abbia al proprio servizio un domestico. Di conseguenza, la vicenda stessa è in
tensione tra due tendenze: la tradizione (minacciata dalla rovina) e il cambiamento (associato
all’influenza che avrà Barrett su Tony). In termini concreti, Tony, il giovane nobile, ha ancora la
possibilità di farsi servire dallo scaltro Barrett, ma non riesce a mantenere con lui i rapporti servili
tradizionali.
Il film è assolutamente teatrale nei dialoghi e negli spazi, è girato quasi tutto in interni, la maggior
parte dei quali sono rappresentati dalla casa di Tony.
L’ambiente è esso stesso un personaggio all’interno del film e soffre della stessa ambiguità delle
altre componenti: si trasforma lentamente da un luogo di libertà e di pace iniziale, in cui Tony si
può permettere di fare ciò che vuole, in una prigione, un labirinto, man mano che Barrett si insinua
nella vita del giovane rampollo. Un modo molto banale, con cui viene rilevata la graduale
alterazione dei rapporti tra servo e padrone, è l’arredamento della casa da parte di Barrett, che
sceglie a proprio gusto la mobilia, lasciando semplicemente qualche elemento (per esempio il
quadro di famiglia), per far credere a Tony di avere il ruolo predominante nella relazione. In queste
sequenze vengono anche evidenziate alcune differenze tra i due protagonisti: Tony è sì un membro
dell’aristocrazia, ma mostra iniziali segni di decadenza, con gusti molto ordinari, non raffinati e
non aggiornati sulle ultime mode in fatto di arredamento; Barrett, invece, risulta molto ben
informato sulle tendenze del momento, arrivando a suggerire un “rosso mandarino o fucsia” per le
pareti della casa.
È importante, in particolare, il ruolo della cucina nella casa: è una sorta di luogo liberatorio in cui
poter bere e fumare, come lo sono i pub nei film del Free Cinema. Qui Barrett si mostra per ciò che
realmente è, si toglie quella finta aura di servilismo e lo spettatore può comprendere che sta per
essere raccontato molto di più di una semplice storia di rapporti umani.
Nella cucina viene, inoltre, svelato al pubblico la reale natura della relazione del domestico con
Vera, la quale avrà, sempre in questa stanza, il primo incontro erotico con Tony. La cucina è in
contrasto con il resto della casa anche per quanto riguarda i mobili: è la stanza moderna, non
tradizionale come le altre, piene di quadri e mobili antichi, ed è quindi inevitabile che sia associata
con il crescente potere della piccola borghesia rappresentata in questo film dal servo.
La teatralità del film viene esaltata anche nei movimenti della macchina da presa, che rimane fissa
o si limita a seguire i personaggi; il regis