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Conseguenze della privazione in carcere

Conseguenza di tal privazione è la perdita dell'autonomia: i detenuti non hanno alcun potere decisionale su loro stessi e ogni scelta è rimessa agli agenti di controllo. Sykes anticipa le conclusioni di Goffman quando dice che i detenuti si disabituano a decidere autonomamente, regredendo così a uno stato di immaturità infantile che ostacolerà il loro reinserimento nella società libera, molto più caotica e articolata di quella carceraria.

Il terzo tipo di privazione che subisce il detenuto è quello dei beni materiali non ritenuti di prima necessità, il cui possesso può però far parte in così larga misura della immagine che un individuo ha di se stesso che esserne privati vuol dire essere aggredito a livello profondo della personalità, tanto che Goffman stesso considera la sottrazione di oggetti personali come un mezzo volto alla riduzione del Sé.

Per quanto concerne invece...

l’astensione forzata da relazioni eterosessuali, essa può condurre a frustrazioni talmente profonde da farne conseguire comportamenti estremamente aggressivi. Le visite coniugali potrebbero costituire una soluzione, ma in Italia si pongono problemi alla loro configurazione a “The4 Sykes G. Society of captives”, 1958 causa della disciplina dettata dagli artt. 18 o.p. e 37 reg. es. secondo cui i colloqui con i familiari5 devono avvenire sotto il costante controllo visivo del personale. Per quanto riguarda da ultimo la privazione della sicurezza, la convivenza con un numero elevato di persone che ha un passato criminoso può destare ansia negli stessi detenuti che non riescono a stabilire rapporti di fiducia e sono costantemente in tensione per evitare di commettere passi falsi e subire rappresaglie. La sensazione di costante insicurezza coinvolge anche il rapporto con gli agenti del carcere ai quali i detenuti non riconoscono tanto autorità, ma un potere.

Basato sulla forza. Nelle carceri si creano infatti meccanismi di controllo totale sugli individui, accentrati nelle mani di una minoranza armata, simbolo che la forza repressiva dell'organizzazione carceraria è sempre latente, esattamente come avveniva nei campi di concentramento nazisti o nei lager sovietici, che la prigione non mira all'annichilimento totale dell'individuo, ma a una sua riabilitazione. Per sfuggire al controllo degli agenti si sviluppano quelle che i sociolinguisti definiscono "roles", cioè il registro linguistico di un gruppo allo scopo di escludere altri dalla conversazione, nel caso specifico è il vocabolario tipico della cultura carceraria per mantenere segrete agli agenti di custodia le conversazioni tra detenuti e che di fatto va a riorganizzare la realtà, ordinando e classificando l'esperienza all'interno del carcere. Tramite le

Espressioni caricaturali di questo vocabolario riesce a svilupparsi un legame di solidarietà tra detenuti che funge da schermo contro il dolore. La cultura carceraria e l'effetto di prigionizzazione.

Vige all'interno della comunità carceraria una sorta di codice del detenuto, fondamentale forma di regolazione dei rapporti interni tra detenuti basata sulla contrapposizione detenuti-guardie, le cui infrazioni sono pesantemente sanzionate. La subcultura carceraria consente al detenuto lo sviluppo di uno status nel nuovo sistema e ottenere il rispetto degli altri compagni. Secondo i sociologi Irwine Cressey esistono almeno tre subculture carcerarie: quella criminale, rispettosa delle gerarchie e della lealtà tra detenuti, quella detentiva, improntata alle strategie di sopravvivenza, e quella legittima che non accetta i

valori della subcultura criminale né strategie utilitaristiche. La cultura dell'internato conduce a conversazioni molto più introspettive rispetto a quanto accada all'esterno, in la posizione di debolezza in cui l'internato si trova quanto è vissuta come un fallimento personale e i detenuti tendono a confrontarsi tra loro. Gli internati condividono poi la sensazione che il tempo nell'istituzione totale sia tempo sprecato, si sentono esiliati dalla vita e cercano gratificazione in ciò che è "attività di rimozione, volontarie, non serie, che siano abbastanza interessanti e divertenti da allontanare da sé chi le fa, facendogli dimenticare, per il momento, la situazione nella Nell'ambiente detentivo si assiste a un fenomeno sui generis, chiamato da Clemmer "prigionizzazione", ossia "l'assunzione in grado maggiore o minore degli usi, dei modi di vita, dei costumi edella cultura generale del penitenziario", processo che inevitabilmente coinvolge il tempo in una prigione. L'effetto di prigionizzazione procede man mano che il detenuto passa il tempo in carcere e si adatta ad orari, spazi e attività. Il detenuto si avvicina alla cultura del carcere attraverso il contatto con gli altri detenuti in momenti di socialità o attraverso l'apprendimento di un preciso gergo. Vi sono più fattori universali e individuali che, combinandosi tra loro, sono in grado di influire sul processo di prigionizzazione. Esempi di fattori universali sono l'accettazione del linguaggio locale o di un ruolo inferiore, mentre tra l'età, il livello culturale e fattori individuali sono annoverati soprattutto il tipo di relazioni familiari che l'individuo aveva prima della detenzione. Alla fine si può avere un alto o un basso grado di integrazione alla cultura carceraria.

Cultura carceraria a seconda che vi sia stata una scarsa esposizione ai fattori universali: la prima eventualità si verifica ad esempio perché la condanna è breve, grazie a una personalità abbastanza stabile, per il mantenimento di buone relazioni familiari o anche per fattori casuali, come l'assegnazione di compagni di cella poco integrati nella cultura carceraria; la seconda si verifica invece per il lungo lasso di tempo di detenzione o per una disponibilità ad integrarsi nella comunità carceraria. In tal caso la prigionizzazione può arrivare a distruggere l'individuo in modo da rendere impossibile un suo nuovo adattamento nella società e personalità del detenuto che aderisce all'ideologia anziché può approfondire i tratti criminogeni e antisociali della comunità carceraria. Clemmer sostiene che la prigionizzazione aumenti la possibilità di recidiva, pur non essendoci.

correlazione tra prigionizzazione e tasso di criminalità, perché, ad esempio, un soggetto senza un passato eccessivamente criminoso che però si integra bene nella comunità carceraria sarà maggiormente esposto agli effetti criminogeni del carcere. La prigionizzazione avviene in modo soggettivo e irregolare, ma culmina sempre più o meno completa con l'ambiente, costumi e codice d'onore del carcere. Chi è esposto a un alto livello di prigionizzazione non ha speranza di essere salvato: la rieducazione può avvenire solo in alcuni casi e a dispetto della cultura carceraria, quando si tratta di soggetti che non avrebbero mai dovuto essere stati condannati al carcere o con una cultura tale da renderli autonomi dall'influenza della cultura carceraria. "Quando si parla di riabilitazione" - scrive

Clemmer- con riferimento ai vericriminali si parla del tipo di trattamento che li tiene in prigione fino a quando essi raggiungonoun'età tale che non hanno più vigore fisico e mentale per commettere altri crimini. Parlandofreddamente e oggettivamente, questo significato di riabilitazione ha una qualche utilità sociale, maallo stesso tempo l'utilizzo di altri mezzi potrebbe evitare lo spreco di risorse umane e avrebbe10aiutato il rispetto della dignità delle umana."

6. Il personale di sorveglianza.

Gli agenti di custodia sono sottoposti a condizioni lavorative psicologicamente impegnative poiché illoro principale mandato consiste nel neutralizzare possibili rischi e sono responsabili della sicurezza11degli istituti penitenziari. Compito dello staff è assicurarsi che gli internati eseguano le direttive esi avvale del sistema di privilegi affinché i detenuti adottino autonomamente i comportamenti dovutisotto lo stimolo di

minacce e persuasioni, ma non sempre questo sistema risulta efficace e lo staff deve essere sempre pronto a sedare rivolte, a scongiurare tentativi di fuga e punire disobbedienze. Gli agenti sono consapevoli poi di quelli che Sykes chiama difetti del potere totale, ossia i meccanismi sociali per cui il potere del personale carcerario non è assoluto, ma frenato da normative e opinione pubblica. Si crea un forte clima di tensione tra internati e personale che si trova a lavorare in un costante stato di ansietà. Emblematica è la situazione in Italia, in cui, a causa delle condizioni di disagio lavorativo, accentuate dal sovraffollamento, si è registrato un aumento di disturbi depressivi tra il personale penitenziario, sfociati troppo spesso in casi di suicidio. Lo staff lavora in un determinato clima morale: deve infatti farfronte alle ostilità e alle richieste degli internati, spesso incontrasto con gli scopi e le finalità istituzionali. Ogni istituzione però non deve limitarsi a tentare di realizzare i suoi scopi ufficiali, ma deve anche proteggersi dalla tirannia di una loro ricerca affannosa, si pensi al fantasma della sicurezza nelle carceri e alle azioni dello staff che vengono giustificate in suo nome. In questo contesto, lo staff traduce i vari comportamenti in termini moralistici, definendo buone e cattive condotte: redige quindi una propria teoria della natura umana, finalità dell'istituzione, la quale contribuisce a mantenere la distanza sociale tra staff e internati, giustificando il trattamento cui sono sottoposti gli internati attraverso un giudizio stereotipato su di loro. Secondo Goffman questa distanza sociale arriva a far sì che gli occhi dello staff gli internati appaiano più come oggetti di lavoro che persone. Il personale operaquindi costanti manipolazioni anche non necessarie su queste persone per garantire un certo stile di vita, ad esempio
Dettagli
A.A. 2019-2020
11 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/12 Sociologia giuridica, della devianza e mutamento sociale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher ericagraziani08 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia del diritto e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Perugia o del prof Anastasia Stefano.